Diary of a Madman – compie quarant’anni il capolavoro di Ozzy Osbourne
Il 07/11/2021, di Francesco Faniello.
In: The Birthday Party.
Possiamo provare a immaginare i primissimi anni ’80 dal punto di vista degli accoliti più fedeli del Sabba Nero: orfani del sound originario del quartetto che nel decennio precedente aveva pubblicato almeno sei capolavori su un totale di otto album, avrebbero ritrovato la stessa formula non prima degli anni ’90, quando i riflettori sul decennio degli yuppie si sarebbero spenti e filoni come il grunge o lo stoner avrebbero preso piede. Da un altro punto di vista, gli stessi hanno potuto godere di un vero e proprio sdoppiamento della proposta dei propri beniamini, con Ozzy e i suoi Blizzard Of Ozz da un lato e Iommi, Butler e Ward (almeno inizialmente) a portare le insegne dei Black Sabbath con il nuovo arrivato Ronnie James Dio. Ma si sa… simili fenomeni portano con sé anche una buona dose di rivalità tra le opposte fazioni, un’acredine che però non ha disperso l’enorme potenziale nelle mani degli attori in campo, almeno per quanto riguarda i primi, incredibili lavori da loro prodotti.
A questa stirpe di capolavori appartiene a tutti gli effetti ‘Diary of a Madman’, il secondo capitolo della carriera solista di Ozzy Osbourne. Un disco fondamentale per la carriera del Madman, ma anche un punto di riferimento per i tanti che si approcciano allo studio della chitarra partendo dall’eredità lasciata dal compianto Randy Rhoads, musicista eccezionale della cui tecnica si è discusso a lungo, nonostante la carriera relativamente breve, stroncata da un maledetto incidente aereo il 19 marzo del 1982. Proprio lo stile fluido del biondo californiano si era rivelato decisivo per l’immediato successo del nuovo progetto sul suolo statunitense: una padronanza della tecnica di entrambe le mani che non poteva che far pensare a Eddie Van Halen, con un più un tocco neoclassico derivante dagli studi di chitarra classica. Il resto lo faceva la maestria compositiva del mai troppo celebrato Bob Daisley, vero e proprio ghost writer (suo malgrado) di quest’album, tanto da essere stato inizialmente escluso dai credits, come vedremo più avanti. Si dibatte spesso su quale sia il miglior disco della carriera solista di Ozzy Osbourne, e la scelta dei fan ricade alternativamente su ‘Blizzard of Ozz’ o sul follow-up ‘Diary of a Madman’: ecco, se il primo ha sicuramente i brani più noti (e longevi nelle scalette live) il secondo può vantare una magia incomparabile per l’effettiva crescita musicale di Rhoads in pochissimi mesi, che si esplica in una serie di arpeggi e di soluzioni armoniche e soprattutto solistiche davvero fuori dal comune. Quello che rende ancora più misterioso questo disco è il fatto che le sue incredibili tracce siano state criminalmente trascurate dai live di qualsiasi incarnazione della band, a partire da un vero e proprio inno come ‘You Can’t Kill Rock and Roll’, la cui bellezza risiede proprio nell’ariosità degli arpeggi aperti di Randy Rhoads, per non parlare dell’ammiccante ‘Little Dolls’, sorta di ‘Crazy Babies’ ante litteram con in più una coda settantiana che parla direttamente ai fan della primissima ora. E ancora: ‘Tonight’, che segue la tradizione delle ballate acide del Madman con in più l’epicità del tocco di Rhoads, fino a ‘S.A.T.O.’, una cavalcata heavy metal a tutti gli effetti che segue il solco già tracciato nel precedente lavoro con ‘I Don’t Know’ e ‘Steal Away (The Night)’. A fare capolino nella serie di concerti del Principe dell’Oscurità sono state in primis l’incedere anthemico di ‘Flying High Again’, già nota ai fans perché eseguita durante il tour precedente, la roboante opener ‘Over The Mountain’ che ritroveremo spesso in apertura nei tour con Brad Gillis e Jake E. Lee, e soprattutto ‘Believer’, con la sua riconoscibilissima introduzione di basso che resisterà in scaletta fino all’epoca di Rob Trujillo, campeggiando persino nel ‘Live At Budokan’ del 2002. In chiusura, la title track: chi aveva sgranato gli occhi all’ascolto di ‘Revelation (Mother Earth)’ qui sarà rimasto addirittura senza parole per la complessità degli arrangiamenti unita a una fluidità di esecuzione che disegna scenari terribili e rassicuranti allo stesso tempo, su cui si staglia un assolo di chitarra che sembra richiamare gli insegnamenti più segreti di Blackmore per proiettarli negli anni ’80 e inciderli per sempre nella pietra. Non è un caso che il pezzo abbia fatto una rara apparizione nel 1996, nella scaletta del ‘Retirement Sucks Tour’: alla chitarra c’era Joe Holmes, che era stato proprio uno degli allievi del compianto Randy Rhoads nel 1979.
Hammer Fact:
– Quella dei diritti legati a ‘Diary of a Madman’ è davvero una storia intricata, con i tipici risvolti che vedono il coinvolgimento della famigerata Sharon Arden. A firmare la maggioranza dei brani e a registrare il disco fu il quartetto storico dei Blizzard of Ozz (il primissimo monicker del progetto), ma a session concluse Daisley e Kerslake vennero messi alla porta e sostituiti da Rudy Sarzo e Tommy Aldridge. Clamorosamente, gli ultimi due apparvero in bella mostra sulla formazione dell’album e nelle foto promozionali dello stesso, tanto che Aldridge ebbe a dichiarare “chiunque mi conosca troverà ovvio che non sono io a suonare sul disco. Tutti i meriti vanno a Lee Kerslake”. Meriti che il tribunale riconoscerà anni dopo, ed è lì che l’ormai signora Osbourne verrà fuori con un’idea in bilico tra il geniale e il diabolico: per la ristampa del 2002 i primi due dischi di Ozzy vennero interamente risuonati dalla sezione ritmica dell’epoca, ossia Rob Trujillo and Mike Bordin. Potete immaginare il seguito: fans in rivolta e rimpiattino di responsabilità tra Ozzy e gentile signora, con quest’ultima che dirà che il marito non voleva saperne di avere a che fare con i “traditori” Daisley and Kerslake e che comunque la nuova versione beneficiava del “tocco fresco” dei nuovi arrivati, mentre il Madman giurava di non saperne niente e che comunque “un apposito sticker informativo” evitava qualsiasi fraintendimento. Sticker che in realtà ha fatto la sua comparsa solo in seguito, finché l’ennesima ristampa del 2011 non ha rimesso le cose a posto, con i credits corretti e nessuna menzione (!) su chi abbia suonato sull’album. Eccezion fatta per il (doveroso) proliferare di foto di Randy Rhoads in azione.
– Fu Ozzy a rendersene conto, in uno dei suoi rari momenti di lucidità: il lick introduttivo all’assolo di ‘Over The Mountain’ conteneva il famigerato tritono, ossia… proprio il riff che aveva reso arcinota ‘Black Sabbath’ undici anni prima! Interpellato in merito, Randy Rhoads ammise candidamente di non aver mai sentito quel pezzo!
– L’artwork di ‘Diary of a Madman’ è zeppo di riferimenti occulti, mediati dall’aspetto grottesco del Madman e dunque dalla risultante alquanto umoristica. Ne è esempio l’uso dell’Alfabeto Tebano, il cui crittogramma risolto non significa altro che “The Ozzy Osbourne Band”. Inoltre, il bambino in copertina non è altro che Louis Osbourne, il figlio di Ozzy e della prima moglie Thelma Riley.
– Infine… che significa il misterioso acronimo ‘S.A.T.O.’? È presto detto: ‘Sailing Across The Ocean’!
Line-Up:
Ozzy Osbourne – lead & backing vocals
Randy Rhoads – guitars
Bob Daisley: bass (uncredited)
Lee Kerslake: drums (uncredited)
Tracklist:
01. Over the Mountain
02. Flying High Again
03. You Can’t Kill Rock and Roll
04. Believer
05. Little Dolls
06. Tonight
07. S.A.T.O.
08. Diary of a Madman
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