Inner Vitriol, impressioni di città
Il 01/09/2023, di Dario Cattaneo.
In: Speciali Monografici.
Quando si parla di prog italiano, uno dei primi nomi – ma diremmo anche tranquillamente Il Primo -che viene in mente è sicuramente la PFM, la Premiata Forneria Marconi. E quando si parla del gruppo di Mussida e Premoli, certamente è parlare anzi, più propriamente, cominciare proprio con il loro primo singolo targato 1971: ‘La Carrozza di Hans/Impressioni di Settembre’.
Se il lato A, comunque bellissimo, è diventata col tempo soltanto una gemma da degustazione per fans; il lato B – ‘Impressioni di Settembre’ appunto – ha raggiunto con tempo una popolarità decisamente maggiore, diventando presto uno dei pezzi da battaglia del gruppo, brano apprezzatissimo anche fuori confine.
Molte sono state le versioni riproposte dalla PFM stessa della canzone (già solo la versione contenuta nell’album ‘Storia di un Minuto’ da cui è tratto il singolo è diversa da quella del B-Side stesso); cosi come molte sono state negli anni le riproposizioni ad opera di altri artisti: quella di Dargen D’Amico, quela del più autorale Battiato e ovviamente l’indimenticabile versione 2009 del best of dei Marlene Kuntz… anche la bravissima Antonella Ruggiero ha recentemente aggiunto la sua impronta alla virtuale walk of fame di questa specifica canzone: una serie di stelle di cui ascoltiamo sempre volentieri la testimonianza.
Un’altra impronta dunque si aggiunge oggi sulla strada dedicata alla PFM, mentre i nostrani Inner Vitriol pubblicano in questo primo settembre il proprio taglio su questo immortale brano, presentandocelo secondo gli occhi di una band appartenente si alla scena progressiva, ma con mani e piedi saldamente ancorati nel metal attuale.
Una introduzione doverosa da parte nostra, perché siamo qui a spiegarvi attivamente il brano degli Inner Vitriol, che oltre che un sound diverso e attualizzato, rovescia praticamente l’ambientazione stessa della canzone: dove il verde, la nebbia, la rugiada, l’odore della terra e del grano rappresentavano nel ’71 lo straniamento e l’alienazione di Mussida e Mogol, con le stesse parole ma suoni e scelte esecutive diverse gli Inner Vitriol dipingono gli stessi sentimenti su una tela opposta, trasportando l’intero significato del brano in un contesto urbano, cittadino. Con un pennello quindi meno largo e generoso di colori, ma ugualmente foriero di emozioni, la band bolognese dipinge – e rappresenta sulla copertina – un diverso panorama, più asciutto ed elettrico, ma in cui ritrovare sentimenti simili. E così, anche se il cantato segue correttamente da vicino gli emozionanti canoni originali, dal punto di vista strumentale troviamo un brillante affresto prog (metal) in cui un delicato pianoforte dipinge dolci chiaro scuri sul tumultuoso tappeto di chitarre sottostante, una ondivaga base su cui appunto appoggiare i poetici ed evocativi passaggi del testo.
Cosa dire? Una mossa riuscita per gli Inner Vitriol, che si sono messi in gioco nel difficile tentativo di aprire un brano di per se emozionalmente complicato, estraendone i concetti astratti, attualizzandoli con le proprie esperienze e ridipingendo il tutto usando un diverso linguaggio musicale. Un pezzo di musica che non ci parla ancora dell’atteso album di prossima uscita, ma che ce la dice lunga sull’animo più intimo della band. Bravi.