Decades of Aggression: autunno 2024 – parte 1
Il 21/01/2025, di Francesco Faniello.
In: Metal Truth, The Birthday Party.
“Il tempo è uno strano maestro
credi di crescere e invece sei sempre piccolo
se la saggezza arriva col tempo
a volte arriva quando il tempo è finito”
Eh sì, sarà che quando inizi a citare i Kina vuoi trovare una giustificazione che sia credibile almeno come loro. E invece, c’è poco da appigliarsi ai propri miti e occorre guardare in faccia la realtà del tempo che passa: siamo alle primissime battute del 2025 e Decades of Aggression deve recuperare il tempo perduto, mesi autunnali nelle cui decadi precedenti è successo davvero di tutto, in campo hard’n’heavy e affini, annessi e connessi, cugini lontani o semplici conoscenti estemporanei. Perciò, farò così: prenderò il calderone del Generale Autunno e metterò su i dischi che mi vanno, usciti nell’autunno del ’74, dell’84, del ’94 o addirittura più recentemente, in tre parti. Cercherò (qui lo dico e qui lo nego!) di essere il più agile possibile e ovviamente il commento a corredo sarà più o meno lungo, indipendentemente dalla qualità intrinseca dell’album in oggetto. Buona lettura e… grazie per la vostra attenzione nel corso del 2024!
1974
Il primo ottobre usciva un album di importanza stratosferica, sia nella discografia del gruppo in oggetto che per la Storia della Musica: si tratta di ‘Red’ dei King Crimson, opera assoluta e totalizzante del lider maximo Robert Fripp, descritto dal batterista Bill Bruford come in preda alla piena furia creativa, in quel periodo. Non a caso, un attimo prima della pubblicazione dell’album i King Crimson cesseranno la loro attività, per riprenderla in una veste quasi completamente diversa nel decennio successivo. Uno iato come ve ne saranno altri, che ha magari tenuto nascosto al mondo per un po’ il valore assoluto di un lavoro che è in grado di rivaleggiare con lo scintillante debut per il podio della discografia del Re Cremisi, con la dolcezza articolata di ‘Fallen Angel’ e ‘Starless’ e con la durezza della title track e di ‘One More Red Nightmare’ – che anticipavano di un ventennio le bordate del Double Trio – fino all’inclusione (come sempre senza compromessi) di un’improvvisazione live che vedeva ancora la presenza di David Cross, registrata appunto a Providence. E chissà che il Maestro di Providence H.P. Lovecraft non abbia messo il suo zampino nel valore assoluto di ‘Red’!
Un mese più tardi, dall’altra parte del Mare del Nord i veterani tedeschi Rudolf Schenker e Klaus Meine si erano appena uniti ai Dawn Road di Ulrich Roth e Francis Buchholz, portando in dote un monicker che entrerà nella leggenda: Scorpions! Più di due anni fa parlavamo su queste pagine virtuali del debut ‘Lonesome Crow’; ebbene, il secondo capitolo ‘Fly to the Rainbow’ è il ponte perfetto tra quelle sonorità alt/kraut rock e l’hard settantiano che troverà compimento nei tre album successivi e nel viscerale live ‘Tokio Tapes’. Pertanto, a mio del tutto sindacabile giudizio, resta uno degli album migliori della band di Hannover, con le bordate hard rock dell’opener ‘Speedy’s coming’, la delicata elegia in salsa crauta di ‘Fly People Fly’, la title track totalizzante e le atmosfere sognanti di tutti i pezzi inclusi, che con ‘They Need a Million’ arrivano ad anticipare la wave ottantiana e il gothic rock (non vi ricorda un po’ ‘Elettrica Danza’ dei Litfiba?. Imprescindibile, pur dispiegando una delle copertine più brutte di sempre.
Il calendario di novembre segna ormai l’8 e ben due sono i dischi di nostro interesse: ‘Sheer Heart Attack’ dei Queen e ‘Stormbringer’ dei Deep Purple: sull’importanza del primo non c’è da discutere, sia che siate del team ‘Stone Cold Crazy’ (presente!) o di quello ‘Killer Queen’ o magari di quello ‘Now I’m Here’ (vuoi mettere l’assolo di Vivian Campbell nel tributo a Freddie Mercury?), mentre confesso che il secondo occupa un posto speciale nella mia playlist, nonostante gli innesti funk a opera della (già) vecchia volpe Glenn Hughes e l’ira funesta di Blackmore. Bastano solo i pezzi a lui cari (‘The Gypsy’, ‘Soldier of Fortune’, ‘Lady Double Dealer’ e la title track) a far gridare al capolavoro, ma gli altri sono fantastici comunque, fidatevi. Anche ‘Hold On’, su cui si rifiutò di suonare la ritmica pur stampando un assolo neanche a dirlo memorabile. Sempre meglio di ‘Who Do We Think We Are’…
Siamo al 18 novembre e Roger Glover, che aveva da poco ceduto il posto proprio a Hughes nei Deep Purple, si colloca nel prolifico filone della Purple Family pubblicando ‘The Butterfly Ball and the Grasshopper’s Feast’, un album concepito a mo’ di musical, con tonnellate di ospiti e basato su una storia per bambini scritta all’inizio dell’Ottocento. Due esempi per tutti restano ‘Sitting in a Dream’ e ‘Love is All’, cantate nientepopodimeno che da Ronnie James Dio e riproposte assieme a lui nel live della band madre con l’orchestra del 1999.
Il mese volge all’ultima decade e il 22 i Genesis tirano fuori il canto del cigno di Peter Gabriel, ‘The Lamb Lies Down on Broadway’. Se credete che il paragone con ‘The Wall’ sia azzardato, i casi sono due: o siete die/hard fan dei Genesis o dei Pink Floyd. Per tutti gli altri, c’è un mondo da scoprire nei meandri del regno di Lamia, oltre il quale era forse d’obbligo che tutto cambiasse. Eppure, quei cinque insieme hanno scritto davvero una pagina indelebile, con i loro dischi.
Coda affidata agli Yes di ‘Relayer’, uscito il 29 e ricordato per essere il disco del primo abbandono di Wakeman, in polemica con l’attitudine pomposa dei compagni che si esprimeva con suite di oltre venti minuti del calibro di ‘The Gates of Delirium’, in vena di intemperanze sul palco (come quella volta che si fece portare un pollo al curry durante uno degli interminabili assoli dei compari) e ormai assorbito dai suoi nuovi amici Iommi e Osbourne, come testimoniato dal suo indelebile contributo offerto su ‘Sabbath Bloody Sabbath’. Ma non mi va di parlare male di Relayer’, tutt’altro: con la sua copertina a opera di Roger Dean non può che ricordarmi la serie di “Gea” a opera di Luca Enoch. E scusate se è poco…