La capanna dello zio Tom
Il 10/02/2023, di Francesco Faniello.
In: Metal Truth.
C’era una vecchia intervista agli Extrema, del periodo tra ‘The Positive Pressure’ e ‘Better Mad Than Dead’ in cui il fanzinaro chiedeva a Tommy Massara che cosa avrebbero suonato in un ipotetico concerto di cinque minuti. La risposta non si fece attendere e suonava più o meno così: “cinque minuti? Dunque due pezzi, idealmente. Sicuramente ‘Life’ e poi uno dei nuovi”. Ecco, pensai, figuriamoci se bastano cinque minuti per suonare due pezzi; neanche stessimo parlando di qualcuno dei nostri gruppi hardcore/punk o magari dei Brutal Truth. Eppure, ora posso dire che i miei calcoli erano sicuramente sbagliati, un po’ come quelli di Paolo Dal Pozzo Toscanelli all’epoca di Colombo: se fai un cambio palco fulmineo a mo’ di tecnici della Ferrari (e gli Extrema, con la loro esperienza, erano e sono una sicurezza in questo senso) ce la fai eccome a infilare dentro qualcosa di più di un solo pezzo di crossover thrash; in più c’è il fatto che una volta che hai iniziato il secondo difficilmente ti tireranno giù dal palco, a meno che tu non sia particolarmente inviso alle autorità e non ti spengano l’impianto costringendoti a rimanere con l’eco dei tamburi e lo sferzare metallico delle corde sui pick up disattivati.
Che succede allora quando sei tutt’altro che inviso alle autorità e puoi contare sui professionisti del cambio palco e delle orchestrazioni? Succede che sei a Sanremo, sei i Måneskin e suoni ben quattro pezzi in dieci minuti tondi tondi – eccezion fatta per il protrarsi del quarto, come da trucchetto di cui sopra. Lo diceva anche il nostro Gianfranco Monese in occasione della recensione di ‘Rush!’, quando parlava di “poco più di tre minuti a brano, e […] un’immediatezza affine alla politica pop”. Certo, le versioni sono rigorosamente abridged (ma neanche più di tanto), il vocalismo torrenziale alla Cruciani di Damiano David ha lasciato di recente il passo a qualche variazione sul tema e l’orchestra della città dei fiori fa sempre tanto Michael Kamen a San Francisco (ed è subito S&M), ma è innegabile che se la scaletta si fosse limitata a ‘I Wanna Be Your Slave’, ‘Zitti e buoni’ e ‘The Loneliest’ non staremmo qui a parlarne. Magari al bar, in sala prove, sotto un chilometrico commento su un social network, ma non qui.
Checché ne pensiate e ne diciate del quartetto romano più chiacchierato del momento, la chiave è “quel” quarto pezzo, ‘Gossip’. O meglio, l’apparizione subitanea sul palco di Tom Morello. Ampiamente annunciata, va detto, ma giunta come un fulmine a ciel sereno nel gotha del sole/cuore/amore. Voglio dire, a costo di apparire blasfemo, è un po’ come vedere Roberto “Tax” Farano al Saturday Night Live, o magari Alberto Ventrella al Tonight Show di Jimmy Fallon. O ancora, Davide Devoti a Top Of The Pops, che non ci starebbe neanche male, intendiamoci. In ogni caso, con Morello sul palco dell’Ariston cade un altro di quei tabù con cui eravamo abituati a convivere sin dai tempi in cui Gene Pitney fischiettava allegramente il mattino dopo la morte di Tenco, o il Reuccio cercava di non inciampare sul fuoco di fila della stampa compiacente. Non è solo il familiarissimo sound dei suoi assoli: è quel gigioneggiare sotto le lenti a goccia, più ammerigano che mai ma sempre e comunque seguito dallo stridore del selettore. La rabbia colpisce la macchina, diceva Kent McClard, quindi – anche se la macchina è targata Sony in entrambi i casi – è proprio lì che non puoi fare a meno di rituffarti nel 1993, che almeno quello non ce lo porta via nessuno…
A proposito di Måneskin e Morello, un po’ di fredda cronaca non può mancare, quando c’è di mezzo un cronista. Per una volta il mozartiano in frac è sembrato sincero nell’annunciare l’arrivo di una vera e propria leggenda, e non solo: l’esibizione dei quattro-poi-cinque ha dispiegato tutti gli ingredienti imprescindibili del caso. Chissà se Mario Tessuto avrebbe mai potuto prevederli, quando diceva che “abbiamo anche noi suoni di chitarra in fondo al cuor”!
Qualche esempio? Tra citazioni di ‘Velvet Goldmine’, scambi hendrixiani a denti stretti e l’immancabile coda megadethiana del noto successo sanremese e eurovisionario, non sono di certo mancati gli ammiccamenti all’immaginario storico del rock. Solo che alcuni di essi sono apparentemente inconsci, inconsapevoli… o no? Questo è almeno ciò che vogliono farci credere. Fateci caso: né David, né De Angelis o Raggi o Torchio parlano volentieri di influenze, ascolti, miti nel cassetto, se non “a comando”. Un favoloso comando, ma pur sempre “guidato”. Suoni con i Rolling Stones? Mitici. Incontri James Hetfield? Mitico. Hai Tom Morello che è ospite nel tuo nuovo disco? Un sogno che diventa realtà. Insomma, tutto torna, i cerchi si chiudono, senza che però emerga un qualsiasi desiderio o vezzo adolescenziale, tipo quello di Ed Sheeran per i Cradle Of Filth o cose così. Mi ricorda un po’ un gruppo alternative di casa nostra, sul cui EP ravvisai le chiare influenze della frangia più nota della NWOBHM in alcune scelte armoniche, e non mancai di farlo notare in sede di recensione. La risposta fu immediata e piccata: “non ascoltiamo quella roba”. Beh, dal 9 febbraio sarà più difficile per Thomas Raggi dire di non aver mai ascoltato gli Iron Maiden, visto che lo scambio di assoli con il presunto padre putativo americano ha preso l’evidente piega di una citazione di ‘Phantom Of The Opera’. E visto che Tom Morello si è già espresso in merito, non resta all’epico assolista di casa nostra che dichiarare la sua preferenza per una delle asce della Vergine di Ferro: Gers, Smith, Murray o magari Stratton…