I trent’anni di ‘Korn’ – the roots of Nu Metal
Il 11/10/2024, di Gianfranco Monese.
In: The Birthday Party.
Con la morte di Kurt Cobain del cinque aprile 1994 a Seattle, il Grunge conosce il suo definitivo declino, lasciando chiaramente spazio e libero sfogo ad altro. E sempre in America, c’è chi sta cogliendo la palla al balzo, perchè qualcosa di nuovo si muove nell’aria. Il Nu Metal (nome coniato tre anni più tardi da un giornalista di ‘Spin’, nel recensire un concerto dei Coal Chamber) da questo punto di vista può essere definito cugino del Britpop, nato due anni prima in Gran Bretagna. Esplose infatti dalle porte aperte lasciate dal Grunge, ambo le correnti avranno il loro apice più o meno negli stessi anni (1994 – 1999 quella inglese, 1994 – 2003 quella americana), sinonimo che qualità, estro e desiderio di influenzare nuove generazioni ce n’erano: bisognava solo che qualcuno, o qualcosa, le facesse emergere. Restando negli USA, e più precisamente a Bakersfield, si può innanzitutto scrivere che la bravura dei fondatori Korn fu sicuramente quella di aver saputo riscrivere un genere, il Metal, da sempre restìo a contaminazioni, influenzandolo proprio con elementi ad esso in antitesi ed amplificando così quella proposta alternative rock che vide nel singolo del 1986 ‘Walk This Way’, nato dalla collaborazione tra Aerosmith e Run DMC, le prime avvisaglie di una fusione tra Rock e Rap. Oltre a queste basi, nel Nu Metal che ha in ‘Korn’ il suo alfiere molte caratteristiche, anche d’immagine, evolvevano e si contrapponevano all’Hard & Heavy tutto borchie, t-shirt e jeans strappati, ottenendo allora le dovute critiche (la faida tra metallari “true” e “nu” era prassi di quei tempi), ed oggi i dovuti complimenti, dato che il quintetto californiano resta, assieme a Slipknot e pochi altri, tra gli ultimi testimoni ad aver resistito alla prova del tempo, riproponendo ora un alternative Metal sicuramente di buon livello, e riempiedo ancora grandi arene. In tutto questo c’è un qualcosa che il Grunge, pur passando il testimone, lascia: quell’angoscia, quelle crisi, quel male di vivere, quella mente tormentata che prende il nome del frontman Jonathan Davis. Da questo punto di vista il trentenne ‘Korn’ sembrerebbe proseguire quanto lasciato per strada dai Nirvana: ad esempio, ‘Daddy’ parla degli abusi subiti dal cantante, ‘Faget’ tratta di bullismo, sempre a scapito di Davis, “colpevole” ai tempi della high school di mettersi l’eyeliner e di ascoltare molta new wave (ad esempio Duran Duran), venendo appunto definito “faggot” (dispregiativo di gay). Bisogna constatare, guardando innanzitutto copertina e, successivamente, retro, ma anche al futuro del gruppo, come le tematiche riguardo i maltrattamenti ai minori, chi vive nell’ombra (i successivi tre dischi), le caste inferiori o gli emarginati (‘Untouchables’ [2002]) siano parte portante dei testi e delle musiche. Scritto ciò, senza snocciolare un “track by track”, si può quindi desumere che il disco è una sorta di concept, da ‘Predictable’ a ‘Lies’ (rispolverate inaspettatamente in apertura delle setlist del tour in supporto al discusso ‘The Path Of Totality’ del 2012), all’inno ‘Blind’, evergreen di ogni show dal vivo (che sia in apertura o, meglio ancora, in chiusura), sino a quello sprazzo melodioso che ritroviamo nelle cornamuse, ma anche nella fanciullesca filastrocca centrale, di ‘Shoots And Ladders’. Vocalmente Davis abbina un lato infantile ad uno adulto: quell’adulto ormai stanco degli usi ed abusi che ha dovuto sopportare, ed ora urla, boccheggia, si dispera. Il resto della band non è meno drammatico, tra ribassate, sature ed ossute chitarre (che non regalano assoli, preferendo sperimentare), un drumming deciso ed un basso funky: tutto segue un filo (ill)logico, un’asprezza che proseguirà nel successivo ‘Life Is Peachy’ (1996) ed evolverà, com’è giusto che sia, in ‘Follow The Leader’ (1998), segno tangibile che il Nu Metal ed il suo portabandiera ‘Korn’ lo potete anche odiare, e di odio ai tempi il sottoscritto in primis ne ha sentito parecchio, ma è innegabile che sia stato, assieme al Britpop, l’ultima rivoluzione della musica contemporanea. Quella che muoveva ed influenzava le masse, dando loro un senso di appartenenza: oggigiorno, si costruirebbero ponti d’oro per averne un’altra.
Hammer Fact:
– Nell’anno funesto 2020, la rivista Kerrang posizionò ‘Korn’ al primo posto nella classifica dei ventun migliori dischi Nu Metal di sempre.
– Fotografata all’età di otto anni da Stephen Sticker, la ragazza immortalata sull’altalena nella copertina dell’album altri non è che Justine Ferrara, nipote di Paul Pontius, rappresentante dell’etichetta del gruppo Immortal Records. Per quella sessione fotografica, venne pagata trecento dollari.
– Come Davis ha raccontato alla rivista Rolling Stone, il demo di ‘Blind’ si pensa sia stato registrato usando una chitarra di Blackie Lawless dei W.A.S.P., dato che ai tempi ambo le band condividevano lo stesso studio di registrazione: “[…] quando i W.A.S.P. tornavano a casa la sera, ci intrufolavamo ed usavamo la loro merda, così stavamo svegli tutta la notte […]”.
– Per festeggiare i trent’anni del disco, lo scorso cinque ottobre il gruppo si è esibito al BMO Stadium di Los Angeles in compagnia di Evanescence, Gojira, Daron Malakian And Scars On Broadway, Spiritbox e Vended.
Line-up:
Jonathan Davis: vocals & bagpipes
James “Munky” Shaffer: guitars
Brian “Head” Welch: guitars
Reginald “Fieldy” Arvizu: bass
David Silveria: drums
Tracklist:
01. Blind
02. Ball Tongue
03. Need To
04. Clown
05. Divine
06. Faget
07. Shoots And Ladders
08. Predictable
09. Fake
10. Lies
11. Helmet In The Bush
12. Daddy
13. Michael & Geri
Ascolta la band su Spotify