Pink Floyd – The Dark Side Of The Moon compie cinquant’anni
Il 01/03/2023, di Alessandro Ebuli.
In: The Birthday Party.
Sembra impossibile, eppure ‘The Dark Side Of The Moon’ compie i suoi primi cinquant’anni. Cosa si può dire su questo disco epocale che non sia già stato ampiamente detto? Probabilmente nulla, ma questo articolo vuole essere la celebrazione di un compleanno importante e non soltanto per la cifra tonda raggiunta, ma soprattutto perché si tratta di un album che non è affatto invecchiato, anzi a riascoltarlo oggi per la milionesima volta quasi appare come un disco scritto soltanto ieri.
‘The Dark Side Of The Moon’ è stato pubblicato negli Stati Uniti il primo marzo del 1973 via Capitol Records e nel Regno Unito e nel resto del mondo il 23 dello stesso mese via Harvest Records. Per analizzare un album di questa portata è anzitutto necessario partire dalla sua genesi avvenuta in seguito alla pubblicazione del suo predecessore ‘Meddle’ nell’ottobre del 1971. Il tour di supporto a ‘Meddle’ iniziò immediatamente dopo la pubblicazione dell’album e durante i concerti i Pink Floyd avevano proposto in forma per lo più abbozzata alcuni brani che poi sarebbero stati completati e presentati nella loro interezza in alcuni live, uno dei quali, probabilmente il più conosciuto e apprezzato, registrato il 12 novembre 1972 all’Ernst-Meck Halle ad Amburgo, in Germania (qui è presente nella setlist un brano intitolato ‘The Travel Sequence’, una jam che poi in studio venne completamente abbandonata e sostituita dal loop elettronico ‘On The Run’ e una versione di ‘The Great Gig In The Sky’ senza l’interpretazione vocale di Clare Torry – per maggiori informazioni al riguardo vi rimando agli Hammer Fact a fine articolo).
I primi giorni di prove iniziano verso la fine di novembre del 1971 in una piccola sala negli studi della Decca, a Broadhurst Garden, nel West Hampstead a Londra, dove viene composta una suite provvisoriamente intitolata ‘Eclipse’ che si evolverà in futuro in ‘The Dark Side Of The Moon’.
La trama generale del disco era già pressoché conclusa, e grazie a queste tracce non ancora completamente definite ma già ampiamente apprezzate dal pubblico presente ai concerti i Pink Floyd si ritrovano negli Abbey Road Studios a Londra per lavorare al disco in due differenti sessioni, la prima nel 1972 e la seconda all’inizio del 1973 fino al raggiungimento di un risultato assolutamente straordinario. ‘The Dark Side Of The Moon’ rappresentò fin da subito la consacrazione collettiva dei quattro musicisti che per la prima e probabilmente ultima volta erano riusciti a mettere da parte egocentrismo e dissapori per concentrarsi unicamente nella creazione della musica, unitamente al tecnico del suono Alan Parson che partecipò attivamente alla creazione di alcuni suoni, ma soprattutto decise di utilizzare una strumentazione innovativa che di fatto ha dato il tocco finale a un disco di per sé superlativo.
La coerenza nell’ideare le canzoni, le solide dinamiche e una potenza lirica senza eguali hanno sicuramente creato l’amalgama giusto per realizzare un prodotto che raggiungesse la perfezione su ogni piano preso in esame. Quando a Roger Waters venne domandato cosa fu quell’album per i Pink Floyd, rispose che “‘The Dark Side Of The Moon’ era un’istanza di empatia politica, filosofica e umanitaria che chiedeva disperatamente di venire fuori”. In effetti se guardiamo alle opere precedenti del gruppo, partendo da quella gemma di psichedelia che fu ‘The Piper At The Gates Of Dawn’ in cui Syd Barrett era ancora parte attiva e lucida, fino al già citato ‘Meddle’, nel mezzo troviamo i deliri e la fuoriuscita dalla band proprio di Barrett, il subentro di David Gilmour, un album forse ancora oggi poco apprezzato dalla critica come ‘More’, colonna sonora dell’omonimo film di Barbet Schroeder, le ambizioni operistiche/sinfoniche della suite ‘Atom Heart Mother’ e un altro controverso eppure magnifico come ‘Obscured By Clouds’ colonna sonora del film La Vallée ancora di Barbet Schroeder; insomma il passato dei Pink Floyd era già dorato eppure mancava un tassello che li rendesse unici, i veri portavoce delle numerose suggestioni Prog/Pop/Rock di quei primi anni settanta così convulsi, confusi, sperimentali, nei quali decine di band fondevano suoni e improvvisazioni musicali fuori dai confini fino ad allora conosciuti.
La maturazione dei Pink Floyd giunge quindi con questo disco in cui le molteplici influenze di quel periodo vengono sapientemente dosate e mescolate in maniera esemplare, unite a una capacità di coniugare dubbi e incertezze di un decennio appena iniziato con una potenza lirica insuperabile e insuperata. ‘The Dark Side Of The Moon’ è un viaggio, un salto temporale sul lato oscuro del nostro satellite che altro non è che la rappresentazione dell’oscurità della psiche umana.
E l’immensa forza delle liriche del disco sono in questo senso universali eppure indicative della condizione di ognuno di noi; il fatto sorprendente è che questa capacità di esprimere la condizione individuale era estremamente attuale allora come la è adesso, e ciò può accadere soltanto quando una compagine di musicisti annulla totalmente ogni propria idealizzazione di star e ambizione personale in favore della volontà di ascoltarsi profondamente e intimamente e divenire gruppo in senso letterale. Roger Waters, David Gilmour, Rick Wright, Nick Mason durante la scrittura e la registrazione dell’album hanno evidentemente trovato una condizione perfetta, una congiunzione astrale che ha allineato pianeti e ascendenti consentendo al gruppo di divenire una sola figura, una sola identità, una sola mente pensante.
La storia ci racconta che già due anni dopo, nel 1975, anno di pubblicazione di ‘Wish You Were Here’, le cose erano drasticamente cambiate in favore di disequilibri emozionali e personali più o meno evidenti, ma di questo parleremo tra un paio di anni.
‘The Dark Side Of The Moon’ è un concept album, un disco a tema nel quale viene esplorato l’animo dell’essere umano e la circolarità è il filo conduttore che lega l’inizio e la fine dell’opera. Un battito cardiaco in crescendo (‘Speak To Me’) introduce lentamente il brano ‘Breathe’ posto in apertura e lo ritroveremo in dissolvenza alla fine del disco, subito dopo il brano conclusivo ‘Eclipse’. Questo battito cardiaco rappresenta la vita e la sua circolarità rimanda immediatamente alla forma della luna, il cui lato oscuro non si può vedere e diviene evidentemente quella parte nascosta dentro di noi che non possiamo e talvolta non vogliamo vedere, nascosta da una società costruita sulla base del vile denaro e della ricchezza (‘Money’). “E’ un’allusione alla condizione umana e prepara il terreno alla musica che descrive le emozioni sperimentate nel corso di un’esistenza. In mezzo a tanta confusione ci sono bellezza e speranza per l’umanità. Gli effetti hanno lo scopo di aiutare l’ascoltatore a comprendere tutto ciò” sono le parole di David Gilmour rispetto al disco appena registrato. Il concept non si limita alla musica e alle liriche, ma anche all’iconica copertina con raffigurato il prisma e la rifrazione della luce. Il prisma, attraversato da un raggio di luce, riflette i colori dello spettro. La confezione dell’album si presenta infatti in una versione apribile al cui interno è raffigurato un tracciato cardiaco
e girando la confezione il fronte e il retro della copertina mostrano la luce rifratta dal prisma trasformarsi in colori, proseguendo in questo modo nella sua circolarità fino all’interno del booklet.
La figura del prisma era considerata un simbolo mistico e alla sua forma triangolare viene richiamato anche il materiale pubblicitario con raffigurazioni delle piramidi d’Egitto. Nelle prime stampe dell’album erano contenuti due poster, uno raffigurante la band in concerto e uno di una visione d’insieme della Piana di Giza in Egitto, oltre ad alcune cartoline e adesivi. Una confezione assolutamente imperdibile e innovativa per un’epoca in cui veniva dato enorme risalto alla front cover del disco a discapito della parte interna solitamente slegata dal concetto generale del disco, ad esclusione dei dischi Progressive Rock che miravano a rappresentazioni artistiche legate al concetto generale dell’opera. Qui è stato fatto un lavoro magistrale da parte degli ideatori Storm Torgenson e Aubrey Powell dello studio Hyognosis (vedi Hammer Fact a fine articolo).
In merito alle liriche ho già detto senza però addentrarmi troppo al loro interno; tutte sgorgate dalla penna di Roger Waters, in ‘The Dark Side Of The Moon’ vengono anticipate tematiche essenziali della scrittura del bassista. Basti pensare a ‘The Wall’ del 1979 in cui la figura di Pink, il personaggio principale della trama dell’opera nonché alter ego di Waters, affondava nel dolore e nella sofferenza dell’uomo intrappolato dentro un enorme muro che null’altro rappresentava che il proprio stato d’animo, oppresso e immobile di fronte alla vita.
Qui Waters affronta sostanzialmente il rapporto dell’uomo all’interno della società moderna visto con gli occhi dell’osservatore esterno, con enormi traumi personali pregressi ma mai superati che troveranno la degna conclusione appunto in ‘The Wall’ e nel successivo ‘The Final Cut’ del 1983, dedicato al padre deceduto in guerra. Difficile trovare però un paragone tra le liriche di ‘The Dark Side Of The Moon’ e altri dischi dei Floyd; quello che più si avvicina dal punto di vista della condizione uomo VS società è probabilmente ‘Animals’ del 1977, in cui però la parte testuale richiamava elementi tipicamente orwelliani a partire dal titolo di ogni singolo brano, peraltro oggi più attuale che in passato. Nel complesso l’ascolto nella sua interezza del disco può essere considerato una sorta di respiro vitale dell’individuo, in cui il battito cardiaco è complementare alla vita quanto all’intima esplorazione del proprio io.
Quel che è certo è che ‘The Dark Side Of The Moon’ rimane uno tra gli album più importanti della storia della musica, opera iconica sotto ogni aspetto, musicale, lirico, visuale. Si tratta di un disco che soltanto alla fine del 1973 aveva già venduto più di 700.000 copie e nei primi vent’anni di vita è arrivato a venderne più di 25 milioni. Oggi ha superato abbondantemente i 50 milioni e si colloca tra i cinque album più venduti della storia. Indubbiamente opere di questo calibro resisteranno all’usura del tempo, perché capaci di attraversarlo e se vogliamo confinarlo in uno spazio indefinito, un spazio oscuro come quel lato della luna che Waters ha saputo raccontarci con garbo e poesia. Lo stesso spazio oscuro che l’artista porta ancora oggi dentro di sé, e in tal senso vi inviterei ad ascoltare i suoi album solisti, nello specifico ‘Amused To Death’ e ‘Is This Life We Really Want?’.
Per quanto riguarda la registrazione del disco, estremamente innovativa e moderna per il 1973, sono state utilizzate strumentazioni costosissime e impianti all’avanguardia. Sono famosi gli effetti metronomici utilizzati sull’opener ‘Speak To Me’ e i vari loop su ‘Money’ come quello del registratore di cassa e del tintinnio delle monete registrate da Waters a casa. Furono inoltre utilizzate registrazioni di fogli di carta strappati a simboleggiare la distruzione di denaro e quelli di una calcolatrice; tutti questi elementi sono stati looppati e sovrapposti al basso di Waters su una ritmica in 7/4. Su ‘Speak To Me’ Nick Mason si occupò di sovrapporre più parti di batteria in un saliscendi sonoro chiamato effetto Cross-Fade mentre per ‘Breathe’ il tastierista Rick Wright registrò alcuni accordi di pianoforte che poi vennero incisi al contrario.
In merito alla parte elettronica in alcuni casi tutti i membri della band lavorarono contemporaneamente agli effetti sui fader a causa della difficoltà di operare manualmente alle multitracce presenti per la registrazione come su ‘On The Run’. La parte introduttiva di ‘Time’ con il rumore ossessivo di più orologi sovrapposti uno all’altro venne invece registrata dal produttore Alan Parson nel negozio di un antiquario e successivamente in studio le varie parti vennero mescolate in modo da creare una sovrapposizione quadridimensionale fino ad allora mai ascoltata. Altri importanti aspetti della registrazione riguardano la tecnica dello spostamento dei suoni da un canale all’altro (quadrifonia) in cui il suono sembra ruotare intorno all’ascoltatore, precursore di quello che oggi conosciamo come “effetto surround”.
Nello specifico dell’impianto da studio utilizzato, va detto che i Pink Floyd e Alan Parson si affidarono alle apparecchiature standard degli Abbey Road Studios, probabilmente all’epoca uno tra gli studi più equipaggiati se non addirittura il più in assoluto; ciò che creò fin da subito varie perplessità furono i registratori di “soli” sedici tracce, che nell’ottica di una registrazione quadrifonica risultavano insufficienti. Fu così che Alan Parson dovette ricorrere alla tecnica del dubbing; in pratica sullo stesso registratore venivano registrate sedici tracce le quali poi venivano riversate su un identico registratore su due sole tracce, lasciandone in questo modo delle altre libere per altre successive registrazioni. Non avendo a disposizioni le tecniche di oggi, digitali e computerizzate, a quel tempo si rendeva necessario trovare soluzioni alternative che permettessero di arrivare a un risultato ottimale ma con uno spreco di tempo assolutamente maggiore risetto ad oggi. Pensate che per definire l’opera sono serviti complessivamente ben nove mesi, che in quegli anni in cui i gruppi potevano pubblicare anche due dischi in un solo anno, si trattava di un’eternità. Certo è che il risultato è sorprendente e non sarebbe stato lo stesso se l’album fosse stato registrato in tempi ridotti.
Affermò David Gilmour: Fino all’ultimo giorno non l’avevamo mai ascoltato per intero. Alla fine, ti siedi e lo senti da cima a fondo ad alto volume. Me lo ricordo ancora, fu davvero eccitante.
‘The Dark Side Of The Moon’ è un album che ancora oggi viene utilizzato per testare gli impianti audio Hi-Fi e Hi-End, e se siete appassionati di ascolti audio di un certo livello vi sarà sicuramente capitato di entrare in un negozio e trovare una copia di ‘The Dark Side Of The Moon’ appoggiata in bella vista sopra un giradischi oppure in mano al tizio di turno desideroso di ascoltare l’album su un impianto professionale. Per chi volesse approfondire l’argomento vi rimando al numero 235 della rivista Audio Review del maggio 2003, se vi riuscirà di reperirla, all’interno della quale è presente un interessante approfondimento sul disco e su tutta la parte relativa alla sua registrazione presso gli Abbey Road Studios.
Potrei rimanere qui a raccontare di quest’opera straordinaria per ore, poiché una celebrazione come quella dei cinquant’anni è un traguardo importante, ma in questo caso sarete voi a proseguire il racconto riascoltando per intero ‘The Dark Side Of The Moon’; sarà un nuovo viaggio esplorativo dentro di voi e manterrà in vita la ricerca che l’uomo fa su se stesso da tempo immemore. E chissà che quel lato oscuro un giorno possa essere finalmente esplorato.
Hammer Fact:
-Clare Torry, voce su ‘The Great Gig In The Sky’, venne ingaggiata per improvvisare sulla sezione musicale creata dal gruppo e fu retribuita con la cifra simbolica di 30 sterline, una miseria se pensiamo al successo riscosso dal disco e alla straordinaria prova della cantante. Per questa sua performance la Torry non venne neppure accreditata sull’album, ma in tutte le edizioni di ‘The Dark Side Of The Moon’ pubblicate dal 2005 in avanti è stata inserita tra i musicisti.
-La copertina dell’album è opera dello studio Hipgnosis, che ha collaborato in quasi tutti gli album della band oltre che in centinaia di altri importanti dischi della storia.
-‘The Dark Side Of The Moon’ restò al primo posto soltanto per una settimana, ma riuscì a restare fisso in classifica per ben 930 settimane delle quali 741 consecutive, che corrispondono a quasi quindici anni di permanenza. Traguardo mai raggiunto da nessun altro.
-Esistono decine di versioni dell’album, dalle prime stampe in vinile a quella in stereo-8 a quelle in compact disc, aumentate a dismisura nel corso degli ultimi vent’anni. In particolare da segnalare l’edizione in Super Audio Cd del 2003, uscita per il trentennale di ‘The Dark Side Of The Moon’. Nel 2013, per festeggiare i 40 anni dell’album, vennero immesse sul mercato ulteriori versioni ampliate per supporto e contenuti. In particolare da segnalare la Immersion Edition, box set contenente l’album in versione studio remaster e live con l’aggiunta di gadget e memorabilia.
-Esiste una versione italiana estremamente rara dell’album che si presenta con la copertina color panna sulla quale campeggiano in evidenza in colore rosso il nome della band e il titolo del disco, con un carattere riconducibile a quelli utilizzati nei dischi di psichedelia. Sostanzialmente si tratta di una busta di presentazione dell’opera, una sorta di prodotto destinato al marketing pubblicitario dei primi tempi successivi alla pubblicazione del disco, che al momento è praticamente introvabile se non all’interno del mercato del collezionismo più ricercato e costoso.
Line Up:
Roger Waters: Bass, Vocals, Synth VCS3, Tape Effects
David Gilmour: Vocals, Guitars, Synth VCS3
Rick Wright: Keyboards, Vocals, Synth VCS3
Nick Mason: Drum, Percussions, Tape Effects
Membri aggiunti:
Clare Torry: Vocals su ‘The Great Gig In The Sky’
Dick Parry: Saxophone su ‘Us And Them’ e ‘Money’
Tracklist:
01. Speak To Me
02. Breathe
03. On The Run
04. Time
05. The Great Gig In The Sky
06. Money
07. Us And Them
08. Any Colur You Like
09. Brain Damage
10. Eclipse
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