Stef Burns (Alice Cooper, Vasco Rossi, Heroes And Monsters…) – I miei 10 dischi fondamentali
Il 27/05/2024, di Fabio Magliano.
In: Hammer Chart.
Ospite questo mese della rubrica Hammer Chart è un musicista che, definire poliedrico, è sicuramente riduttivo. Noto ai più su scala nazionale per essere partner in crime di Vasco Rossi, Stef Burns è chitarrista dal curriculum tale da fare impallidire anche il più scafato degli axe man. Nel corso della sua carriera il “nostro” ha infatti avuto modo di suonare con artisti del calibro di Berlin (si, quelli di ‘Top Gun’!), Michael Bolton, Y&T, Alice Cooper, e da qui il decollo verso il Blasco, senza disdegnare collaborazioni con Huey Lewis And The News, Narada e una carriera solista decisamente di valore, oltre alla recente avventura con gli Heroes And Monsters. Stef, recentemente visto sul palco di Sanremo con Il Volo e in procinto di imbarcarsi nel solito tour da sold out con Vasco (partirà il 2 giugno da Bibione), ci regala una Top Ten decisamente varia, dal grande gusto e per nulla scontata, con alcune chicche davvero gustose!
Jeff Beck – ‘Emotion & Commotion’ (2010)
‘Emotion & Commotion’ è il decimo album in studio del chitarrista Jeff Beck. Pubblicato nell’aprile 2010 da Atco Records, vede il chitarrista britannico collaborare con musicisti di grande spessore: oltre alle performance vocali di Joss Stone, Imelda May e Olivia Safe, il musicista si confronta con un’orchestra di 64 elementi in diverse tracce, tra le quali alcuni brani immortali come ‘Over the Rainbow’, ‘Corpus Christi Carol’, ‘I Put A Spell On You’ e addirittura il ‘Nessun Dorma’ di Puccini. Il disco è stato bene accolto dai fan, debuttando alla posizione n. 11 della Billboard 200 negli Stati Uniti, con 26.000 vendite, il debutto più alto di Beck in 45 anni di carriera. L’album ha raggiunto il n. 21 nel Regno Unito e ha debuttato al n. 9 in Canada, al n. 1 in Giappone nella Weekly International Album Sales Chart e il numero 49 in Australia. ‘Hammerhead’ ha vinto il Grammy Award 2011 per la migliore performance strumentale rock mentre il già citato ‘Nessun Dorma’ ha vinto il Grammy Award per la migliore performance strumentale pop.
Steely Dan – ‘Two Against Nature’ (2000)
Si sono voluti 20 anni e due di lavorazione per assistere al ritorno sulla scena discografica della rock band americana Steely Dan, ma alla fine il come back di Donald Fagen e soci si rivela un successo clamoroso. L’ottavo album del gruppo viene registrato dal 1997 al 1999 e vede la luce il 29 febbraio 2000 via Giant Records, arrivando a vincere quattro Grammy Awards: Album dell’anno, Best Pop Vocal Album, Best Engineered Album – Non-Classical, e Best Pop Performance by a Duo or Group with Vocals (per il singolo ‘Cousin Dupree’). Dal punto di vista commerciale, l’album ha raggiunto la sesta posizione nella classifica statunitense Billboard 200 e ha venduto più di un milione di copie, ottenendo la certificazione di platino dalla Recording Industry Association of America. Musicalmente il disco presenta quegli elementi che avevano caratterizzato da sempre il sound degli Steely Dan, con quel sofisticato mix di jazz, rock, funk, R&B e pop.
Pat Metheny Group – ‘Still Life (Talking)’ (1987)
Il quinto album in studio del Pat Metheny Group vede la luce il 7 luglio 1987 dopo aver richiesto due mesi di registrazione al Power Station di New York City. E’ il primo album ad uscire per la Geffen Records ma, soprattutto, è il primo disco nel quale Metheny utilizza la chitarra elettrica Coral Star con la quale realizza la celebre ‘Last Train Home’. Nuovamente vicino a certe sonorità brasiliane, come testimoniano le varie ‘Minuano (Six Eight)’ e ‘So May It Secretly Begin’ il disco è caratterizzato dalla sensibilità del chitarrista alle prese con una delle sue migliori performance, ben coadiuvato dal tastierista Lyle Mays, dal bassista Steve Rodby e dal batterista Paul Wertico. Metheny, a supportare ben tre cantanti (il percussionista-vocalist Armando Marcal, David Blamires e Mark Ledford). Il disco ha riscosso un buon successo vincendo il Grammy Award per la migliore performance jazz fusion e venendo certificato oro dalla RIAA il 2 luglio 1992.
Stevie Wonder – ‘Innervisions’ (1973)
Uno dei capolavori del cantante/polistrumentista di Saginaw vede la luce nel 1973 per la Tamla Records facendo sin da subito incetta di riconoscimenti, sino a venire ampiamente considerato da fan, critici e colleghi uno dei migliori lavori di Wonder e uno dei migliori album di sempre. Il disco, che vede Wonder cimentarsi per buona parte dei brani con tutti gli strumenti, va a trattare varie tematiche sociali quali l’abuso di droghe, le discriminazioni razziali, la politica con un sarcastico attacco al Presidente Nixon nonchè quell’amore sempre presente nelle composizioni di questa icona del pop. ‘Innervisions’ raggiunse la quarta posizione in classifica nella Billboard Top LPs & Tapes e la prima nella Billboard Soul LPs, aggiudicandosi il Grammy come “Album of the Year” e “Best Engineered Non-Classical Recording”, mentre la canzone ‘Living for the City’ vinse come Best R&B Song. Nel 1999, ‘Innervisions’ è stato inserito nella Grammy Hall of Fame.
Beatles – ‘Abbey Road’ (1969)
Questa autentica icona della musica nonchè l’ultimo album in studio inciso dai Beatles vede la luce il 26 settembre 1969, divenendo l’album del quartetto di Liverpool più venduto di sempre con più di cinque milioni di copie commercializzate nel primo anno. L’album, oltre all’iconica copertina, contiene alcune delle canzoni più celebri dei Beatles come ‘Come Together’, ‘Here Comes The Sun’, ‘Something’ e ‘Octopus’s Garden’, seconda e ultima composizione come unico autore di Ringo Starr. Nel Lato B vene invece inserito un lunghissimo medley in cui ballate e brani rock’n’roll si susseguono senza soluzione di continuità. Musicalmente ‘Abbey Road’ incorpora stili come il rock, il pop, il blues e il rock progressivo e fa un uso importante del sintetizzatore Moog e della chitarra suonata attraverso un’unità di altoparlanti Leslie. Sebbene il disco sia stato registrato in un’atmosfera più collegiale rispetto alle sessioni di ‘Get Back / Let It Be’ dell’anno precedente, ci furono comunque scontri significativi all’interno della band, in particolare per la canzone di Paul McCartney ‘Maxwell’s Silver Hammer’ tanto che John Lennon non si esibì in diversi brani, arrivando a lasciare il gruppo al momento della pubblicazione dell’album. La rivista Rolling Stone lo ha inserito in quinta posizione nella classifica dei 500 migliori album della storia.
Van Halen – ‘1984’ (1984)
Il sesto album dei Van Halen, l’ultimo in studio con tutti e quattro i membri originali e con David Lee Roth dietro al microfono (prima di ‘A Different Kind of Truth’ del 2012) vede la luce via Warner il 9 gennaio 1984. Musicalmente si presenta come un fantastico ibrido tra glam, hard rock, synth rock e pop, complice la presenza di brani iconici come ‘I’ll Wait’ e, soprattutto, l’immortale ‘Jump’. Insieme all’album autointitolato, ‘1984’ è ad oggi l’album più venduto dalla band avendo sfondato nei soli Stati Uniti la barriera delle 10 milioni di copie. Un successo sin dal momento della sua uscita quando raggiunse la seconda posizione della Billboard 200 (la prima era occupata da ‘Thriller’ di Michael Jackson) rimanendovi per cinque settimane. Tra i brani simbolo del disco, oltre ai già citati ‘Jump’ (unico singolo dei Van Halen a raggiungere il primo posto della Billboard Hot 100) e ‘I’ll Wait’, l’irriverente ‘Hot For Teacher’ e ‘Panama’.
Led Zeppelin – ‘Houses Of The Holy’ (1973)
Andando a pescare nella discografia dei Led Zeppelin, il chitarrista americano sceglie ‘Houses of the Holy’, quinto album di Page & Co. ma soprattutto lavoro che rappresenta una svolta stilistica per il gruppo britannico. Pubblicato il 28 marzo 1973 negli Stati Uniti e il 30 marzo 1973 nel Regno Unito dalla Atlantic Records, ‘Houses Of The Holy’ va ad abbandonare in gran parte la distorsione del rock blues degli esordi, andando ad abbracciare un suono rock più pulito dal quale emerge un sound di chitarra più luminoso. E’ inoltre un disco che si contraddistingue per il suo ecclettismo stilistico, con echi swing in ‘Dancing Days’, esperimenti reggae in ‘D’Yer Mak’er’ e strizzate d’occhio alla psichedelia in ‘No Quarter’. Una scelta che divise inizialmente pubblico e critica ma che non impedì all’album di riscuotere un notevole successo commerciale, ricevendo la certificazione di diamantedalla Recording Industry Association of America (RIAA) nel 1999 per almeno 10 milioni di copie vendute negli Stati Uniti. In Italia il disco raggiunse la posizione numero 4 in classifica.
Mike Stern – Upside Downside (1986)
Il debutto discografico per questo straordinario chitarrista statunitense, già visto all’opera con artisti del calibro di Billy Cobham e Miles Davis, avviene nell’aprile del 1986 per la Atlantic e ci mostra un Mike Stern a capo di un sestetto d’eccezione che comprende anche il sassofonista Bob Berg, il tastierista Mitch Forman, il bassista Mark Egan, il percussionista Dr. Gibbs e il batterista Dave Weckl. Notevoli anche i guest presenti, su tutti il bassista Jaco Pastorius con cui Stern aveva lavorato nella Word of Mouth Orchestra e il batterista Steve Jordan. Un album eccellente, con un suono prevalentemente elettrico, con passaggi decisamente pesanti per il jazz come nel caso della title track e altri più soffusi come la ballata ‘After You’. Un lavoro in cui tecnica e feeling vanno a braccetto, un piccolo gioiellino fusion divenuto culto con il passare degli anni.
Jimi Hendrix – Band Of Gypsys (1970)
Il disco in questione rappresenta l’unico album live registrato da Jimi Hendrix con la sua band originale, la Jimi Hendrix Experience con Billy Cox al basso e Buddy Miles alla batteria. Testimonianza di quattro concerti tenuti al Fillmore East di New York per il Capodanno del 1969, il disco mescola elementi funk e rhythm and blues con hard rock e jamming, un approccio che in seguito diventerà la base del funk rock e fu l’ultimo album completo di Hendrix pubblicato prima della sua morte, avvenuta sei mesi dopo. Negli Stati Uniti, la Recording Industry Association of America (RIAA) certificò per la prima volta ‘Band of Gypsys’ come “disco d’oro”, che significava vendite superiori a 500.000 copie, il 3 giugno 1970, meno di due mesi dopo la sua pubblicazione. Il 5 febbraio 1991, l’album raggiunse lo status di “disco di platino” (più di un milione di copie vendute). Dopo che la Capitol Records ha ripubblicato l’album su CD nel 1997, il 16 gennaio 1998 è stato premiato con il “Doppio Platino”, per le vendite superiori ai due milioni. Inoltre, il DVD documentario ‘Live at the Fillmore’ del 1999 ha ricevuto il disco di platino.
Greatest Hits…
Come decimo album, il chitarrista statunitense ha proposto un suggestivo greatest hits con brani scelti di Earth Wind and Fire, Paul Simon, James Taylor, The Who, Pink Floyd, Foo Fighters e allora non abbiamo altro che l’imbarazzo della scelta. Stuzzica l’idea di poter ascoltare, senza soluzione di continuità, ‘That’s the Way of the World’ degli Earth e ‘The Sound Of Silence’, ‘Something In The Way She Moves’ di James Taylor, ‘Shine On You Crazy Diamond’ e ‘Baba O’Riley’ sino ad arrivare a ‘Best Of You’ dei Foo Fighters, per poi ripartire con ‘My Generation’, ‘Another Brick in The Wall’, ‘I Am A Rock’, ‘Open Your Eyes’, ‘Big Me’… sicuramente c’è da divertirsi!