Tutto scorre, poetica e Metallica
Il 25/06/2023, di Alessandro Fabro.
In: Metal Flow.
“The times they are a-changin'”
Bob Dylan
La vita di ogni essere umano è fatta di fasi, periodi più o meno lunghi che tendono a confluire naturalmente in ulteriori momenti, che rappresentano il frutto di quanto appreso e compiuto in precedenza, ma che sono anche determinati dall’imprevedibile intrinseco all’esistenza. Come sfondo a questi mutamenti esiste un elemento più costante nella persona, che continua a formarsi per tutto l’arco della vita ma che al contempo mantiene integri alcuni caratteri. Stiamo parlando della personalità di una persona, del suo carattere, della sua natura, di ciò che la rende unica. La relazione tra questo elemento e il mondo è di reciproco scambio: da una parte ogni uomo per vivere adegua costantemente se stesso a regole naturali o umane, dall’altra egli plasma il mondo che lo circonda attraverso le proprie scelte e il proprio modo di sentire la vita.
Essendo l’arte parte della vita, non è certamente esente da tutto ciò. Ogni artista attraversa fasi differenti pur mantenendo costante un tratto che lo contraddistingue: si tratta della sua poetica. Pensiamo a una band come gli Ulver: pur attraversando generi musicali tra loro molto distanti (black metal, folk, trip-hop, darkwave…) esiste nella loro musica un elemento che va al di là delle scelte estetiche e di arrangiamento e che rappresenta il cuore di quel progetto artistico, la sua natura più intima. Compito del buon artista è comprendere in quale forma questo contenuto può esprimersi appieno: meglio una chitarra o un sintetizzatore, un doppio pedale o una drum machine, una scala blues o una neoclassica?
Esistono artisti che riescono in giovane età a trovare una formula particolarmente efficace al momento storico o che, letteralmente, cambiano il modo di sentire collettivo. Pensiamo ai Metallica, fenomenali nella capacità di trasmettere la loro poetica a milioni di persone e a creare una sinergia tra il proprio modo di sentire e quello degli altri. Parliamo di un forte coinvolgimento emotivo ed è proprio questo fattore che può condurci a commettere un errore.
Prima che esca il nuovo disco di una band storica, spesso in rete si possono osservare centinaia di commenti che, nella sostanza, esprimono questo concetto: “speriamo che sia come i primi dischi”. Questa aspettativa rivela una nostalgia per il passato e il desiderio che qualcuno riesca a riportarci indietro. Sogniamo un nuovo ‘Ride the Lightnin’ perché desideriamo emozionarci di nuovo come quando eravamo adolescenti, ma questo non è più possibile negli stessi termini. E questo desiderio può renderci miopi e ottusi, perché ostinandoci in questo pensiero non domandiamo a un artista di scrivere belle canzoni, ma di scrivere canzoni come vogliamo noi. E questo non è un nostro diritto, anche se compriamo i suoi dischi e andiamo ai suoi concerti. Essere acquirenti non garantisce questo privilegio.
Sono pochi gli artisti che hanno il coraggio di ignorare le logiche del mercato e che proseguono la propria strada incuranti di certe critiche sterili. Molti, a un certo punto, comprendono cosa vende e piace di più e scelgono di proseguire la propria fulgida carriera in questa maniera. Un modo che, tuttavia, è ai nostri occhi parzialmente disonesto e sicuramente poco coraggioso. Siamo sicuri che nel recente ‘72 Seasons’ si possa ritrovare lo spirito dei primi Metallica più di quanto non fosse possibile nel tanto vituperato ‘St. Anger’, disco sottotono da diversi punti ma che, ai nostri occhi, conserva uno spirito di sperimentazione assente nei lavori odierni? Non sarebbe stato più interessante osservare la sua evoluzione naturale e trovarci, forse, di fronte a un nuovo grande disco? L’impressione di chi scrive è che, a partire da ‘Death Magnetic’, i Metallica si siano accomodati in una versione borghese e rassicurante di ciò che è stata la loro epoca d’oro. Diverse loro canzoni recenti sono indubbiamente di buona qualità: Hetfield e Ulrich, i Lennon-McCartney del Metal, non hanno dimenticato come si scrive. Ma quello spirito, quello dei Four Horsemen, è ormai troppo diluito per risultare ancora credibile. Quella rabbia, quel desiderio di rivalsa, che ancora si percepiva nell’odiata trilogia ‘Load’-‘Reload’-‘St.Anger’ (al netto dei numerosi problemi di quei lavori) sembra essere stata sostituita da un sentimento che vuole richiamare quella furia, pur senza riuscirvi.
In questi tempi si parla spesso di inclusione e il Metal dimostra che si tratta di un fenomeno possibile. Siamo passati dagli anni ’80, uno dei momenti in cui il genere è stato più integralista, alla situazione contemporanea in cui, fortunatamente, non fa più scandalo vedere calcare i palchi dei più importanti festival artisti che un tempo non sarebbero stati accettati facilmente per tutta una serie di ragioni (etnia, sesso, orientamento sessuale, pensiero politico…).
Ma, oltre ad accettare chi è diverso da noi, è importante accogliere il cambiamento degli artisti che amiamo e nei quali ci identifichiamo. Loro, come noi, hanno diritto a cambiare le forme in cui esprimere la propria poetica e personalità. È bene criticare una scelta se non la si condivide, ma desiderare che un artista si cristallizzi nel tempo è ingiusto, perché lo si costringe a parlare una lingua morta, che nulla ha da spartire con quella della contemporaneità.
Alcuni artisti, appartenenti anche ad altri generi musicali, ci hanno dimostrato che anche in età avanzata si possono produrre lavori ricchi in termini qualitativi e dall’ampio respiro: pensiamo ai Depeche Mode con il recente ‘Memento Mori’, gli ultimi dischi di Dylan e Cohen…si potrebbe andare avanti per pagine e pagine. Opere diverse dai capolavori degli esordi, ma nei quali si può ancora sentire lo stesso spirito originario. Questo è ciò che più conta e ciò che dobbiamo ricercare e chiedere ai nostri beniamini.
Con questo pensiero non si vuole affermare che la causa della staticità di una band sia da ricercare esclusivamente nella fanbase. Le possibilità sono infinite e ogni gruppo fa storia a sé, i Metallica non sono certamente i soli a trovarsi in una condizione di stallo creativo. Ma, se possiamo, cerchiamo di non metterci del nostro, criticando in modo più consapevole e accettando la naturale impermanenza di tutte le cose. Una richiesta che non viene dalla penna di chi scrive, ma dallo stesso Hetfield, che di fronte a una folla oceanica si è detto spaventato dall’inesorabile trascorrere del tempo, dimostrando in questo modo di amare la vita e di avere ancora molto da dire.