I trent’anni di ‘Fear Of The Dark’: un’oscurità che presto sarebbe giunta
Il 11/05/2022, di Gianfranco Monese.
In: The Birthday Party.
Gli anni Novanta maideniani contengono quattro prove in studio, che possiamo tranquillamente dividere in due coppie: ‘The X Factor’ (1995) e ‘Virtual XI’ (1998), i famosi album dell'”era Bayley”, da una parte, ‘No Prayer For The Dying’ (1990) e l’oggi trentenne ‘Fear Of The Dark’, dall’altra. Divisione, questa, dettata dal fatto che le due coppie, tra loro, si somigliano. Infatti, ‘Fear Of The Dark’ non fa altro che proseguire (cocciutamente?) lo stile del suo predecessore (di cui qui trovate un articolo del collega Roberto Sky Latini, riguardo il suo trentennale). Bisogna, tuttavia, considerare il periodo e, di conseguenza, contestualizzarne l’opera: sono anni in cui l’Heavy Metal, eccezion fatta per i nomi più illustri e, quindi, in grado di rimanere a galla, se la passa molto male: nel 1992 i venti sono ormai cambiati, ed hanno portato quell’aria fresca e giovane rappresentata dal Grunge, che imperversa e regna indisturbato, facendo apparire negli Stati Uniti (terreno spesso di difficile conquista) gruppi come i Maiden datati, sia anagraficamente, che nella proposta, tanto che sembra esserci, in ambito Metal, quasi un passaggio dello scettro tra la band di Harris e leve più fresche, apparse prepotentemente verso la metà degli anni Ottanta, ed ora pronte al grande salto, come Metallica e Guns ‘N Roses, tra l’altro in tour assieme negli States proprio nel 1992. Ed infatti, lasciando da parte l’Europa, da sempre amica dei Nostri, in America, nonostante un dodicesimo posto ottenuto poco dopo la sua uscita, il nono album in studio del gruppo sarà il primo, con Dickinson al microfono, a non raggiungere la certificazione di disco d’oro (si veda il primo Hammer fact sottostante). Un traguado, appunto, mancato per gli eventi appena descritti, oltre ai quali la statica, e forse poco luminescente, ispirazione di Harris e soci ha dato il colpo di grazia. ‘Fear Of The Dark’, come già scritto, del suo predecessore ne è parente stretto, con brani molto valevoli affiancati da altri meno riusciti. Parte col botto di ‘Be Quick Or Be Dead’, ma cala con ‘From Here To Eternity’ (di cui il secondo Hammer fact sottostante), tra i pezzi più scanzonati, a richiamare quanto contenuto nel disco precedente.
Si risolleva alla grande con la struggente (prima) ed avvincente (poi) ‘Afraid To Shoot Strangers’, che parla del bivio, ad un’unica scelta, cui è posto un soldato (in questo caso il periodo è quello della Guerra Del Golfo): non voler sparare per non uccidere nessuno, pur sapendo, però, che se diserterà quello che è il suo dovere, qualcun’altro sparerà a lui. Dalla struttura che verrà adottata, qualche anno dopo, anche per ‘Virus’ (inedito di ‘Best Of The Beast’ [1996]), la prima parte del brano appare come una semi ballad, con solo le strofe in essa contenute. Quando, nella seconda parte, comincia l’intermezzo strumentale, siamo davanti, forse, al miglior momento dell’intero disco, e ad un’ispirazione difficilmente riscontrata in ‘No Prayer For The Dying’. Dispiace solo che, nelle setlist post reunion, questa canzone verrà eseguita solamente nella prima leg del “Maiden England Tour”, ovvero quella delle annate 2012-2013 (in Italia, la band la suonò l’otto giugno 2013 a Rho, mentre per l’ultima leg del 2014, il brano verrà sostituito da ‘Revelations’). ‘Fear Is The Key’, la cui paura riguarda l’AIDS (ricordiamo che Freddie Mercury morì appena sei mesi prima la pubblicazione di questo disco) è un episodio cadenzato ed avvolgente, piacevole per alcuni, noioso per altri, mentre ‘Childhood’s End’, con una struttura similare, nella sua seconda parte, ad ‘Afraid To Shoot Strangers’, è un altro pezzo riuscitissimo.
I brevi e libertini rapporti descritti nella mesta semi ballad ‘Wasting Love’ (terzo Hammer fact sottostante), sono testimoni di un’egregia prova di Dickinson a tesserne l’atmosfera: il brano, dallo scorrere fluido, come altri qui contenuti, a seconda dei gusti viene sottovalutato come sopravvalutato; tirando le somme, si può scrivere che sta nel mezzo, è piacevole pur stando appena sotto ai pezzi più riusciti. Da ‘The Fugitive’ in avanti, si entra in una manciata di canzoni dallo spirito Hard Rock/Hair Metal americano e, come per il disco precedente, dall’ascolto scorrevole ma, tolto qualche episodio, poco memorabile. E se ‘The Apparition’ è, personalmente, tra le peggiori di sempre scritte con Dickinson alla voce, ‘Judas Be My Guide’ è, forse, quella più convincente, mentre un passaggio di chitarre (da 03:27 a 03:55) prova a risollevare il (noioso) fine settimana tra hooligans, dalle atmosfere Southern Rock, di ‘Weekend Warrior’. Arrivati quindi, con qualche sbadiglio di troppo, alla dodicesima traccia, ecco imbatterci nella titletrack, luce in fondo al tunnel. Ad oggi, su ‘Fear Of The Dark’ si è detta ogni cosa, tanto che negli anni è diventato tra i pezzi portabandiera della band, il più commerciale, non tanto per la sua accessibilità, quanto per essere il brano che più si presta dal vivo, con una reazione gargantuesca da parte dei fan nel creare un continuo tappeto di cori, al punto di far sempre parte (assieme a ‘Iron Maiden’), tolto l'”Eddie Rips Up The World Tour” del 2005, della setlist di ogni tour del nuovo millennio (alle volte, bisogna ammetterlo, risultando fuori luogo, come nel “Somewhere Back In Time Tour” del 2008/2009).
In conclusione, ‘Fear Of The Dark’ cerca di evolvere quella proposta di ritorno alle origini tentata con ‘No Prayer For The Dying’, e ci riesce usando, qua e là, una maggior epicità e, con un pugno di brani davvero pregevoli, risultando la miglior prova in studio delle quattro sfornate dal gruppo negli anni Novanta. Tuttavia, se da un lato è spinta (fin troppo?) proprio da quei pezzi riuscitissimi, la restante parte della tracklist non risulta all’altezza.
E ciò non basta per gridare al capolavoro.
Ascoltandola con obiettività, si può riassumere che questa prova semplicemente poco aggiunge a quanto detto e dimostrato dal suo antecessore, restando quindi indietro rispetto a quanto composto nei primi sette dischi (premesso che, molto probabilmente, anche uno qualsiasi di loro, nel 1992, avrebbe potuto fare cilecca). Che risenta, oltre che dell’assenza di Smith, anche di una certa tensione all’interno del gruppo, che ben presto porterà all’abbandono di Dickinson, lo si può comprendere proprio dalle premonitorie (e comprensibili) parole rilasciate all’epoca dal cantante, riportate nel libro di Martin Popoff ‘Fear Of The Dark – Gli Iron Maiden Negli Anni Novanta’, edito nel 2020 da Tsunami Edizioni (di cui qui trovate la recensione del collega Alessandro Ebuli): “Su Fear Of The Dark non stavamo facendo nulla che non avessimo fatto su ogni altro dannato album dei Maiden. Mentre io pensavo: “Ma non dovremmo impegnarci di più? Non dovremmo preoccuparci un pò?”” Ed infatti, per Harris le preoccupazioni sarebbero arrivate molto presto.
Hammer Fact:
– ‘Fear Of The Dark’ contiene qualche primato, sia in positivo che in negativo: è il primo e, ad oggi, unico disco ad esporre, in copertina, il logo della band in verticale. E’ il primo album la cui copertina non è stata disegnata da Derek Riggs, bensì da Melvyn Grant. E’ il primo disco, con Dickinson alla voce, a non raggiungere la certificazione di disco d’oro negli Stati Uniti da parte della RIAA (The Recording Industry Association Of America); la ottiene tuttavia in Inghilterra, raggiungendo la prima posizione subito dopo la sua uscita. Inoltre, ‘Be Quick Or Be Dead’ è il primo singolo della band a portare la firma di Gers (oltre a quella di Dickinson).
– Il secondo brano della tracklist, ‘From Here To Eternity’, è il quarto capitolo dedicato a Charlotte The Harlot. Gli altri tre sono l’omonimo brano presente su ‘Iron Maiden’ (1980), ’22 Acacia Avenue’ da ‘The Number Of The Beast’ (1982), e ‘Hooks In You’ da ‘No Prayer For The Dying’ (1990).
– Il video del terzo singolo estratto ‘Wasting Love’ fu girato da Samuel Bayer: molti i videoclip da lui diretti, tra i quali ‘Smells Like Teen Spirit’ (Nirvana), ‘Zombie’ (The Cranberries), ‘Until It Sleeps’ (Metallica), ‘Stupid Girl’, ‘Vow’ e ‘Only Happy When It Rains’ (Garbage), ‘Coma White’, ‘Rock Is Dead’ e ‘Disposable Teens’ (Marilyn Manson), ‘American Idiot’, ‘Jesus Of Suburbia’, ‘Holiday’, ‘Boulevard Of Broken Dreams’ e ‘Wake Me Up When September Ends’ (Green Day), ‘Angel’ (Robbie Williams), ‘What Goes Around… Comes Around’ (Justin Timberlake).
Line-Up:
Bruce Dickinson: vocals
Steve Harris: bass
Dave Murray: guitars
Janick Gers: guitars
Nicko McBrain: drums
Tracklist:
01. Be Quick Or Be Dead
02. From Here To Eternity
03. Afraid To Shoot Strangers
04. Fear Is The Key
05. Childhood’s End
06. Wasting Love
07. The Fugitive
08. Chains Of Misery
09. The Apparition
10. Judas Be My Guide
11. Weekend Warrior
12. Fear Of The Dark
Ascolta il disco su Spotify
11