I vent’anni di ‘Dance Of Death’: ‘Don’t tell me that this is the end’
Il 08/09/2023, di Gianfranco Monese.
In: The Birthday Party.
Un fatto è certo, o meglio scontato: con il rientro di Bruce Dickinson e Adrian Smith nei ranghi, gli Iron Maiden sono tornati quelli di un tempo. ‘Brave New World’ (2000) prima e ‘Rock In Rio’ (2002) dopo, ne sono stati la conferma. Nel 2003 però, è tempo di guardare avanti, e di consegnare un degno successore ad un album che ha ridato splendore ad una band che, nel decennio precedente, aveva perso parecchio del suo smalto. Non che il gruppo abbia nuovamente qualcosa da dimostrare, ma l’essere tornato alla ribalta con una formazione ampliata e un lavoro degno di nota, ha riposto nei fan quelle aspettative che erano andate un pò scemando dopo ‘Seventh Son Of a Seventh Son’ (1988). Personalmente, vent’anni dopo ‘Dance Of Death’ è quel portale che conduce alle uscite successive, nelle quali molti (ma non il sottoscritto) sentiranno delle venature progressive, giustificate da una maggior durata dei brani. Non che il precedente ‘Brave New World’ duri poco, anzi tra i due dischi la differenza è di un minuto e quattro secondi, ma da qui in avanti la faccenda si fa musicalmente meno coinvolgente e più “introspettiva”.
Caro è il tema della morte, spesso ricorrente ma non abbastanza da definire l’album un concept: dal surreale della titletrack, al massacro del 1244 da parte dei Cattolici nel castello cataro di ‘Montségur’ (studio, questo, svolto da Dickinson durante una vacanza nel sud della Francia), all’oscenità della guerra in ‘Paschendale’. La restante parte della tracklist è più variegata: dallo scadere del proprio tempo in ‘No More Lies’, alla critica al mondo digitale di ‘Gates Of Tomorrow’, con la preoccupazione che possa essere il vero e unico “domani”, al vivere una vita senza freni (‘Wildest Dreams’), alla condizione penosa in cui versa oggigiorno il nostro pianeta (‘Face In The Sand’, ‘Age Of Innocence’). Pure i brani non sono omogenei: si passa dall’hard rock frenetico dei primi due singoli estratti (‘Wildest Dreams’ e ‘Rainmaker’), alle sfaccettature strumentali e vocali, con un imprescindibile uso di tastiere, di ‘No More Lies’, al primo brano interamente acustico scritto dal sestetto (‘Journeyman’). E personalmente, ad essere disomogenea è anche la loro qualità, un discorso questo che credo parta proprio da ‘Dance Of Death’ in avanti: effettivamente, tolto ‘Brave New World’, è ormai noto come fino all’attuale ‘Senjutsu’ (2021) i lavori in studio post reunion facciano discutere i fan di tutto il pianeta, sinonimo di virtù contrastanti.
Ognuno di voi, incluso il sottoscritto, avrà una propria classifica, e riterrà questo disco migliore o peggiore di quelli successivi o precedenti: queste chiacchiere non avranno mai fine. Quel che è certo, è che a partire da qui la proposta della vergine di ferro si farà sempre più intima e distesa, alle volte con risultati più soddisfacenti, come lungo questo album, altre volte meno (come personalmente in ‘The Final Frontier’ [2010] e nell’ultimo lavoro di due anni fa). Riascoltato quest’anno, e dopo quanto già scritto, si può quindi concludere che ‘Dance Of Death’ rimarca quello che sarà il trend che i londinesi adotteranno in studio lungo tutto questo nuovo millennio; nulla toglie o aggiunge alla loro celebre discografia, non è invecchiato bene o male, è assieme ai suoi successori un disco che sta nel mezzo, dal quale poter pescare brani più valevoli affiancati ad altri meno convincenti.
Dopo poco più di un mese dalla sua uscita, il gruppo lo promuoverà in tour in Europa (prima data il 19 ottobre a Debrecen, in Ungheria, mentre in Italia la band suonerà ad Assago e Firenze rispettivamente il 27 e 28 ottobre), e dallo show del 24 novembre in quel di Dortmund verrà poi pubblicato, il trenta agosto 2005 in CD ed il sei febbraio 2006 in DVD, il documentario dal vivo ‘Death On The Road’. Dopodichè, sarà il turno di ‘A Matter Of Life And Death’ (2006).
Hammer Fact:
– Come riportato nell’autobiografia di Bruce Dickinson ‘What Does This Button Do’ (2017), discutibile fu la scelta della copertina del disco. In effetti, nonostante la band abbia da sempre abituato fan e addetti ai lavori a copertine variopinte, accattivanti e davvero originali, questa volta il risultato fu, a detta del cantante, imbarazzante. La colpa fu di Steve Harris, a cui piacque una versione lavorata al computer non ancora finita, senza volerla cambiare, modificare o concludere. David Patchett, autore dell’opera, fu talmente desolato della scelta (d’altronde, come in ogni campo dell’arte, è comprensibile come ogni artista debba “riconoscersi” in una propria creazione), che chiese di non inserire il suo nome nei crediti del disco.
– Ad oggi, ‘Dance Of Death’ è l’unico album degli Iron Maiden a presentare il batterista Nicko McBrain nei crediti di un brano: trattasi della settima traccia ‘New Frontier’.
– Il primo singolo estratto ‘Wildest Dreams’ (di cui il video sottostante), pubblicato il primo settembre 2003, venne presentato in anteprima durante il tour estivo ‘Give Me Ed… ‘Til I’m Dead Tour’: la decisione della band di sceglierlo come primo singolo venne presa dopo la più che positiva risposta da parte del pubblico durante l’esecuzione di quel pezzo. In Italia, il gruppo lo suonò nell’unica data che si svolse domenica 15 giugno 2003 presso l’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola, nella kermesse dell’Heineken Jammin’ Festival.
– Nelle foto presenti nel libretto del CD, si possono notare i singoli membri della band all’interno di una maestosa villa (quattro di loro seduti o appoggiati su un divano color rosso), guardare dritti in una direzione, attorniati da sinuosi “fantasmi” femminili. A detta di Steve Harris, il lato negativo di quella sessione fotografica fu che ogni musicista dovette guardare per molto tempo in un’unica direzione, senza farsi distrarre da queste ragazze seminude che gli si muovevano attorno, mentre il fotografo, con una corretta impostazione della velocità dell’otturatore della fotocamera, fece in modo che, membri a parte, le comparse risultassero sfocate, sembrando surreali.
Line-Up:
Bruce Dickinson: vocals
Steve Harris: bass, backing vocals
Dave Murray: guitar
Adrian Smith: guitar, backing vocals
Janick Gers: guitar
Nicko McBrain: drums
Tracklist:
01. Wildest Dreams
02. Rainmaker
03. No More Lies
04. Montségur
05. Dance Of Death
06. Gates Of Tomorrow
07. New Frontier
08. Paschendale
09. Face In The Sand
10. Age Of Innocence
11. Journeyman
Ascolta il disco su Spotify