Rock nell’Ambra – riflessioni sul futuro del rock
Il 06/01/2023, di Alessandro Fabro.
In: Metal Flow.
Il filosofo tedesco Nietzsche sosteneva, nella Seconda Considerazione Inattuale, che lo studio della storia può portare a grandi benefici per l’uomo, a condizione di sapere come relazionarsi a essa. La storia deve essere funzionale alla vita dell’uomo, questa è la sua condizione d’esistenza secondo Nietzsche. La storia contiene al suo interno non memoria morta, ma una forza vitale unica che attende chi sa raggiungerla.
Gli errori in cui si può cadere sono tuttavia molteplici, perché sapersi rapportare con il passato non è cosa affatto scontata. Al passato inteso in senso più ampio – il passato della storia, quello che coinvolge l’umanità intera – si intreccia il passato di ognuno di noi, un punto di vista individuale e soggettivo, un frammento di umanità a cui siamo legati in modo indissolubile, che ci piaccia o meno.
Il mondo come lo abbiamo conosciuto fino a qualche anno fa è cambiato e così sono mutate anche le sue dinamiche culturali. Il rock non se la passa bene, sembra mancare una nuova generazione di ascoltatori che, eccetto rari casi, preferisce rivolgersi altrove. È innegabile che parte della responsabilità di questo sia da attribuire ai cambiamenti nelle logiche del mercato, alle nuove tecnologie, ad una crisi economica esacerbata da una catena di eventi nefasti che hanno colpito il mondo intero negli ultimi anni. Non è di questo che vorrei parlare, tuttavia. Da una parte perché sono fatti sotto gli occhi di tutti, dall’altra perché esistono fonti ben più qualificate cui rivolgersi, se si vuole approfondire tutto questo (Cristiano Godano dei Marlene Kuntz ha redatto degli ottimi articoli per Rolling Stone al proposito). Vorrei soffermarmi, invece, sulle responsabilità che ognuno di noi ha nel tramandare il proprio passato, il proprio bagaglio di ricordi, le proprie conoscenze.
L’errore più grande dal quale Nietzsche ci mette in guardia per la trasmissione del passato è rappresentato dalla tendenza a radicalizzare la storia, trasformarla in storicismo, rinchiudere ciò che è stato in una campana di vetro con l’illusione di conservarlo. Un fossile nell’ambra, muto e fermo, reliquia di un’epoca morta.
Questo è il destino cui, temo, sta andando incontro il rock e tutta la cosiddetta corrente alternativa, specie in Italia. Pensiamo al modo in cui vengono descritti i musicisti stessi: veri e propri idoli in senso quasi religioso, le loro biografie hanno i tratti dell’agiografia, piene di miracoli e fatti incredibili. Parabole della “morale rock”, storie esemplari cui ispirarsi. Nikki Sixx è raccontato come un Lazzaro strafatto, riportato su questa terra dopo aver conosciuto l’estasi degli stupefacenti. John Lennon è diventato un martire, addirittura.
Ho come l’impressione che il rock si stia facendo dogmatico e stia perdendo la sua carica trasgressiva, il suo spirito selvaggio. Non sono sicuro che Lemmy Kilmister avrebbe gradito l’idea dell’enorme statua in suo onore piazzata all’ingresso di un noto festival metal. Ci avrebbe pisciato sopra, ne sono certo, o avrebbe riso della nostra stupidità. E lo stesso discorso può essere applicato a molte altre “icone rock”, vive o morte.
Questa mentalità chiusa non si sposa bene con quella che dovrebbe essere l’idea primaria del rock in tutte le sue forme, ovvero la libertà d’espressione. Nella sua storia il rock ha portato all’attenzione del pubblico tematiche difficili, complesse, spesso anche oscure, riuscendo quasi sempre a mantenere un tono vitale, leggero. Il rock è un unicum nella cultura contemporanea, per certi aspetti: si tratta di una forma d’arte che, superata la spensieratezza dei primi anni, è riuscita a parlare continuamente della morte mantenendo intatta la dimensione del divertimento e del piacere dell’ascolto. Il rock ci fa riflettere su argomenti esistenziali e, al contempo, ci diverte e ci appassiona.
Quello che oggi percepisco, invece, è un enorme peso costruito su una leggenda che va spegnendosi. L’underground, a patto che esista ancora, è autoreferenziale, sembra quasi che la maggior parte delle band facciano dischi esclusivamente per se stesse. È difficile trovare una concreta collaborazione tra i musicisti che, schiacciati dalle difficoltà per la sopravvivenza, si trincerano nel loro piccolo spazio andando continuamente alla ricerca della formula magica per ottenere più followers, la conditio sine qua non per emergere nel mercato moderno.
Con questo non voglio assolutamente sostenere che oggi non ci siano realtà musicali interessanti. Al contrario, credo che esista una scena molto affascinante e che oggi vengano prodotti dischi entusiasmanti, che però non riescono a trovare il giusto spazio. Parlo di artisti in grado di riprendere la tradizione e rielaborarla in modo personale, attraverso la contaminazione dei generi, la frammentazione della forma canzone classica e di una ricerca sonora che non ha precedenti se non all’interno della sperimentazione più estrema. Oppure musicisti che fanno del citazionismo una vera e propria caratteristica stilistica, in linea la corrente culturale post-moderna. Non è questo il luogo per fare elenchi, ma si tratta di realtà vive da un punto di vista artistico, che suonano e scrivono senza vedersi riconosciuti i giusti meriti. Al netto della situazione economica complessa e difficile in cui versa la musica odierna (si tratta di un dato di realtà sul quale possiamo fare relativamente poco, almeno per quanto riguarda i grandi numeri), io credo che una responsabilità individuale permanga e che ognuno di noi possa fare qualcosa per cercare di migliorare questa condizione infelice.
Oltre all’ormai retorico richiamo a comprare o quantomeno ascoltare i dischi dei nuovi artisti, ad andare ai loro concerti e via dicendo, io invito tutti a riflettere su quanto la percezione che ognuno ha del passato sia falsata dal significato che egli stesso attribuisce a quel passato Se ci ostiniamo a paragonare il presente a un passato che nella nostra mente ha assunto i tratti del mito, è normale che tutto ci appaia mediocre e insignificante. È giusto e salutare avere dei ricordi, ma questi non possono e non devono annullare il nostro giudizio nel rapportarci al presente. Quando ero bambino ricordo lunghi e felici viaggi in macchina con i miei genitori che, spesso, ascoltavano i Pink Floyd. La chitarra di Gilmour ha dunque per me un significato personale molto intenso, quasi metafisico, che va al di là dei suoi effettivi meriti. È una macchina del tempo. Ma sono io che sto dando un ulteriore significato al suo suonare e questo non è un elemento trascurabile nel momento in cui devo esprimere un giudizio estetico. Gilmour potrà poi rimanere il mio chitarrista preferito, ma devo tenere conto di quell’elemento personale nel momento in cui lo paragono a John Mayer, Jack White o chiunque altro.
Il passato va conservato, studiato e amato, ma non può farci perdere fiducia nel presente. Se ciò accade siamo fottuti, perché il passato non può tornare: non ci immergeremo mai nello stesso fiume per due volte perché sia noi sia il fiume saremo mutati. Accettiamo questo cambiamento, rubiamo ai grandi per fare qualcosa di nuovo e non per diventare loro epigoni. I maestri non vanno mitizzati, salvo tradire il loro stesso insegnamento, che fondamentalmente è sempre lo stesso: trova te stesso e seguiti.