I vent’anni di ‘Untouchables’: sperimentare ed evolvere in totale serenità

Il 11/06/2022, di .

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I vent’anni di ‘Untouchables’: sperimentare ed evolvere in totale serenità

Desidero iniziare quest’articolo con un’opinione personale: al di là del vero significato del titolo dell’album, di cui il primo Hammer fact sottostante, nel 2002 i veri intoccabili della scena Nu Metal sono proprio i Korn, autori di un disco non compreso immediatamente da molti fan (incluso il sottoscritto), ma vincitore sulla lunga distanza. Arrivata al quinto lavoro in studio in otto anni, nel 2002 della scena la band non è seconda a nessuno, in primis proprio per la qualità di quanto composto in studio fino al precedente ‘Issues’ (1999).
Con ‘Untouchables’, capisce che la proposta necessita di evolvere, per stare al passo con i tempi e non passare come stantìa (bisogna ricordare che, secondo Davis, proprio in quell’anno il Nu Metal era un movimento già decisamente sovraffollato). Per il nuovo disco i Korn virano ancora più decisamente verso la “forma canzone”, abbinando uno spirito più crudo rispetto al lavoro di tre anni prima, con qualche inserto d’elettronica, grazie a macchinari che il cantante spiega così nell’intervista presente sul numero di luglio 2002 di Metal Hammer: “…abbiamo lavorato molto sul sound e sui samples da usare […] come l’Euphonix, un hard disk digitale a 24 bit che ci ha permesso di organizzare al meglio la registrazione. Quello che abbiamo ottenuto è superiore anche rispetto ai nostri precedenti album…” Il successo del disco parte innanzitutto dalle registrazioni, “sorelle” di quelle avvenute per ‘Requiem’ (2022): come da primo Hammer fact sottostante, non c’è pressione, la band può lavorare in tutta serenità, sentendosi libera di sperimentare e di fare ciò che meglio crede, con un budget davvero notevole (al termine, ‘Untouchables’ costerà al quintetto quattro milioni di dollari).
Che la scelta del produttore Michael Beinhorn sia azzeccata, il cantante lo dirà anche parecchi anni dopo, confermando nel 2017 come ‘Untouchables’ sia, tra tutti, l’album che preferisce (e ribadendolo a Milano appena quattro giorni fa), proprio per una combinazione di fattori, dalle meticolose registrazioni (durate due anni, e nelle quali c’è voluto un mese solo per ottenere un perfetto suono di batteria), alle trovate di quello che considera il suo produttore preferito, dotato di grande orecchio, e per nulla timoroso se c’era da sgridare qualcuno, con l’obiettivo di spronarlo a dare del suo meglio (per info, in fondo alla sua personale classifica c’è ‘Korn III: Remember Who You Are’ [2010]). L’opener, nonchè primo singolo estratto, ‘Here To Stay’ (secondo Hammer fact sottostante), praticamente onnipresente nelle setlist dei tour che seguiranno, compreso quello europeo in promozione a ‘Requiem’ attualmente in corso, abbina rabbia a cupezza, tra un lavoro graffiante di Munky e Head, una voce tormentata, e tuttavia una certa accessibilità.
Ancor più funzionale, sotto quest’ultimo aspetto, risulta il secondo singolo estratto ‘Thoughtless’, il cui accattivante ritornello resta impresso nella mente dopo pochi ascolti, e la cui riuscita sperimentazione di costruire un brano che sia diretto, fedele ed avvincente, innervosisce se si pensa che, dal vivo, tolto il ‘Korn: Monumental’ trasmesso lo scorso anno, in Europa questo brano non viene suonato dal tour estivo del 2011 in supporto a ‘Korn III: Remember Who You Are’, ed in quell’occasione fu inserito in un medley (sempre per info, nella recentissima data milanese, da questo disco sono state eseguite ‘Here To Stay’ e ‘No One’s There’, quest’ultima presentata annunciando l’imminente compleanno). Considerazioni a parte, la restante parte della tracklist è ugualmente degna di nota, con brani come ‘Hating’, ‘Bottled Up Inside’, l’emotiva ‘Hollow Life’ o la semi ballad ‘Alone I Break’ a dimostrare l’orientamento della band verso lidi più elettronici, in un’evoluzione che sa dare ad ‘Untouchables’ una propria impronta, con la sezione ritmica che spinge più sull’heavy e meno sul funky del suo predecessore (‘Blame’, ‘Embrace’).
Il lavoro colpisce nel segno perchè dimostra come i Korn siano stati capaci di mettersi in discussione ancora una volta, sperimentando laddove altre band continuavano ad offrire la solita minestra riscaldata (che le farà decadere di lì a poco). Sapranno chiudere il cerchio nel novembre dell’anno seguente, quando con ‘Take a Look In The Mirror’ (2003) dimostreranno, nuovamente, di saper consegnare un prodotto diverso (sinonimo, in tal caso, di più estremo), pur restando fedeli alle proprie radici. Ma di questo, ne scriveremo fra diciassette mesi.

Hammer Fact:
– Gli “intoccabili” sarebbero gli appartenenti alla casta minore dell’India, meglio definita Paria (la cui traduzione corretta sarebbe “oppressi”). Tuttavia, come ammesso da Davis nell’intervista presente nel numero di Metal Hammer di luglio 2002, il titolo dell’album “E’ solo una parola ad effetto. Anche se nell’album c’è un concetto che ricorre frequentemente, ed è quello della libertà. Che significa indipendenza delle proprie azioni, serenità nella scelta, ma anche la creazione delle condizioni giuste per esprimere tutto il proprio potenziale…”
– Sempre nella stessa intervista, Davis spiega così il significato del video del primo singolo estratto ‘Here To Stay’: “Qui chi controlla tutto è la televisione. […] Che prospettive hanno oggi i nostri figli? Che cosa sarà di loro quando saranno grandi? Quale morale avranno, se la maggior parte di loro cresce non con l’aiuto dei genitori, come è giusto e naturale che sia, ma imparando a memoria gli spot che passano durante i programmi in TV? […] Viviamo in una società schizoide in cui un detersivo è più importante di un bambino che muore di fame in Africa, ed in cui pochi sembrano capire la drammaticità della situazione, di quanto irreale e paranoico è diventato tutto quanto…”
– Per promuovere il disco, in Italia i Korn si esibirono nella location di Campovolo (Reggio Emilia), headliner il primo settembre 2002 di una giornata che vide, come special guest, band tutte americane: i Vendetta Red da Seattle, i Trust Company dall’Alabama, e i Puddle Of Mudd di Kansas City. A proposito di questi ultimi, ecco quanto affermato da Davis nel luglio 2002 ai microfoni di Metal Hammer: “Li ho scelti personalmente, secondo me scrivono grandi canzoni di pop-grunge. Li portiamo con noi per offrire un’ampia gamma di suono a chi ci viene a vedere dal vivo. Insomma, sarebbe stato inutile trascinarci dietro un gruppo che ci assomigliava al 100%, no?! Con i Puddle, invece, la sera che vieni a vedere i Korn che suonano nella tua città, hai anche la possibilità di ascoltare altri aspetti della musica dura di oggi.”

Line-Up:
Jonathan Davis: vocals, bagpipes
James “Munky” Shaffer: guitars
Brian “Head” Welch: guitars
Reginald “Fieldy” Arvizu: bass
David Silveria: drums

Tracklist:
01. Here To Stay
02. Make Believe
03. Blame
04. Hollow Life
05. Bottled Up Inside
06. Thoughtless
07. Hating
08. One More Time
09. Alone I Break
10. Embrace
11. Beat It Upright
12. Wake Up Hate
13. I’m Hiding
14. No One’s There

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