‘The Ritual’ – i trent’anni del canto del cigno della formazione classica dei Testament

Il 15/05/2022, di .

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‘The Ritual’ – i trent’anni del canto del cigno della formazione classica dei Testament

Quartier generale del thrash metal, anno 1992: il “rompete le righe” apparentemente annunciato dal terremoto Black Album sembra non risparmiare nessuno degli accoliti dei Metallica. I Megadeth passano all’esaltazione del loro lato più melodico, semplificando con ‘Countdown to Extinction’ la formula giunta a compimento su ‘Rust in Peace’, gli Exodus si spogliano persino del logo storico, gli Anthrax si preparano alla virata power-core che avverrà con il debut di Bush dietro al microfono, mentre gli Slayer diverranno (prevedibilmente) il simbolo della resistenza a oltranza, a dispetto delle scelte che verranno operate da alcuni dei loro seguaci più prossimi, come i Sepultura.
Un’evoluzione su cui si sono versati fiumi di inchiostro e che in qualche modo era inevitabile pena l’immobilismo di una scena che aveva già dimostrato un decennio di continuo fermento, ma che ha avuto un punto di riferimento indiscutibile proprio nei quattro cavalieri di Frisco, per emulazione o contrapposizione. In questo senario, a metà anno esce il quinto disco di una delle band più promettenti e amate della “seconda ondata” del thrash metal, i Testament. Noti agli aficionados per essersi guadagnati un posto accanto ai titani del thrash nei due anni precedenti, Eric Peterson e soci si affacciavano al traguardo del quinto album dilaniati da un conflitto interno, che vedeva da un lato il succitato chitarrista ritmico e il singer Chuck Billy premere per l’indurimento del suono nel solco già tracciato dai dischi precedenti, dall’altro il funambolico chitarrista solista Alex Skolnick e il batterista Louie Clemente richiedere un’apertura a sonorità heavy già presenti nel DNA del quintetto e che avrebbero permesso allo stesso un’evoluzione, strizzando al contempo l’occhio a radio e classifiche.
Come sappiamo, ‘The Ritual’ è il risultato della (temporanea) vittoria della seconda fazione, anche se sottolineo subito che probabilmente il disco in sé è frutto di un compromesso al ribasso: con una maggiore etica di gruppo e con un lavoro più organico le cose sarebbero andate decisamente meglio. Sulla carta e compositivamente, al di là di cose favolistiche tipo la purezza del thrash metal o altro, i Testament avevano tutti gli elementi per riuscire nell’impresa di bissare la pietra di paragone costituita dal Black Album: lo stile e il gran gusto di Skolnick, la vocazione melodica (nonostante tutto) del buon Billy, una sezione ritmica compatta e “quadrata” (sin troppo, come aveva dimostrato nei due dischi precedenti!). Insomma, elementi che addirittura nel loro caso anticipavano quella svolta guidata dai ‘Tallica. E dunque? Personalmente, introduzione a parte, i pezzi memorabili sono tre, massimo quattro su un totale di dodici; una percentuale che messa a confronto con il suntuoso lavoro fatto da Hetfield e soci un anno prima risulta ancora più misera, e chi dice il contrario mente sapendo di mentire.
E dire che l’attacco con ‘Signs of Chaos’ / ‘Electric Crown’ è oltremodo azzeccato, consegnando all’ascoltatore una gamma di possibilità e aperture che erano prevedibili nei lavori precedenti ma che ora venivano fuori in tutto il loro splendore; Alex Skolnick fa paura, è più ispirato che mai persino su ‘So Many Lies’, uno di quei pochi pezzi che saranno immediatamente recuperati nell’operazione di restyling che seguirà con l’EP live ‘Return to Apocalyptic City’, e che mostrano come sia possibile suonare musica cattiva anche in quattro quarti e in piena esplosione grunge.
E allora? Prendete ‘Let Go Of My World’, che sembra uno di quegli estratti da ‘Force of Habit’ dei cugini Exodus (anzi, ricorda molto l’incedere di ‘Thorn in my Side’), o magari da ‘100%’ dei Negazione oppure ‘Blind’ dei COC, uno di quei pezzi a cui non faresti fatica a dare una datazione neanche se li ascoltassi per la prima volta: nel bene e nel male, a seconda dei gusti di ognuno, ma francamente è invecchiato malissimo. E ancora, prendete la title track: sarebbe un pezzo comunissimo, persino scialbo, senza quegli arrangiamenti di chitarra che qualche volta richiamano addirittura gli anni ’70; un rimando alle origini dell’heard’n’heavy che avrebbe assunto le connotazioni di prassi consolidata di lì a poco, ma che era impensabile fino a qualche anno prima!
In tutto questo piattume, è la schiacciasassi ‘Deadline’ a emergere, con un senso della melodia modernissimo per i tempi, laddove l’attacco molto promettente e in stile Suicidal Tendencies coevi di ‘As the Seasons Grey’ si perde a causa di un minutaggio eccessivo. E poi, se proprio dobbiamo dirla tutta, uno dei pezzi davvero degni di nota del disco è proprio l’apparente pietra dello scandalo ‘Return to Serenity’, a dimostrazione che se devi ammorbidire la tua formula, almeno fallo bene e senza rimpianti, un campo in cui i Nostri si erano già dimostrati maestri – vedi le due power ballad ‘The Ballad e ‘The Legacy’. Purtroppo per i Testament, così come non bastava la flanella per fare il grunge, la loro decisa virata verso il quattro quarti di matrice Clemente non bastò né a sfondare nei mainstream vero (anche a causa di una produzione non certo all’altezza di quelle di Bob Rock), né a sanare i conflitti interni, che infatti culmineranno nella fuoriuscita dei ribelli Skolnick e Clemente e nella ricerca sempre più spasmodica di recuperare una credibilità “estrema”. Chi la dura la vince, come gli anni a venire dimostreranno, ma questa è un’altra storia…

Hammer Fact:
– Il tour promozionale di ‘The Ritual’ viene ricordato dalla stampa specializzata come quello che smentisce il classico adagio “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Infatti, Billy e Peterson non perderanno mai l’occasione nelle interviste di mettere le mani avanti rispetto alla svolta “heavy” e rispetto alla scelta di inserire ‘Return to Serenity’ in scaletta, preannunciando di fatto la virata verso il thrash tout court che ci sarebbe stata di lì a poco, con l’ingresso temporaneo di Glen Alvelais e Paul Bostaph, provenienti dai Forbidden. Curiosamente, saranno proprio Alvelais e Bostaph ad apparire sul videoclip promozionale della succitata ballad…
– Benché supposta pietra dello scandalo, fu proprio ‘Return to Serenity’ a garantire una posizione n. 22 nei singoli di Billboard, unico singolo in classifica della storia dei Testament, che comunque trainò il disco verso un discreto successo. Nonostante l’amore / odio nei suoi confronti, una versione edit della ballad comparirà tra le bonus in studio del già citato ‘Return to Apocalyptic City’, mentre a fine tracklist successivo ‘Live At Fillmore’ i Testament la inseriranno in un’apposita sezione acustica in studio, assieme a ‘The Legacy’ e alla nuovissima ‘Trail of Tears’.

Line-Up:
Chuck Billy: vocals
Alex Skolnick: lead guitar
Eric Peterson: rhythm guitar
Greg Christian: bass
Louie Clemente: drums

Tracklist:
01. Signs of Chaos
02. Electric Crown
03. So Many Lies
04. Let Go of My World
05. The Ritual
06. Deadline
07. As the Seasons Grey
08. Agony
09. The Sermon
10. Return to Serenity
11. Troubled Dreams

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