Queens Of The Stone Age – I Vent’anni di ‘Songs For The Deaf’
Il 27/08/2022, di Alessandro Ebuli.
In: The Birthday Party.
La storia è breve e quantomai semplice: una band, i Kyuss, alfieri del cosiddetto Stoner/Desert Rock si sciolgono dopo quattro album; Josh Homme, chitarrista della band, non si adagia sugli allori e forma una nuova band chiamata Queens Of The Stone Age, che inizia il proprio cammino con l’omonimo album del 1996 seguito due anni dopo dal secondo capitolo ‘Rated R’. Altri due anni intercorrono tra ‘Rated R’ e il terzo album, quello che molto spesso mette a dura prova le band. Per l’occasione Homme si avvale della collaborazione di Nick Oliveri (già bassista nei Kyuss di ‘Wretch’ e ‘Blues For The Red Sun’), e recluta gli amici Dave Grohl – che si occuperà della batteria – e Mark Lanegan alla voce e alla chitarra. Le premesse sono ottime visti i nomi coinvolti e il disco che la band dà alle stampe non delude affatto, anzi, ancora oggi viene considerato a giusta ragione l’apice della discografia del gruppo. Nulla viene lasciato al caso e soprattutto a fare la differenza è l’alchimia tra le parti coinvolte nella scrittura dei brani; del resto ciò che in primis unisce i musicisti è l’amicizia, il profondo legame nato nel decennio precedente, quando Homme e Oliveri producevano capolavori con i Kyuss, Dave Grohl sedeva dietro le pelli dei Nirvana e Mark Lanegan occupava un posto d’onore al microfono degli Screaming Trees. Era un’epoca completamente differente sotto molti aspetti e questa rimpatriata tra amici fissa un punto fermo nella discografia degli anni duemila.
La formula adottata dal gruppo, all’alba di un nuovo millennio musicalmente convulso e sfasato da generi quali Nu Metal e Metalcore, si assesta su una forte componente Desert Rock presa a piene mani da quanto fatto dieci anni prima con i Kyuss (‘Blues For The Red Sun’ in particolare) con l’aggiunta di una forte dose di Classic Rock americano condito con soluzioni non troppo distanti dal Funk come in ‘No One Knows’, la dolcezza del lato acustico in ‘Mosquito Song’, sonorità Lo-Fi derivate dai Nirvana del periodo ‘Bleach’, oppure rimandi piuttosto evidenti agli alberi urlanti di Lanegan come in ‘God Is In The Radio’. C’è spazio anche per tirate zeppe di distorsioni come nell’opener ‘You Think I Ain’t Worth A Dollar, But I Feel Like A Millionaire’, un brano con un inizio atipico in cui qualcuno cerca di sintonizzare una radio fino a trovare la stazione desiderata dalla quale viene annunciato il titolo dell’album: ‘Songs For The Deaf’, un disco evidentemente fatto per le radio. E la radio ricorre spesso all’interno dell’album, nella volontà di ricordare che la musica un tempo si muoveva attraverso questo fondamentale canale divulgativo.
Se pensiamo a quanti gruppi hanno lasciato un’impronta indelebile con album memorabili nella prima metà degli anni Novanta – gli stessi anni in cui i Kyuss hanno piantato le proprie radici – non possiamo che ritrovare all’interno di ‘Songs For The Deaf’ tutti quei suoni, quelle caratteristiche fondamentali di un Rock grezzo e malsano che rispetto ai suoi due predecessori perde appena una certa vena psichedelica a favore di suoni più marcati, più decisi, più istintivi. Alice In Chains, Mudhoney, Soundgarden, Melvins, Meat Puppets, Fu Manchu, in parte Sonic Youth quantomeno per certi effetti delle chitarre, ma anche Pearl Jam e Smashing Pumpkins se pure in misura minore, fino agli Stone Temple Pilot di quel ‘Core’ che, nonostante fortemente criticato, ha segnato un passo importante nell’evoluzione del genere che in quegli anni veniva chiamato Grunge. Ecco, dentro ‘Songs For The Deaf’ c’è tutto questo, ma anche di più, ci sono l’estro e la follia di Josh Homme, c’è il carattere di Nick Oliveri, c’è il genio di quel personaggio che fu Mark Lanegan con la sua cavernosa voce – che ricordiamo, dopo lo scioglimento degli Screaming Trees aveva pubblicato i due capolavori di ballate semiacustiche ‘The Winding Sheet’ e ‘Whiskey For The Holy Ghost’. E poi c’è la vena creativa e pulsante del drumming di Dave Grohl, un musicista dotato di estremo talento che ha dimostrato prima con i Nirvana e poi con i Foo Fighters quanto il carattere sia importante all’interno di una compagine musicale. Serva anche ricordare che una parte del disco (i brani ‘Hangin Tree’ e ‘You Think I Ain’t worth a Dollar, But I feel Like a Milionaire’) deriva dalle ‘Desert Sessions’, progetto messo in piedi da Homme nel 1997 che vedeva la partecipazione di moltissimi musicisti della scena Desert/Stoner dell’America occidentale. Detto ciò ‘Songs For The Deaf’ aveva fin dall’inizio le carte in regola per risultare un album efficace e duraturo nel tempo; certo nessuno si sarebbe aspettato un successo di tali proporzioni; la domanda da porsi in questi casi è quale sia stato l’ingrediente speciale per rendere perfetto questo disco. Di sicuro la spiccata vena Punk – intesa quale attitudine nel sapersi spingere oltre la classica forma canzone, ma anche alcune asperità primordiali presenti tra i brani -, oltre al desiderio di creare qualcosa di unico nel suo genere con brani che sapessero essere coinvolgenti, carichi di groove e ricchi di pathos. Prendete la straordinaria ‘First It Giveth’, con quel tappeto di chitarra a fare da contraltare al cantato di Homme, con un refrain memorabile dal forte impatto Pop. Sì, perché in fondo i brani di ‘Songs For The Deaf’ hanno una forte componente Pop che li rende facilmente fruibili anche all’ascoltatore meno avvezzo a sonorità Rock, pur rimanendo sempre fedelmente ancorato al Rock più grezzo e viscerale. Le distorsioni e l’incedere potente di ‘A Song For The Dead’, qui siamo totalmente dentro lo Stoner dei Kyuss, con aspre divagazioni delle chitarre quasi a ricordarci che anche l’improvvisazione è figlia dell’anima Rock’n Roll più pura. La litania vocale di Homme accompagna il brano e dona un tocco di novità a sonorità sostanzialmente ancorate allo Stoner. Emergono fortemente gli Alice In Chains in ‘The Sky Is Fallin’, ma con una indovinata apertura melodica nel refrain; c’è spazio per un intermezzo distorto di poco più di un minuto ai limiti della follia Hardcore (‘Six Shooter’) che sembra voglia ricordarci che nulla qui è normalità, seguito da una ‘Hangin’ Tree’ in cui è la voce di Lanegan a dettare il passo. Chitarre lancinanti, ritmica da superballad che tanto ricorda le opere soliste di Lanegan e atmosfere che ritroveremo nella collaborazione con Greg Dulli nell’album ‘Saturnalia’ del progetto The Gutter Twins del 2008, e ancora una ‘Go With The Flow’ in cui un’intelaiatura di pianoforte con forti rimandi al Rockabilly ci accompagna per tutta la durata di un brano dal flavour marcatamente melodico e dall’incedere ipnotico, e qui i suoni si fanno più sintetici e meno caotici pur mantenendosi perfettamente ancorati al mood generale dell’album. ‘Gonna Leave You’ e ‘Do It Again’ sono invece anticipatrici di sonorità più morbide e “docili”, meno improntate al Rock sporco e rumoroso, che ritroveremo nei futuri album dei Queens Of The Stone Age, ‘Lullabies To Paralyze’ ed ‘Era Vulgaris’ in particolare, con la voce di Homme volutamente scanzonata. C’è poi la suadente ‘God Is In The Radio’ a cullarci con un giro di chitarra ipnotico ispirato al Southern Rock più arcigno, pur sempre con una spiccata dose di personalità, in cui Homme e Lanegan si accompagnano l’un l’altro senza mai strafare, come due gemelli ma dalle voci agli antipodi. Lo stile di ‘Another Love Song’ affonda invece gli artigli in un Rock che si rifà senza timore al Beat dei sixties, in cui le chitarre sono direttamente poggiate sulle linee vocali; ‘A Song For The Deaf’ rallenta il tiro e muove verso la chiusura del disco, ma le chitarre non mollano e la voce di Lanegan si posa con perizia sul cantato di Homme.
Giungiamo quindi alla perla acustica ‘Mosquito Song’, un brano delicato in cui entra una fisarmonica a donare sonorità dal sapore Folk che forse vuole ricordarci che talvolta less is more, che se la spogliamo dei molti orpelli una canzone può diventare evocativa ed epocale, forse più di altre in cui l’esplosivo Rock riesce a farci saltare, ballare, scatenare. Entra un violino, poi un vero e proprio “Wall Of Sound” di archi alla Phil Spector e sul finale una chitarra acustica dal forte sapore cubano, quasi volesse essere un omaggio all’Omonimo capolavoro del collettivo Buena Vista Social Club pubblicato nel 1997.
È evidente che questo album abbia superato la prova del tempo ed è chiaro che le canzoni in esso contenuto siano dei capisaldi che neppure la stessa band ha saputo replicare, complice sicuramente la formazione d’eccezione e il contesto in cui questo album è stato concepito; alcuni guizzi di genialità possono essere scovati nei dischi che hanno seguito ‘Songs For The Deaf’, ma resta il fatto che questo rimane un album insuperabile e lo stesso Homme si troverà intrappolato dentro una gabbia dalla quale soltanto sporadicamente riuscirà ad evadere.
Ciò che più stupisce è come i quattro musicisti, pur provenienti da una scena più o meno affine, abbiano saputo centrifugare le proprie influenze prima ancora dei differenti stili che con le band di provenienza hanno saputo creare – non dimentichiamo che ciascuno di loro nel 2002 aveva già alle spalle album dal successo planetario – e questo denota una grande professionalità oltre che un gusto eccelso per la “materia” musica. Le capacità tecniche di ognuno di loro non si discutono neppure, ma di sicuro la grande abilità nell’essere stati in grado di dosare l’utilizzo del proprio strumento, sia esso la voce piuttosto che una chitarra, un basso, una batteria, ha contribuito a rendere ‘Songs For The Deaf’ il capolavoro che oggi omaggiamo per i suoi primi vent’anni di vita. Non ci sono eccessi fini a se stessi all’interno dell’album, ma gusto sopraffino, originalità, audacia, voglia di stupire, genialità, tutti elementi che all’interno della centrifuga dei Queens hanno creato un prodotto unico nel suo genere.
‘Songs For The Deaf’ è stato registrato tra ottobre 2001 e giugno 2002 e vede coinvolti numerosi altri musicisti oltre agli interpreti principali del progetto: tra questi da segnalare Paz Lenchantin (A Perfect Circle, Melissa Auf Der Maur, Zwan, Pixies e vari progetti solista) agli archi e Chris Goss (Master Of Reality) alla chitarra e alle backing vocals. Goss è anche un noto produttore, tra i suoi lavori da segnalare assolutamente ‘Dust’, il testamento degli Screaming Trees (se escludiamo l’album post scioglimento ‘Last Words The Final Recordings’), ma è anche il produttore di ‘Songs For The Deaf’ e dei due album precedenti dei Queens Of The Stone Age. Della serie squadra che vince non si cambia. Infatti lo ritroveremo anche nel successivo ‘Lullabies To Paralyze’ del 2005.
Hammer Fact:
– ‘Mosquito Song’ è una Hidden Track, cioè una traccia fantasma, e nel retrocopertina dell’album è così indicata.
– L’edizione europea di ‘Songs For The Deaf’ contiene il brano ‘Everybody’s Gonna Be Happy’ come bonus track.
– L’edizione speciale dell’album dedicata al mercato del Regno Unito, oltre ad un Dvd Bonus, contiene i brani ‘Monster In The Parasol’, ‘No One Knows’, ‘The Lost Art OF Keeping A Secret’ e ‘Quick And To The Pointless’ registate Live at The Troubadour e il brano ‘Queens Of The Fuckin Stone Age’. Si tratta di un video di circa quattro minuti con estratti live e del backstage della band.
– In alcune edizioni dell’album in versione Compact disc è presente una traccia Pregap dal titolo ‘The Real Song For The Dead’. Si tratta della traccia “zero” e per poterla ascoltare si deve premere play alla traccia uno e poi, premendo il tasto search rewind, è necessario far scorrere il minutaggio all’indietro, che verrà indicato dal trattino meno prima dei minuti del brano. Giunti a -1’35” si potrà ascoltare una voce pronunciare “Huh, What?”.
– Al termine del brano ‘A Song For The Dead’ che chiude ufficialmente l’album (se escludiamo la Hidden track ‘Mosquito Song’ indicata nel retrocopertina) è presente una breve traccia nascosta nella quale si possono ascoltare delle risate su un estratto del brano ‘Feel Good Hit On The Summer’, in origine inserito nella tracklist del secondo album ‘Rated-R’.
Line-Up:
Josh Homme: Vocals, Guitar
Mark Lanegan: Vocals, Guitar
Nick Oliveri: Bass, Backing Vocals
Dave Grohl: Drums, Percussions
Altri musicisti
Chris Goss, Dean Ween, Paz Lenchantin, Anna Lenchantin, Alain Johannes, Natasha Shneider, Molly Maguire, Brendon McNichol, John Gove, Kevin Porter, Brad Kintscher
Tracklist:
01. You think I ain’t worth a dollar, but I feel like a millionaire
02. No one knows
03. First it giveth
04. A song for the dead
05. The sky is fallin’
06. Six shooter
07. Hangin’ tree
08. Go with the flow
09. Gonna leave you
10. Do it again
11. God is in the radio
12. Another love song
13. A song for the deaf
14. Mosquito song (Hidden track)
Ascolta il disco su Spotify