La Fine del Mondo Musicale o Come Sopravvivere a 23 Stream al Giorno

Il 22/03/2025, di .

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La Fine del Mondo Musicale o Come Sopravvivere a 23 Stream al Giorno

C’era una volta, in un lontano regno musicale, una scena rock e metal che faceva sognare gli appassionati, alimentando il mito dell’artista che si fa strada con il sudore e la passione. Ah, la magia dei concerti in piccoli locali, la bellezza di ascoltare un disco e sentirsi parte di una comunità. Oggi? Oggi siamo immersi in un delirio senza fine di streaming, promozioni che viaggiano più veloci delle nostre capacità di ascolto, e una scena musicale che sembra esplosa come un fuoco d’artificio fuori stagione. Un’esplosione che, a questo punto, rischia di essere più che altro un boato silenzioso.

La Sgobbata degli Artisti Emergenti

I musicisti, quelli veri, quelli che non si limitano a sotterrare la propria voce sotto strati e strati di autotune ma che si smazzano tra prove, registrazioni e concerti, sono diventati delle vere e proprie rarità. Eppure, purtroppo, sono quelli che devono sgomitare di più. Un mio amico, musicista di lunga data e veterano della scena metal italiana fresco autore di un album tanto bello quanto ambizioso, riflettendo sulla “salute”  della scena contemporanea, si è lasciato andare un filosofico “Ormai ci sono più musicisti che ascoltatori”, una frase lapidaria dalla quale è partito il brainstorming che ha portato alla scrittura di questo articolo. È un po’ come se il mondo avesse scoperto che chiunque può creare una band, pubblicare un disco e inviarlo a chiunque, ma nessuno ha mai detto che ci siano abbastanza orecchie pronte a sentirlo. Il risultato? Oggi ti arrivano 23 nuovi album e singoli al giorno via email, e tu, povero recensore di turno, devi decidere se darti alla fuga o intraprendere il lungo e doloroso processo di “valutazione e recensione”. Ogni giorno, più di 23 nuove band si affacciano sul mercato, ognuna con la speranza che qualcuno si accorga di loro. Una tragedia greca, solo senza il dramma. O forse, al contrario, è proprio lì che sta il dramma.

Il live con i tempi della colonscopia

Nel frattempo, c’è una parte del mondo musicale che sta cercando disperatamente di guadagnarsi uno spazio per suonare dal vivo. E qui arriviamo al punto più grottesco di tutti: i locali che ospitano musica dal vivo. Una volta erano il cuore pulsante della scena, ma oggi, ahimè, sono in via di estinzione. E quelli che sopravvivono lo fanno con una programmazione degna di un Centro Unico Prenotazioni dell’ASL. Se, per esempio, hai un disco fuori da promuovere e riesci a trovare il coraggio di contattare un locale, ti risponderanno con la buona notizia che la prima data disponibile sarà tra 18 mesi. No, non stiamo parlando di una colonscopia in ospedale, ma di concerti rock! Peccato che, nel frattempo, l’entusiasmo del pubblico sarà stato soppiantato dalla prossima tendenza di TikTok, che avrà già messo in mostra nuovi fenomeni musicali che probabilmente non hanno nemmeno un album completo, ma un singolo da un minuto e mezzo che è diventato virale grazie a una coreografia di ballo. E a questa situazione può andare a concatenarsene un’altra paradossale, quella di vedere la data programmata prima spostata perchè concomitante con la finale di Sanremo, poi annullata per prevendita zero, e chi se ne frega se il gruppo in questione è composto da musicisti della madonna autori di un album strepitoso. Troppo faticoso alzare il culo dal divano per andare a supportare l’arte, molto meglio affidarsi a una domanda posticcia lanciata sul social di turno “quando venite a suonare nella nostra città?” per far vedere che “noi sì che la supportiamo la scena indipendente!” Piuttosto che essere tra le 20 persone che, probabilmente, andranno ad assistere allo show. Ecco, forse la domanda vera dovrebbero farla i musicisti stessi “Noi veniamo a suonare, ma voi venite a vederci?” A costo di sconfinare nella retorica. Insomma, il paradosso della scena musicale è che esistono ancora tantissimi musicisti incredibili che, purtroppo, non riescono nemmeno a far suonare i loro dischi dal vivo, o, peggio ancora, non riescono nemmeno a farli recensire. Eppure la qualità c’è, ma la domanda resta la stessa: dove sono i fan?

La “Bolla Dopata” di Manuel Agnelli

A questo punto, il nostro amico musicista esperto potrebbe lanciare una riflessione che, a dire il vero, ha anche il suo fondamento storico e filosofico. Recentemente, durante un incontro pubblico, Manuel Agnelli degli Afterhours ha pronunciato una di quelle verità brutali che, nonostante il loro realismo, rischiano di far crollare ogni illusione di un futuro roseo per la musica. “Il mercato in cui siamo immersi non ha nulla a che vedere con la creatività”, afferma senza mezzi termini, mettendo in luce come oggi l’industria musicale si sia trasformata in una macchina ben oliata, dove le case discografiche, purtroppo, operano come vere e proprie imprese, con l’obiettivo primario di fatturare. Non c’è spazio per la visione artistica o culturale, ma solo per il profitto. “Essendo attività imprenditoriali, hanno come primo pensiero quello di fatturare. Non hanno una mentalità mecenatistica, non devono produrre cultura”, sottolinea, evidenziando come le multinazionali non facciano altro che “quello che devono fare: fatturare”.

Tuttavia, il giudice di X Factor non si limita a condannare l’attuale stato delle cose, ma invita a una riflessione più profonda sul ruolo che oggi l’industria dovrebbe avere. “Chi parla di questo mondo”, afferma, “deve prendersi la responsabilità di raccontare alla gente che c’è un mondo più grande, più potente”. È proprio da questo punto che il discorso di Agnelli si fa interessante: non si tratta solo di una critica, ma di un invito a riscoprire le radici della musica, quelle che provengono dal passato e che le nuove generazioni, secondo lui, vedono come più autentiche. “Le nuove generazioni vogliono punti di riferimento che vengano dal passato, addirittura dagli anni ’60 e ’70, perché la ritengono roba sincera”, dice. Qui Agnelli suggerisce una possibile svolta, un “cambio epocale”, quello di separare ciò che è “sincero” da ciò che non lo è, creando una frattura tra la musica che preserva un valore artistico e quella che viene prodotta puramente per scopi commerciali.

“Ci sono cinque produttori, cinque autori che scrivono tutto”, afferma con rammarico, osservando come il panorama musicale si sia appiattito, a livello melodico e armonico, in un’uniformità che rischia di soffocare qualsiasi innovazione. I pezzi, ormai, suonano tutti uguali. Ma dietro a questa omologazione, si nasconde una realtà che inquieta ancora di più: “C’è un enclave che sta impadronendosi del lato creativo della musica”. Le case discografiche, invece di cercare nuove visioni, si accontentano di lavorare con artisti che sono facili da gestire, che costano poco e che non pongono sfide reali. In questo contesto, Agnelli denuncia il sistema come un “sistema dopato”, una “bolla” che, purtroppo, sembra non avere futuro. “È uno zombie mantenuto in vita”, dice, “perché non c’è niente dentro quello che fanno questi ragazzi, niente”. L’industria musicale sta alimentando una falsa realtà che, a suo avviso, è destinata a esplodere.

Agnelli non risparmia neppure le multinazionali, che, secondo lui, hanno investito enormi somme in borsa, facendo lievitare questa bolla pronta a scoppiare. Quando accadrà (“prima di quanto si possa pensare”), prevede, sarà un “crollo pazzesco” in borsa, seguito da un vero e proprio “bagno di sangue”. Un crollo che, inevitabilmente, avrà effetti devastanti sull’intero mercato musicale. Il punto più drammatico arriva quando Agnelli descrive l’attuale sistema di gestione dell’industria discografica: “Oggi il mondo della discografia è fatto di manager che arraffano tutto quello che possono prendere e poi vanno da un’altra parte. Non gli interessa avere una visione, non gli interessa il futuro, e soprattutto non gli interessa il futuro della musica”.

Quello che emerge dal suo discorso è il quadro di un’industria discografica che sta attraversando una crisi di identità. Un sistema che, purtroppo, non riesce più a distinguere tra l’autentico e il commerciale, tra la cultura e il profitto.

In poche parole, la musica sta diventando un terreno di caccia per multinazionali, manager senza scrupoli e imprenditori senza alcuna passione per il prodotto. È un circolo vizioso che, tra l’altro, sta tenendo a galla un sistema che è più simile a un morto che cammina che a un’entità vitale. E mentre il mercato si saturava di generi, sottogeneri, e sotto-sottogeneri, le etichette discografiche si sono ritrovate a dover fare i conti con l’assenza di una vera proposta musicale. Ed è così che la qualità, la visione artistica e la voglia di cambiare vengono schiacciate dal peso della produttività e della formula già collaudata. E il futuro della musica? Beh, non è proprio roseo, almeno se consideriamo come sta evolvendo l’industria.

Siamo giunti al capolinea?

Ma qui arriva la vera domanda, quella che ogni musicista dovrebbe farsi ogni mattina, prima di essere sopraffatto dal caos: “Ma davvero serve essere in questo circo?” La risposta, purtroppo, sembra essere sì. Perché oggi essere un musicista è più una lotta per la sopravvivenza che una carriera. Mentre il mercato musicale esplode sotto il peso di troppi artisti e troppo poco spazio, ogni gruppo deve farsi strada attraverso l’oceano di streaming, playlist e recensioni. E non pensate che sia più facile se si è un nome conosciuto: il mercato è talmente saturo che anche i più grandi devono sgomitare, e ogni volta che una canzone diventa virale, si innesca una gara fra milioni di artisti che cercano di ottenere il loro piccolo spazio, prima che arrivi il prossimo trend. In un mondo in cui ogni giorno nascono centinaia di nuove band, il rischio è quello di perdersi nella frenesia del mercato musicale, in un caos che non dà respiro e che, alla fine, sembra più un gioco di marketing che una vera e propria rivoluzione sonora.

Ma, forse, c’è ancora una speranza. Perché alla fine, nonostante tutto, la passione per la musica non si estingue mai. I musicisti veri, quelli che credono nel loro lavoro e che si rifiutano di essere parte di una bolla dopata, continueranno a fare ciò che amano, anche se questo significa lottare contro il sistema e un pubblico che, alla fine, potrebbe essere più affezionato al proprio divano che al live show. E noi, come sempre, restiamo qui, pronti a scoprire, a recensire e, soprattutto, a sostenere chi merita. Forse è l’unica via d’uscita da questa giungla musicale.