Opeth – I vent’anni di Damnation
Il 22/04/2023, di Alessandro Ebuli.
In: The Birthday Party.
‘Deliverance’ viene completato, invece ‘Damnation’, il suo gemello, necessita di ulteriori rifiniture; nel contempo l’etichetta Music For Nations, per motivi puramente promozionali, decide che i due prodotti dovranno essere pubblicati separatamente in quanto opere sostanzialmente troppo diverse tra loro sia nell’aspetto che nella sostanza.
Scrivevo più o meno queste parole lo scorso dodici novembre in questo articolo; mentre ‘Deliverance’ compie i suoi primi vent’anni, il fratello ‘Damnation’ ha ancora bisogno di rifiniture. Sono necessari cinque mesi prima dell’effettiva immissione sul mercato, tempo in cui gli Opeth lavorano incessantemente su una dozzina di brani sostanzialmente diversi da quelli ascoltati su ‘Deliverance’, fatta esclusione per due in particolare: ‘A Fair Judgement’ e ‘For Absent Friend’, composti seguendo una linea che ritroveremo esattamente nello stile meno aggressivo delle tracce contenute in ‘Damnation’. Appare chiaro come l’intento iniziale di Åkerfeldt fosse quello di creare una sorta di circolarità tra i due dischi e che forse, a posteriori, avrebbe anche potuto funzionare, ma il rischio che due opere di tale differente impatto emotivo e intimo venissero uniti in una sola pubblicazione, per giunta nei primi anni duemila pregni di musicalità aggressive e invadenti provenienti dagli States – Nu Metal in primis -, fa pensare che probabilmente l’operazione avrebbe ricevuto pesanti critiche e non sarebbe stata compresa a fondo. Ciò che maggiormente avrebbe risentito di una pubblicazione doppia è stato sicuramente il rischio di un ascolto ostico a causa dell’eccessiva lunghezza di un prodotto di non facile assimilazione come del resto è tutta l’opera degli Opeth, questo è innegabile, e il fatto che i due album siano così esplicitamente diversi l’uno dall’altro avrebbe creato un divario tra la produzione più metal del primo a discapito, possiamo immaginare, delle tessiture più fini, eleganti e dark del secondo, ma non per questo meno suggestive e cariche di pathos.
Si prenda ad esempio l’opener ‘Windowpane’, uno tra i brani più suggestivi e apprezzati della band, suoni eleganti eppure composti in cui la voce del frontman Åkerfeldt si muove sinuosa tra le delicate trame intessute dalle chitarre elettrica e acustica. Si potrebbe affermare che sia esattamente questo album il vero anticipatore della mutazione progressiva degli Opeth, laddove le partiture Prog/Jazz si muovono libere di trovare uno spazio che fino a ‘Deliverance’ era apparso sempre un po’ troppo relegato a mero contorno all’interno dei brani più lunghi nella produzione del gruppo. Certe atmosfere di ‘Still Life’, verosimilmente goticheggianti, in qualche modo andavano a lambire i territori qui meglio espressi, ma è risaputa la passione di Åkerfeldt per il Progressive Rock degli anni settanta, e se nei primi cinque album degli Opeth questa enorme passione emergeva soltanto a tratti, finalmente in ‘Damnation’ Åkerfeldt riesce a dare sfogo al suo desiderio di esprimersi con una musicalità che al Death Metal non deve assolutamente nulla. Ciò che permane quale tratto distintivo lungo le otto tracce dell’album è una forte componente melodica capace di rendere l’opera estremamente godibile, con una presenza di tappeti di tastiere evocativi e funzionali all’insieme degli arrangiamenti, oltre alla totale assenza, per la prima volta nella storia degli Opeth per tutta la durata di un album, delle growl vocals. Altro brano assolutamente imperdibile è ‘In My Time Of Need’, uno tra i più proposti in sede live, così come ‘Death Whispered A Lullaby’, ‘Hope Leaves’ e ‘To Rid A Desease’, tutte sullo stesso piano Progressive, ma sempre permeato di quell’aura Opethiana che pur non tangendo il Death Metal rimanda immediatamente ai suoni più canonici degli album del passato. Discorso diverso per tre brani in scaletta: il primo, ‘Closure’, fin troppo debitore nei confronti dei Porcupine Tree di Steven Wilson, anche in questo caso in veste di produttore come nel gemello ‘Deliverance’, ma anche vicino alle sonorità acustiche dei Led Zeppelin. C’è poi lo strumentale ‘Ending Credits’, una sorta di esperimento all’interno del quale la chitarra di Åkerfeldt ricorda quella del maestro Carlos Santana, pur non lambendo sonorità latine, ben inteso, ma esplorando territori meno consoni al Nostro eppure godibili, piacevoli, persino sorprendenti. E last, but not least, la conclusiva ‘Weakness’, in cui emerge preponderante il Progressive Rock entrato nelle corde emozionale di Åkerfeldt. A mio giudizio questo brano è il vero anticipatore di quello stile puramente Progressive che troveremo a tratti in ‘Watershed’ del 2008, ma soprattutto in ‘Heritage’ nel 2011, IL vero esperimento della band, perpetrato nei successivi ‘Pale Communion’ nel 2014 con buoni risultati e ancora in ‘Sorceress’ nel 2016 con, purtroppo, evidenti mancanze nel complesso della struttura e nell’amalgama dei brani di cui questo album si compone. Ma al di là di riferimenti e/o paragoni necessari nell’analizzare e omaggiare ‘Damnation’, è chiaro che sia un prodotto destinato ai fan più vicini al gruppo, eppure si tratta di un disco che potrebbe fare da trait d’union tra chi preferisce sonorità più moderate rispetto ad altre più violente tipiche del Death Metal e perché no, riuscire ad avvicinare quello specifico pubblico a dischi che altrimenti avrebbero forse ignorato.
In qualunque modo venga inquadrato, ‘Damnation’ rimane un tassello estremamente importante all’interno di una nutrita discografia neppure troppo varia, in primis per il fatto di essere la risultante dell’espressività più intima del frontman, che qui dà veramente sfogo alle suggestioni più profonde della sua penna.
Hammer Fact:
-il ritornello di To Rid the Disease è stato ripreso da una canzone scritta precedentemente da Mikael Åkerfeldt per il suo progetto ‘Sorskogen: Mordet I Grottam’ fortemente ispirato dal Progressive Rock anni settanta da band quali Camel, Genesis, Gentle Giant, King Crimson, del quale però allo stato attuale non esiste alcuna pubblicazione ufficiale ma soltanto un video su YouTube.
-la produzione è affidata ancora una volta a Steven Wilson, che qui compare anche in veste di musicista (pianoforte, mellotron e voce) e contribuisce alla scrittura di ‘Death Whispered A Lullaby’.
-come per ‘Deliverance’ anche questa copertina è un’opera dell’artista Travis Smith, già autore di front cover di una lunghissima serie di album metal.
Line Up:
Mikael Åkerfeldt: vocals, guitar
Peter Lindgren: guitar
Martin Mendez: bass
Martin Lopez: drum and percussions
Tracklist:
01. Windowpane
02. In My Time Of Need
03. Death Whispered a Lullaby
04. Closure
05. Hope Leaves
06. To Rid the Disease
07. Ending Credits
08. Weakness
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