The Doors – L.A. Woman: la percezione dei cinquant’anni
Il 19/04/2021, di Alessandro Ebuli.
In: The Birthday Party.
Il raggiungimento del traguardo dei cinquant’anni rammenta a tutti il passare inesorabile del tempo che per gli appassionati di musica è scandito con regolarità dai compleanni degli album passati alla storia e spesso si traduce nel piacere puramente personale di festeggiare un prodotto che in qualche modo può avere accompagnato la crescita dell’appassionato stesso. In questa occasione ci occupiamo di una ricorrenza molto interessante: l’ultimo lavoro dei Doors con Jim Morrison ancora in vita. Il 19 aprile del 1971 viene pubblicato L.A.Woman, il disco più blues oriented del gruppo americano. L’album si apre con ‘The Changeling’ che dalle prime note ricorda molto da vicino il funk-blues di James Brown, pur restando fedelmente ancorata nello stile a quanto prodotto dai Doors negli album precedenti; si avvertono infatti alcune aperture in direzione di una ricerca stilistica tendente in qualche modo alla sperimentazione, ma senza troppi azzardi. ‘Love Her Madly’ torna invece indietro, come se volesse ricordare che i Doors sono “questi e nient’altro”. ‘Love Her Madly’ viene pubblicata come primo singolo dell’album e ne diventa, insieme alla Titletrack, un marchio distintivo nel tempo, nonostante una apparente apertura se vogliamo anche melodica rispetto ad alcuni altri brani pubblicati in passato. Ma i tempi cambiano e Morrison & Co non hanno intenzione di arenarsi, almeno musicalmente. ‘Been Down So Long’ torna al funk rude di James Brown soprattutto nel cantato di Morrison mentre la chitarra di Bobby Krieger disegna invidiabili tratti blues. L’organo di Manzarek pare trasmigrato in un altro studio di registrazione tanto è assente nel substrato sonoro di questo brano. Il ritmo marziale rende ‘Been Down So Long’ un brano assolutamente godibile ma al contempo arcigno soprattutto nelle ultime battute in cui Morrison affonda troppo il cantato e sembra stia lottando contro se stesso. La storia ci racconta che evidentemente quella lotta era reale. ‘Cars Hiss By My Window’ è 100% blues, uno slow tempo nel quale Morrison torna ad ammaliarci con la sua voce carica di pathos e con una interpretazione semplicemente magistrale. Un brano trascinante pur nella sua cupa e stratificata lentezza. Morrison gioca con la propria voce come per dare un senso di improvvisazione alla canzone, esattamente come se si trovasse su un palco che di fatto è il luogo più adatto per la musica del gruppo.
‘L.A.Woman’ (la canzone) inizia con un crescendo di batteria, basso e chitarra nel quale gli inserti geniali del piano di Manzarek costruiscono un tappeto sonoro impeccabile, mentre Morrison dà il meglio di sé soprattutto nel refrain del pezzo. Siamo sempre nei territori del blues, ma qui più che in altri brani si ritrovano gli elementi tipici del passato della band e il riferimento più immediato è legato all’omonimo primo album del 1967. ‘L’America’ è un brano ambiguo che ha il sapore di una marcetta psichedelica, con l’organo nervoso di Manzarek a fare da sfondo ad un ritmo in crescendo che si stoppa di colpo lasciandosi alle spalle un senso di “mancanza di fiato”, come se avessimo appena terminato una corsa sfiancante.
Sicuramente si tratta di uno tra i brani più rappresentativi dell’album che viene infatti ricordato tra i meglio riusciti insieme a ‘Love Her Madly’, ‘L.A.Woman’ e come vedremo a ‘Riders On The Storm’.
‘Hyacint House’ cambia in parte le carte in tavola con uno stile più country – se di country in senso stretto si può parlare, qui siamo più vicini a sonorità che richiamano quelle del country, ma pur sempre rivedute e corrette in chiave doorsiana – che sul finale cita la famosa ‘The End’ tratta dal primo album del gruppo (“I need a brand new friend, the end” recita ‘Hyacint House’). Su ‘Crawling King Snake’ torna il cantato “meno cantato” di Morrison, quello improntato alla performance e alla recitazione dei propri testi; curioso accada su un brano che parla di un serpente, proprio come nella già citata ‘The End’ in cui il serpente arrivava a misurare “seven miles”. Sostanzialmente un brano abbastanza riuscito, ma che nulla aggiunge di veramente importante all’economia dell’album. Ora, mi rendo conto che ragionare in questi termini nei confronti di un album dei Doors appare quantomeno blasfemo, ma siamo pur sempre di fronte ad un prodotto che all’epoca della sua uscita segnava un momento cruciale per il gruppo, instabilità interne, incomprensioni, dubbi e a tratti una fase di stanca generalizzata dovuta a problematiche varie, tra le quali la non meno importante dipendenza dalle droghe di tutti i membri della band, in primis di Jim Morrison. ‘The Wasp (Texas Radio And The Big Beat)’ è un brano in cui Morrison per lo più recita mentre la musica risulta essere nel complesso un niente più che sufficiente accompagnamento alla voce, ma sul finale si fa notare ancora una volta l’organo di Manzarek con una intelligente interpretazione del clima generale del brano, in cui il Nostro riesce a trasformare magistralmente quello che fino a poco prima si presentava come un semplice contorno musicale dell’interpretazione vocale di Morrison. Arriviamo alla conclusiva ‘Riders On The Storm’, uno dei grandi classici della band che non necessiterebbe di una mia analisi, ma giunti a questo punto sarebbe persino indelicato e irrispettoso non trattarla. All’interno di ‘Riders On The Storm’ ci sono tutti gli elementi distinguibili dei Doors, dalla ritmica leggera e cadenzata di Densmore con il suo tocco magico e perfettamente riconoscibile sul Ride, al substrato sonoro sempre magistrale dell’organo di Manzarek, la chitarra viscerale di Krieger e il cantato malinconico di Morrison, insieme all’accompagnamento ritmico del basso suonato dal comprimario Jerry Scheff. Un brano ‘Riders On The Storm’ che sembra volerci condurre con dolcezza verso la fine di una breve e intensa storia musicale e culturale, basti pensare al fatto che fu registrato per la colonna sonora di ‘Zabriskie Point’ di Michelangelo Antonioni e poi rifiutato dallo stesso regista. A questo punto un grazie al grande Antonioni lo dobbiamo un po’ tutti.
A pensarci bene ‘L.A. Woman’ mette in pratica un processo di snellimento della forma canzone che vuole mostrare una evidente raggiunta maturità stilistica; lo dimostra la varietà di brani che compone l’album: dal funk-blues dell’opener ‘The Changeling’ passando per la carica della titletrack fino all’oscura malinconia di ‘Riders On The Storm’ questo disco mostra le mille facce di un gruppo coeso e distaccato al contempo che molto più che in passato lavora con maggiore libertà ai brani. Ciò a quanto pare a causa (o per merito) del produttore Bruce Botnik, subentrato durante la registrazione dell’album allo storico produttore Paul Rothchild e capace di riuscire a superare (o convivere, fate voi) con il carattere difficile e controverso del frontman Morrison. A quanto pare lo stesso Morrison non cambiò di una virgola la propria condotta a base di sbronze e abusi vari da sostanze stupefacenti, ma la confidenza e la presunta amicizia nata con Botnick lo portò ad assumere un comportamento collaborativo e adatto a raggiungere i risultati che a posteriori appaiono più che ottenuti.
Al di là della mia analisi più o meno condivisibile riguardo i singoli brani dell’album – non era mia intenzione dare un taglio da recensione in senso stretto quanto piuttosto un riassunto di ciò che fu – ‘L.A. Woman’ rimane un documento importantissimo nella discografia dei Doors non soltanto perché si tratta dell’ultimo album pubblicato con Morrison ancora in vita, ma perché fissa una nitida fotografia di quel momento storico tanto prolifico dal punto di vista musicale quanto devastante per quello umano. Pensiamo alle morti storiche di Jimi Hendrix e Janis Joplin, ad esempio, nei confronti della quale Morrison espresse profondo dolore arrivando profeticamente a dichiararsi la successiva vittima di quella catena di morti celebri.
‘L.A. Woman’ ha la capacità, a distanza di cinquant’anni dalla sua uscita, di mettere d’accordo i palati più differenti nei vari ambiti della musica, da chi predilige il blues a chi il rock, anche a chi, come noi di Metal Hammer, preferisce addentrarsi nei meandri dello stile più metallico per antonomasia. Vero è che tutto nasce anche a quelle latitudini dentro alle quali i Doors “viaggiavano” nel senso letterale del termine e che oggi raccontano di un mondo apparentemente lontano da quello in cui viviamo oggi; nonostante ciò Morrison è diventato un’icona e la musica dei Doors ha superato barriere di genere e stile e continua ad appassionare generazioni di appassionati di musica con la M maiuscola.
Quello che sorprende, al di là di qualunque analisi del caso, è la sorprendente naturalezza con la quale i quattro losangelini hanno saputo confezionare la loro ultima prova in studio. L’approccio prima ancora della tecnica, ed è questo in definitiva il marchio distintivo di questa grande band, nei secoli dei secoli.
Hammer Fact: <</span style=”color: #ff0000;”>
- ‘L.A. Woman’ viene registrato su un vecchio banco mixer ad otto piste utilizzato all’epoca dell’album ‘Strange Days’ che il produttore Bruce Botnick recupera dai Sunset Sound Recordings perché preferisce mantenere un clima meno legato all’innovazione tecnologica – all’epoca i Doors avevano già utilizzato un banco a sedici piste – in favore della collaborazione collettiva da parte di tutti i membri coinvolti nelle fasi di composizione e registrazione delle tracce, così da evitare di produrre quantità enormi di takes di ogni singolo brano.
- La frase ripetuta all’interno di ‘L.A.Woman’, Mr Mojo Risin, è un’espressione slang dei neri d’America che assumeva un significato sessuale che fa diretto riferimento all’organo sessuale maschile. Pare che i musicisti, al contrario di Morrison, non conoscessero il significato di quel termine e Ray Manzarek durante le registrazioni decise di aumentare gradatamente il ritmo del brano creando un crescendo musicale che assunse di fatto le sembianze di un orgasmo. Inoltre, Mr Mojo Risin è il perfetto anagramma del nome e del cognome di Jim Morrison, il che conoscendo il cantante fa pensare non si tratti di un fatto casuale.
Line Up:
Jim Morrison: Voice
Ray Manzarek: Organ
Robby Krieger: Guitar
John Densmore: Drums
Jerry Scheff: Bass
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