Lento, profondo e duro: i trent’anni del dissacrante debutto dei Type O Negative
Il 03/06/2021, di Francesco Faniello.
In: The Birthday Party.
Difficile definire ‘Slow, Deep and Hard’ con una sola parola. Heavy/doom metal, hard rock, hardcore/punk, goth/dark e industrial si susseguono in una girandola vorticosa nei solchi di quest’album, senza dimenticare il gusto per la melodia ma soprattutto senza quell’aspetto stantio da fritto misto che tanto caratterizza quei lavori pieni di definizioni neanche fossero una di quelle valigie d’epoca, con tutti gli adesivi stampati sopra: nulla di tutto questo appartiene al debut della band guidata da Peter Steele. A trent’anni di distanza, un disco così dirompente mantiene intatta la sua carica innovativa senza perdere di un grammo in potenza rispetto a tutti i generi che si sono susseguiti nel frattempo, alcuni dei quali hanno tratto linfa vitale proprio da esso. Certo, quando si parla dei Type O Negative le pietre di paragone sono ‘Bloody Kisses’ e ‘October Rust’ (e difficilmente potrebbe essere altrimenti, data la loro bellezza disarmante), ma non bisogna trascurare la maligna genialità del debut, un lavoro che getta le basi per l’etica, la forma, l’estetica e la sostanza del quartetto di Brooklyn, a partire da quell’abuso del colore verde che deve essere un po’ una costante da quelle parti, come insegnano gli Overkill.
In pratica, la nascita di ‘Slow, Deep and Hard’ coincide con la nascita stessa dei Type O Negative, nella misura in cui il nostro Ratajczyk aveva messo fine alla dirompente corsa dei Carnivore per unirsi a Kenny Hickey e Sal Abruscato, richiamando al contempo il vecchio compagno d’armi nei Fallout, Josh Silver. Cosa ci facesse un tastierista nella “nuova” band di Steele era un mistero che solo i più attenti conoscitori del Nostro erano in grado di svelare, data la sua passione per la new wave e i Beatles. Messi su i Repulsion, la band tira fuori immediatamente il demo ‘None More Negative’, che contiene praticamente sei delle sette tracce che andranno a costituire il debut della band successiva. Ed è qui che inizia a serpeggiare l’irriverente concept che costituisce il filo conduttore dell’album, un lungo lamento pessimista e iconoclasta che scaturisce da una delusione amorosa attraversandone praticamente tutte le fasi, dall’abbandono alla voglia di rivalsa che sconfina nell’odio. Naturale che i contenuti non proprio da educande né affini al politically correct attirassero le ire di varie fette di pubblico, dato che il nome dei Type O Negative iniziava a espandersi in Europa, complice il deal con la Roadrunner; la ciliegina sulla torta fu il testo di ‘Der Untermensch’, controverso attacco all’abuso del welfare americano da parte delle minoranze che appare in tutto e per tutto come la continuazione di quella ‘Public Assistance’ che Steele aveva scritto per i concittadini Agnostic Front: la stampa mitteleuropea storse il naso e mise mano all’accusa di filonazismo, prontamente respinta per via delle origini ebraiche di Silver. Controversie a parte, ‘Slow, Deep and Hard’ è uno di quei capisaldi di un nuovo modo di intendere la musica che prende forma a partire dal crossover thrash e dalle influenze gotiche sull’hard’n’heavy, smussandone però le spigolosità senza lesinare bordate violentissime che si esplicano in una serie di stop’n’go e di serrate ritmiche con doppia cassa che spezzano il lisergico incedere doom di tanti passaggi, il tutto coronato dal caratteristico basso distorto del mastermind e dalla sua timbrica profonda, qui ancora venata di disperazione hardcore e pertanto ancor più “verace”. Un concentrato di black humor accentuato dall’inequivocabile copertina, dall’effetto straniante delle tastiere in episodi come ‘Xero Tolerance’, dall’uso sfacciato di sampler femminili su ‘Unsuccessfully Coping With The Natural Beauty Of Infidelity’ (d’altronde, ‘I Know You’re Fucking Someone Else’ è stato il primo refrain della band in assoluto che abbiamo imparato), dall’occupazione abusiva di nastri e solchi di quell’emulazione di John Cage che risponde al nome di ‘The Misinterpretation Of Silence And Its Disastrous Consequences’ e del coro definitivo di ‘Requiem For A Soulless Man’, l’ultima parte di ‘Gravitational Constant’ che lascia a suo modo presagire le lascive melodie che il quartetto ci regalerà in futuro. Il resto è Storia, ma si mescola con i ricordi, a partire dall’evocativa ‘Glass Walls Of Limbo (Dance Mix)’ che non poteva non far pensare a un ideale passaggio di testimone tra i Celtic Frost e i Type O Negative, passando per il mishearing di ‘Unjustifiable Existence’, che diventava il ben più rassicurante “I’m just a fireball… estinguished!”, fino alla constatazione che quella costante gravitazionale non era poi la stessa presente sui libri di Fisica; tuttavia, se l’approccio a qualsiasi tipologia di crossover è divenuto sempre più maturo e sopraffino lo dobbiamo anche a queste sette tracce dense di massime imperdibili come “Tu muori, io mi masturbo”. None More Negative.
Hammer Fact:
– Eravamo abituati alla firma dei contratti col sangue sin dai tempi dei Manowar e di chissà chi altro. Peter Steele volle però aggiungere maggiore densità alla miscela da impiegare come inchiostro in occasione del deal con la Roadrunner, e fu dunque visto allontanarsi in direzione del bagno con una rivista dalla copertina eloquente tra le mani. Chissà che l’idea per l’artwork dei futuri ‘Load’ e ‘Reload’ dei Metallica non venga anche un po’ da lì…
– C’è un particolare filo conduttore che sembra legare questo disco all’operato di uno dei padrini indiscussi dell’heavy metal, l’inossidabile Tony Iommi. In primis, l’intro tipicamente industrial di ‘Der Untermensch’ sarà lo stesso che i Black Sabbath useranno per l’incipit di ‘Computer God’, opening track del loro ‘Dehumanizer’ uscito l’anno dopo. E fin qui, può trattarsi di un caso isolato. La cosa curiosa è che il pezzo ‘Utopian Blaster’ dei Cathedral dispiegherà praticamente lo stesso riff (sabbathiano, neanche a dirlo) che dà la sferzata a ‘Prelude To Agony’; indovinate un po’ chi avevano pensato di chiamare come ospite Dorrian e soci in quel pezzo? Proprio il nostro Iron Man, autore tra l’altro di una prestazione degna del suo nome… Un’ulteriore conferma della genialità di ‘Slow, Deep and Hard’? Si tratta pur sempre della spiegazione più plausibile, ma chissà che il buon Peter Steele non stesse pensando proprio a questi episodi quando vergò il salace testo di ‘Just Say No To Love’, il pezzo che lo vede collaborare sull’omonimo album solista del chitarrista di Birmingham: ” A party thrown, I’m so excited / Since you’re dead, you’re not invited / On your grave I made a wish / You beneath me is such bliss / A fitting end for a phony / You dumped me for Tony Iommi”.
Line-Up:
Peter Steele: lead vocals, bass
Kenny Hickey: guitars, backing vocals
Josh Silver: keyboards, backing vocals, samples
Sal Abruscato: drums
Tracklist:
01. Unsuccessfully Coping With The Natural Beauty Of Infidelity
02. Der Untermensch
03. Xero Tolerance
04. Prelude To Agony
05. Glass Walls Of Limbo (Dance Mix)
06. The Misinterpretation Of Silence And Its Disastrous Consequences
07. Gravitational Constant: G = 6.67 × 10−8 cm−3 gm−1 sec−2
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