Decades of Aggression: giugno 2024
Il 30/06/2024, di Francesco Faniello.
In: Metal Truth, The Birthday Party.
Non tutti possono
Tendendo le braccia
Afferrare la sorte
Schiaffeggiarle la faccia
Renderla solida ed obbediente
Renderla tenera, incandescente
No, non ho sbagliato articolo e non si parla (anche qui, anche stavolta) della reunion dei CCCP. Solo che le parole di ‘A ja ljublju SSSR’ appaiono la descrizione migliore di quanto realizzato da Sepultura e Pantera in quel giugno del 1994 al Monsters of Rock, quando a Donington portarono il loro Verbo spazzando via contemporaneamente qualsiasi velleità degli allora headliner, che per la cronaca erano gli Aerosmith e gli Extreme. Un po’ come accaduto al Monsters americano del 1988 con i Metallica a pieno regime, insomma. A scorrere il bill notiamo come la parte sottostante (sul Metal Hammer stage!) fosse occupata da un po’ di nomi che andavano per la maggiore nelle rotazioni diurne e soprattutto notturne di MTV all’epoca, tra cui Biohazard, Skin – non la cantante! – e The Wildhearts, con menzione particolare per per il momento di maggiore vicinanza al mainstream dei Therapy? e per la presenza dei Pride And Glory di Wylde e LoMenzo. Ma torniamo ai Pantera… la loro versione di ‘This Love’ è indimenticabile per almeno tre motivi: l’assolo di Darrell in grado di competere con l’originale per iconicità, Anselmo che getta via una pietrolina a caso a 3:55 e il cameraman che riesce a non riprendere praticamente mai Rex Brown…
Dell’esibizione dei Sepultura abbiamo discusso a fondo nella recentissima intervista a Max Cavalera, oltre a condividere ‘Kaiowas’ e ‘Orgasmatron’, ognuna per un motivo diverso e una più important dell’altra. Stavolta ci sta bene ‘Refuse/Resist’, tanto per farvi scendere un’ulteriore lacrimuccia…
“Puntatona” dedicata praticamente agli anni ’90, questa del mese di giugno. Con un’unica ma fondamentale incursione degli Eighties per citare uno degli EP fondamentali del thrash metal, ‘Haunting the Chapel’ degli Slayer. Tre pezzi (poi sei nella versione extended con un pezzo di ‘Live Undead’) descritti all’epoca dalla stessa band come un passo in avanti verso l’estremo (con Lombardo che assimila la lezione di Hoglan e passa alla doppia cassa!), e tuttora un momento chiave per l’evoluzione di un intero movimento. La ragione sta nel progressivo distacco dalle suggestioni NWOBHM che avevano caratterizzato ‘Show No Mercy’ e che qui permangono nel riffing della title track, accompagnata però da due bordate restate negli annali, la frenetica ‘Captors of Sin’ e l’articolata opener ‘Chemical Warfare’: l’una destinata ad essere una colonna portante dei live dell’epoca, l’altra destinata a non abbandonare mai le scalette del quartetto di Huntington Park.
Torniamo agli anni ’90… Ricordo ancora il sorrisetto sornione di Joey DeMaio nel presentare – in uno dei suoi hosting su Headbangers Ball che lo vedeva conduttore incontrastato (anche lì…) – il nuovo singolo di un Bruce Dickinson allora figliol prodigo della casa madre maideniana. L’iniziale straniamento non poté che lasciare spazio a un monito di approvazione per ‘Tears Of The Dragon’, che è ovviamente una canzone bellissima, sia nell’originale con ROy Z alla chitarra che nella versione acustica con Alex Dickson. E ‘Balls to Picasso’? Si tratta di un disco che ha da sempre diviso il pubblico, tra chi lo ha preso poco sul serio e chi invece ha dato esso il presunto giusto credito. Da un lato c’era l’ovvio intento del Nostro di scrollarsi di dosso un’eredità che avrebbe segnato chiunque, lui compreso, dall’altro c’è una scaletta che – al netto di episodi più a cuor leggero come ‘Shoot All the Clowns’ – contiene bei pezzi come ‘Cyclops’, ‘Hell No’, la ballad ‘Change of Heart’ e l’agrodolce ‘Laughing in the Hiding Bush’ (erano i tempi della guerra in Bosnia), che vedevano l’Air Raid Siren più a suo agio con lo spirito del tempo di quanto non fosse in occasione del suo debut solista ‘Tattoed Millionaire’, con un suono “stripped down” che lo rendeva praticamente un gemello del coevo ‘No Prayer For The Dying’.
Ditemi quello che volete, ma io ogni volta che vedo una camicia a quadri, addosso a me o meno, canticchio o ‘Lake of Fire’ nella versione dei Nirvana o ‘Interstate Love Song’ degli Stone Temple Pilots. Sebbene ‘Core’ resti il classico debut col botto, questo ‘Purple’ era la classica conferma che scrollava di dosso le presunte analogie con i Pearl Jam e li proiettava sempre più in alto, compresa la colonna sonora del Corvo con ‘Big Empty’; va poi detto che per molti si contende la palma del miglior disco della band con l’esplosivo debut. Merito delle architetture sonore dei fratelli DeLeo apparentemente accessibili ma molto ben congegnate nella loro complessità, ma anche e soprattutto dell’ugola di Scott Weiland, uno degli angeli caduti del rock (ecco, questa fa molto Virgin/Radiofreccia, ma resta una definizione efficace). Occhio all’opener ‘Meatplow’ e all’avveniristica ‘Lounge Fly’, ma anche a una traccia nascosta dal sapore lounge che fa molto Willy Wonka. Mea culpa, complice un cambio radicale di sound dal disco successivo non li ho seguiti più…
Non è tanto per l’importanza dell’ingresso di Lars Frederiksen accanto agli ex Operation Ivy, ma ‘Let’s Go’ dei Rancid è uno dei dischi chiave del nuovo punk degli anni ’90. Si può avere l’opinione che si vuole su quella fase indubbiamente più mainstream del movimento, ma è indubbio che vedere le creste di ordinanza nel video di ‘Salvation’ su MTV faceva il suo effetto. E poi, siamo a un passo da ‘… And Out Come the Wolves’, anche se personalmente resto più legato a questo secondo album.
Chiusura dei trentennali col botto, con uno di quegli album da Enciclopedia con la E maiuscola. Diffidate dalle imitazioni e dagli sterili elitismi: ‘Welcome to Sky Valley’ dei Kyuss è l’essenza stessa del suono del deserto, il compendio di un sound fatto di pick up al manico, treble e medi al minimo e bassi in evidenza, come è più di quanto era avvenuto su quell’intuizione epocale che era stato ‘Master of Reality’ dei Black Sabbath. Molto del merito va ovviamente alla chitarra di Josh Homme, ma non solo: la voce pacata e alienante di John Garcia e la sezione ritmica precisa e pulsante di Brant Bjork e del nuovo innesto Scott Reeder (proveniente dagli Obsessed e dagli Across the River) sono parte integrante di un quartetto che ha abbandonato le scene sin troppo presto. Ecco, se dovessi scegliere un solo album per la sua importanza tra quelli presentati in questo pur sparuto gruppo di giugno, la mia scelta cadrebbe su ‘Welcome to Sky Valley’, l’essenza dello stoner rock ma anche un lavoro dall’importanza stratosferica per l’evoluzione stessa del rock nei decenni successivi. ‘Gardenia’, ‘Supa Scoopa and Mighty Scoop’, ‘Space Cadet’, ‘Demon Cleaner’ ‘Odyssey’, il rock’n’roll beffardo e assolato di ‘Conan Troutman’ e il blues acido di ‘N.O.’ ripreso dagli Across the River di Reeder, per non parlare delle visioni conclusive di ‘Whitewater’… ognuna è un capolavoro a sé, ma assieme assemblano un disco inattaccabile, come un monolite nel deserto. È il momento di riascoltarlo.
Pensavate mi sarei dimenticato dei Nightwish? Ma no… anche se in questo speciale arrivano come i Mötley Crüe dopo gli Heaven and Hell a Monza nel 2009, non si può non citare un album come ‘Once’, d’altronde messo qui a rappresentare gli anni 2000. Trascinato dai due singoloni ‘Nemo’ e ‘Wish I Had an Angel’, rappresenta anche l’ultimo atto della storica singer Tarja Turunen con la formazione finlandese. Un abbandono da cui molti non si sono mai ripresi, e al di là dei gusti personali va detto che la voce della Nostra può vantare innumerevoli tentativi di imitazione (come la Settimana Enigmistica che vi attende sotto l’ombrellone!), ma resta a suo modo un unicum nella storia dell’heavy metal. Gotico o sinfonico che sia…