ROUTE 666 – Chip Z’nuff (Enuff Z’Nuff)
Il 28/02/2023, di Andrea Lami.
In: Route 666 - Storie di r'n'r dal Sunset Strip.
Alla fine degli anni ’80/inizio degli anni ’90, l’hard rock ha avuto il suo momento di massimo splendore. Band come i Motley Crue, i Ratt ed i Quiet Riot hanno aperto le danze, seguiti a ruota da Guns n’Roses, L.A. Guns, Faster Pussycat, Poison dopo. Quando questo genere era diventato di moda, le band hanno iniziato ad aumentare e tra le tante ecco spuntarne una coloratissima e molto Beatles-oriented. Sono gli Enuff Z-nuff, capitanati da Chip Z’nuff il quale è stato raggiunto e sottoposto ad un terzo grado per rivivere un po’ la sua carriera musicale, con la speranza di rubare qualche segreto relativo ai backstage post concerto.
Ciao Chip direi di iniziare l’intervista partendo dal principio; hai voglia di raccontarci come è nato il tuo amore per la musica?
“Quando ero bambino mi intrufolavo nella camera dei miei genitori e ascoltavo tutti i loro dischi.”
Tanti di noi hanno iniziato così. Partiamo dall’inizio della tua carriera e quindi intorno al 1988, prima di raggiungere il contratto discografico. Come andavano le cose?
“L’inizio è stato duro, come per ogni band. Abbiamo provato e registrato ogni giorno finché non siamo stati scoperti dal leggendario manager Doc McGhee.”
Nel 1989 avete esordito con l’album omonimo degli Enuff Z’Nuff. A distanza di 33 anni sei soddisfatto di quell’album?
“Naturalmente. Il nostro disco d’esordio è diventato disco d’oro con airplay in tutto il Paese e molta visibilità su MTV. Da allora abbiamo inseguito la carota.”
I video estratti dal disco sono andati benissimo facendovi guadagnare rispetto e popolarità. Eravate la band più colorata del mondo hard rock. Chi ha scelto le cose per i video?
“Il gruppo ha collaborato con la Atco Records. L’etichetta voleva un’immagine colorata e sgargiante e noi l’abbiamo fornita per ben 10 volte!”
Visto che la nostra rubrica parla delle band e dell’atmosfera degli anni ’80/’90. Hai voglia di raccontarci qualcosa relativamente a quegli anni dove il rock, i concerti, i palchi enormi, i party, gli eccessi erano all’ordine del giorno?
“Gli anni ’80 e ’90 sono stati sicuramente eccitanti. Abbiamo fatto dischi. Abbiamo girato video e fatto tournée in tutto il Paese. La maggior parte degli eccessi e delle feste erano a porte chiuse… dove rimarranno!”
Grazie a ‘The Dirt’ l’immaginario collettivo è rivolto al backstage dei gruppi hard & heavy. Come hai vissuto quegli anni?
“Abbiamo fatto esattamente quello che facevano quelle band… moltiplicato per 10!”
Sull’onda del successo esce ‘Strengh’ un altro album riuscito e vincente. Cosa ti ricordi di quell’album?
“Abbiamo registrato 32 canzoni per il disco ‘Strength’, sperando di essere il primo gruppo a pubblicare un doppio album al suo secondo disco. Sfortunatamente, la casa discografica ci ha impedito di farlo, dicendo che era troppo materiale da pubblicare in una sola volta.”
L’avventura musicale degli Enuff Z’Nuff è continuata senza subire l’onda del grunge che ha congelato parte dell’hard rock. Come ci siete riusciti?
“Semplicemente continuando a fare dischi e tournée e non ci siamo mai fermati!”
La band ha subito molti cambi di lineup, sia per ‘problematiche’ tra i membri, sia (purtroppo) per lutti (R.I.P.). Pensi che questo non abbia agevolato la vita della band stessa?
“Abbiamo certamente attraversato molte prove e tribolazioni che ci hanno reso più forti. Ora celebriamo il nostro ventesimo disco con ‘Finer Than Sin’.”
Tra i vari membri hai avuto tra le fila degli Enuff Z’Nuff il chitarrista Jake E. Lee. Come ti sei trovato con lui?
“Abbiamo supportato i Badlands nel loro primo tour nordamericano nel 1989. Dieci anni dopo, gli abbiamo chiesto di suonare nel nostro disco ‘Dissonance’. Jake si è presentato in studio con una Gibson SG e una bottiglia di Jim Beam, oltre a una caviglia rotta che si era procurato inseguendo un camioncino dei gelati!”
Nel 2016 la band praticamente viene riformata, forse grazie anche all’italianissima Frontiers. Raccontaci come è andata?
“Gli Enuff Z’Nuff non hanno mai smesso di lavorare. Nel 2016 abbiamo ricaricato le batterie e siamo tornati in studio. È quello che fanno le rock band. Fare dischi e andare in tour.”
Il tuo amore per i Beatles è noto a tutti. Come è nato? Come consideri i Beatles?
“Era giunto il momento di rendere omaggio ai nostri antenati, visto che consideriamo i Beatles la più grande band di tutti i tempi.”
Ho apprezzato tantissimo il vostro penultimo album dedicato proprio ai Beatles ‘Hardrock Nite’. Come ti è venuta l’idea?
“L’Hard Rock Night è stato un lavoro d’amore. Era solo questione di tempo per portare il loro tatuaggio sulla manica.”
Tra un disco degli Enuff’Z’Nuff e l’altro è uscito un tuo disco solista dal titolo ‘Perfectly Imperfect’, come mai la decisione di lavorare da solo?
“E’ stata una scelta di comune accordo con la Frontiers che voleva altri tre album degli Enuff Z’Nuff dopo ‘Clown’s Lounge’, ‘Diamond Boy’ e ‘Brainwashed Generation’. Così mi sono messo a scaldare lo studio, il primo che abbiamo registrato è stato ‘Hardrock Nite’, poi il mio disco solista quindi ‘Finer Than Sin’ che è uscito lo scorso novembre’.
Hai accennato a ‘Finer Than Sin’ puoi parlarcene?
“E’ un disco molto vario, c’è un pot-pourri di materiale pop e rock che penso risuonerà davvero con la nuova generazione. Ma io faccio questi dischi per me stesso. Sono grato di poter ancora fare musica dopo tutti questi anni. Sono uno degli ultimi Mohicani, senza sembrare immodesto. Non sono molti i gruppi che pubblicheranno tanti dischi come me, o come abbiamo fatto noi. E… sono ancora in tour in tutto il Paese. È davvero una benedizione dall’alto che io abbia la possibilità di vivere la mia vita pubblicando arte ogni singolo anno”.
Ci spieghi questo titolo, che tra l’altro si sposa molto bene anche con il concept della nostra rubrica?
“La musica rock è sempre stata vista come musica per peccatori e considerata un tabù in certi ambienti, era la musica maledetta, proibita, e piaceva proprio per questo. Un tempo io vivevo in un quartiere del South side di Chicago e una sera, in un club blues, un tizio parlando della musica ha detto che era “Finer than Sin” (più fine del peccato). Ho pensato che potesse essere un titolo perfetto per un disco e così è stato”
I primi due singoli ‘Catastrophe’ e ‘Intoxicated’ ci confermano quelle che da sempre sono le vostre sonorità e la vostra identità musicale. Le canzoni ti sono nate spontanee oppure è frutto di una scelta mirata al vostro pubblico?
“Le canzoni mi arrivano in tutti i modi diversi. Rossetto su un bicchiere. Una canna che brucia in un posacenere o forse una certa metafora. Per citare una delle mie rockstar preferite, tutte le canzoni vengono dall’alto e, come artisti, sta a noi trovarle e consegnarle alle masse.”