‘Origin Of Symmetry’ – Vent’anni fa le (vere) origini dei Muse
Il 18/07/2021, di Gianfranco Monese.
In: The Birthday Party.
A parte qualche eccezione, i fan non li si convince con un album. E per molti di loro, dopo l’ascolto di ‘Showbiz’, debutto dei Muse datato 1999, nonostante una doverosa (forse eccessivamente patriottica?) spinta da parte della stampa inglese, venne naturale andare con i piedi di piombo, per vedere di cosa sarebbe stata capace successivamente la band. Detto fatto, è con ‘Origin Of Symmetry’ di due anni dopo che il trio di Teignmouth ottiene larghi consensi, sprigionando uno stile proprio e, per questo, sbriciolando quel soprannome fastidioso (“nuovi Radiohead”) che, alla lunga, avrebbe potuto dare attenzioni tanto quanto critiche. Questo lavoro, ad oggi fondamentale nella discografia dei Muse, dimostra un ottimo connubio tra Alternative “digitale”, musica classica e Progressive. Ci sono tutte queste basi, essenziali per quello che, in studio, la band personalmente sarà fino a ‘Black Holes And Revelations’ (2006). Matthew Bellamy rende note le sue ispirazioni verso uno tra i pianisti più famosi ed influenti di sempre, Sergej Vasil’evic Rachmaninov, qui trasportato ai giorni nostri nell’esemplare ‘Space Dementia’, dove il frontman dimostra di saper spaziare sia al pianoforte che alla voce, assecondato dal resto della band in un esoterico viaggio nello spazio. A precederla, due capolavori diretti come ‘New Born’ e ‘Bliss’. In crescendo la prima, con la sua intro a ricordare quanto appena scritto per ‘Space Dementia’, a cui segue uno sporco riff di chitarra in grado di divampare appena batteria e basso entrano in gioco; i ritmi sostenuti strumentalmente nelle strofe vengono ammorbiditi dalle camaleontiche capacità vocali di Bellamy, per poi esplodere nel ritornello. Un tappeto di tastiere apre e funge da struttura portante per tutta la durata di ‘Bliss’, brano intenerito dalla bellezza delle sue strofe, più delicato del precedente ma ugualmente d’effetto. Con ‘Hyper Music’ si torna alla rabbia Alternative di ‘New Born’, tra sfoghi vocali in piena regola ad assecondare il testo del ritornello (“You know that I don’t love you, and I never did, I don’t want you, and I never will”), agevolati da effetti di chitarra psicopatici. ‘Plug In Baby’ è l’ennesima spinta verso lo spazio: uno space shuttle lanciato, come l’intero album, a tutta velocità, per un inno da cantare a squarciagola che non può mancare in ogni setlist della band. E se, trascorse appena cinque canzoni, si resta positivamente colpiti da tanta originalità e prestezza, data anche dalla loro breve durata, è con la sesta e lunga ‘Citizen Erased’ (di quasi sette minuti e mezzo) che la band cala l’asso, sperimentando più ritmi, istantanee, sfumature. Simbolo di controversia nel titolo (mai tema come quello dei “cittadini cancellati” in quanto inconsapevolmente gestiti da una sorta di “Grande Fratello” [si veda il capolavoro di George Orwell ‘1984’, d’ispirazione per il quinto album della band ‘The Resistance’ del 2009], è tutt’oggi così attuale), il viaggio che questo brano offre è talmente inteso (forzato nelle chitarre, soave nelle parti melodiche), da dare l’impressione che sia più la band ad adattarsi a ‘Citizen Erased’, che il contrario. Come già scritto precedentemente, diversificata e poliedrica è la prova vocale di Bellamy, in grado di conformarsi ad ogni situazione, e lodevole è la scelta di un finale armonioso accompagnato dal pianoforte, che conclude un brano iniziato all’opposto. E se ‘Micro Cuts’ è forse il primo (ed unico?) riempitivo dell’album (nonostante l’ennesima, ineccepibile, prova del frontman, capace vocalmente di raggiungere vette quasi impossibili), si torna a fare sul serio con la quieta ‘Screenager’, assieme alla più camaleontica ‘Citizen Erased’ un altro esempio di come la band riesca a regalare musica di classe senza per forza premere sull’acceleratore, e lo stesso lo si può dire per la cadenzata ‘Darkshines’, ben supportata dal basso, da una giusta dose di pazzia al pianoforte (02:02) e, come da titolo, da un continuo lamento vocale, tormentato nelle armoniose strofe, rabbioso negli elettrizzanti ritornelli. Originale il tributo a Nina Simone con la cover della sua ‘Feeling Good’, in pieno stile ‘Origin Of Symmetry’, tra stacchi in stile Jazz Club del dopoguerra (quasi a richiamare il pezzo originale), sfoghi come d’abitudine e l’interessante utilizzo del megafono nella seconda strofa: se lo scopo era reinterpretare un pezzo seguendo il proprio stile, il compito può definirsi riuscito al 100%. Chiude l’album ‘Megalomania’, dove l’utilizzo dell’organo (registrato presso la St. Mary’s Church di Bathwick) ed un ritmo, nelle strofe, soavemente incantatore conferiscono al brano il compito di fungere perfettamente da outro.
Eclettico, estroverso ma soprattutto originale, vent’anni fa ‘Origin Of Symmetry’ fu un disco sicuramente meno commerciale dell’altrettanto valido materiale che ne seguì, ma proprio per questo (e per i tre aggettivi scritti ad inizio frase) resta ad oggi tra i lavori imprescindibili del trio, a dimostrazione di come molte band siano più apprezzabili in giovine età in quanto sicuramente più acerbe, ma anche più spontanee e lontane da standardizzazioni o influenze più o meno imposte (che per quel che concerne i Nostri si insinueranno, soprattutto, da ‘The 2nd Law’ [2012], nonostante il precedente ‘The Resistance’ [2009] mostri già qualche inflessione esterna allo stile della band). Un disco che oggi potete riscoprire nella sua nuova edizione recentemente pubblicata dai Muse ed intitolata ‘XX Anniversary RemiXX’, con una bonus track (‘Futurism’), un audio rimasterizzato e remixato e un artwork rammodernato: molto probabilmente più una chicca per i die hard fan della band, perché sono certo che dopo vent’anni una copia dell’originale, se con la lettura dell’articolo siete arrivati fino a qui, la possedete.
Hammer Fact:
– Il titolo dell’album discende da una teoria della fisica, nello specifico quella delle stringhe, descritta dal fisico americano (di origini giapponesi) Michio Kaku nel suo testo dal titolo ‘Hyperspace’.
– Come riportato su www.onstageweb.com, l’ok per l’utilizzo dell’organo presso la St. Mary Church di Bathwick, a quanto pare, non fu dato immediatamente: il prete della chiesa, nonché custode dello strumento, volle prima leggere il testo di ‘Megalomania’ per sincerarsi che questo non fosse blasfemo o satanico, prima di poter dare il permesso per l’impiego dell’organo e le conseguenti registrazioni.
– Sempre riportato su www.onstageweb.com, tra i “disturbanti” suoni che si possono sentire al termine di ‘Space Dementia’, vi è anche… La zip di un paio di pantaloni di Matthew Bellamy!
Line-Up:
Matthew Bellamy: vocals, guitars, piano, keyboards, organ on ‘Megalomania’
Chris Wolstenholme: bass, backing vocals, vibraphone
Dominic Howard: drums, percussions
Tracklist:
01. New Born
02. Bliss
03. Space Dementia
04. Hyper Music
05. Plug In Baby
06. Citizen Erased
07. Micro Cuts
08. Screenager
09. Darkshines
10. Feeling Good
11. Megalomania
Ascolta il disco su Spotify