‘I Don’t Want The World To Change Me’ – compie trent’anni il successo stellare di ‘No More Tears’

Il 17/09/2021, di .

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‘I Don’t Want The World To Change Me’ – compie trent’anni il successo stellare di ‘No More Tears’

Certo che è incredibile. Voglio dire, abituati a come siamo alla presenza di meteore e one-hit-wonders, la carriera di Ozzy Osbourne deve sembrarci roba di un altro pianeta, almeno dal punto di vista del terzo decennio del ventunesimo secolo. L’occasione del trentennale di ‘No More Tears’ mette immediatamente in evidenza la capacità del Madman (e soprattutto della macchina organizzativa che lo sostiene) di attraversare le decadi da protagonista, al di là dell’ovvio avvicendarsi delle mode. Un disco uscito nel 1991, dieci anni dopo che erano già stati forgiati i lavori “classici” del suo progetto solista, e che tuttavia ha il piglio del greatest hits tanto è pieno di frecce al suo arco.
E non dimentichiamo che ‘No More Tears’ veniva a sua volta vent’anni dopo quello che avevamo definito “un disco di un’importanza stratosferica” per i canoni dell’hard’n’heavy, quel ‘Master Of Reality’ dei suoi Black Sabbath. Dicevamo della valenza da “greatest hits” di questo sesto album di Ozzy, un principio immediatamente verificabile scorrendo più o meno a caso la tracklist, con pezzi della caratura di ‘I Don’t Want to Change the World’, ‘Mama, I’m Coming Home’, ‘Desire’, ‘No More Tears’, ‘S.I.N.’, ‘Hellraiser’, ‘Road To Nowhere’ che parlano da sé, arcinoti ed entrati nell’immaginario collettivo come “classici” al pari di quanto non lo siano pezzi di Storia come ‘Mr. Crowley’, ‘Over The Mountain’ o ‘Crazy Train’.
Le motivazioni di un successo così strepitoso vanno ricercate nel sapiente lavoro compositivo sia della squadra messa su dalla famigerata Sharon Arden che dei collaboratori esterni “di lusso”, tra cui spicca Lemmy Kilmister, co-autore di ben quattro brani; un lavoro certosino impreziosito dal sound cristallino a opera della coppia di produttori Baron / Purdell nonché dal missaggio di Michael Wagener, che proiettò il progetto negli anni ’90 permettendo al Nostro di mantenere credibilità persino in un momento in cui tutte le certezze degli anni ’80 stavano per crollare sotto i colpi inesorabili delle nuove tendenze, grunge in primis. In effetti, non furono solo il chitarrismo moderno e fresco di Zakk Wylde e l’apporto dello zio Lemmy a salvare Ozzy negli anni ’90: molto fece il fatto che tra gli idoli dei nuovi padroni del mondo della musica c’erano proprio i Black Sabbath, con la loro oscurità e il loro groove che ben si adattava alle nuove / vecchie sonorità in voga negli anni ’90.
E di oscurità se ne intendevano anche i formidabili strumentisti presenti su ‘No More Tears’: ne è esempio l’intro sbilenca dell’opener ‘Mr. Tinkertrain’ su cui si staglia il riffing grosso e traboccante della Les Paul a cerchi concentrici di Wylde, i cui assoli dal sapore southern ne hanno qui codificato l’estetica ancor più rispetto al suo debutto con la band sul precedente ‘No Rest For The Wicked’. Per non parlare poi della mastodontica title-track, impreziosita da un iconico videoclip e aperta da un riff di basso a opera del nuovo arrivato Mike Inez, futura colonna portante degli Alice In Chains. Va ricordato che nonostante l’ottima impressione che il nuovo bassista fece a Ozzy, quest’ultimo preferì avvalersi della collaborazione dello storico bassista Bob Daisley, che aveva suonato su quasi tutti i dischi precedenti e che fece la sua ultima apparizione nella band proprio per le registrazioni di quest’album.
Probabilmente è stata la cessazione del rapporto con il bistrattato bassista e prolifico compositore (poi sostituito da nomi di tutto rispetto come Inez, Butler e Trujillo), o magari la volontà sempre maggiore di avvalersi di collaboratori esterni in fase compositiva, ma sono in tanti a concordare che ‘No More Tears’ sia l’ultimo album in studio di Ozzy Osbourne ad aver rivestito un’importanza nel sempre più ampio scacchiere hard’n’heavy; un giudizio che può parzialmente essere limato dalla consapevolezza che il successivo ‘Ozzmosis’ sia tutto sommato un buon disco, e che il recente ‘Ordinary Man’ (complice l’atmosfera da “canto del cigno”) sia il ritorno al lirismo malato e sbilenco che tutti i fan attendevano. Quale che sia l’opinione di ognuno, non si può negare come Ozzy e consorte abbiano capitalizzato al massimo il momento favorevole, lanciando il ‘No More Tours’ e con esso una lunga serie di dietrofront rispetto agli intenti iniziali, dato che stiamo parlando di quello che doveva essere l’ultimo tour di Ozzy – una politica di annunci e smentite poi imitata da un sempre più alto numero di “colleghi”.
Il ‘No More Tours’ vide il suo apice nelle date conclusive di Costa Mesa, con i redivivi Sabbath originari che si unirono al vecchio compagno d’armi per una jam finale – una mossa che costò alla band di Iommi l’abbandono piccato del frontman Ronnie James Dio, assolutamente contrario all’idea di dover “fare da spalla a un clown”. Proprio la storica versione di ‘Black Sabbath’ con il quartetto originario finirà sul doppio dal vivo ‘Live & Loud’, un album che emblematicamente non verrà mai ristampato – stesso destino toccato all’EP live ‘Just Say Ozzy’ e a ‘The Ultimate Sin’ – allo scopo di non pagare le royalties all’ex bassista Phil Soussan, autore del singolo di successo ‘Shot In The Dark’ presente su tutte e tre le release.
Un vero peccato, dato che proprio da questo live era tratta la versione di ‘I Don’t Want to Change the World’ vincitrice del Grammy per la sezione dedicata alle performance dal vivo – e ovviamente inclusa nella recentissima ristampa per il trentennale di ‘No More Tears’. In conclusione, un album che è sì di diritto nella collezione dei classici del nostro Prince of Darkness, ma beneficia anche dell’altra faccia della medaglia, gli arpeggi solari e senza tempo di ‘Mama, I’m Coming Home’ (dedicata a Sharon) e ‘Road To Nowhere’, eseguiti da quello che era il vero e proprio golden boy di questo stato di grazia in casa Osbourne, Mr. Zakk Wylde…

Hammer Fact:
– Essendo Lemmy co-autore di ‘Hellraiser’, i Motorhead stessi ne realizzarono una loro versione per l’album ‘March Or Die’, uscito l’anno dopo. Il pezzo rappresentava una delle punte di diamante di un disco altrimenti “di passaggio” (l’altra è sicuramente ‘I Ain’t No Nice Guy’, che vede la partecipazione dello stesso Ozzy), e valse ai Motorhead proprio la partecipazione alla colonna sonora di ‘Hellraiser III’, come è evidente anche dal videoclip promozionale.

– Secondo il wrestler Chris Jericho, l’acronimo del pezzo ‘A.V.H.’ significherebbe ‘Aston Villa Highway’, un tributo alla squadra di calcio di Birmingham, la città natale di Ozzy. Il Madman ha tuttavia fornito un’interpretazione ben più colorita, per cui dietro quelle iniziali si nasconderebbero le parole “alcohol, valium, hash”. Tipico, no?

Line-Up:
Ozzy Osbourne: vocals
Zakk Wylde: guitar
Randy Castillo: drums
Bob Daisley: bass
John Sinclair: keyboards

Tracklist:
01. Mr. Tinkertrain
02. I Don’t Want to Change the World
03. Mama, I’m Coming Home
04. Desire
05. No More Tears
06. S.I.N.
07. Hellraiser
08. Time After Time
09. Zombie Stomp
10. A.V.H.
11. Road to Nowhere
12. Don’t Blame Me (bonus track)
13. Party With the Animals (bonus track)

Ascolta il disco su Spotify

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