5 curiosità che forse non sapete su… Kurt Cobain
Il 05/04/2021, di Francesco Faniello.
In: The Birthday Party.
Kurt Donald Cobain (Aberdeen, 20 febbraio 1967 – Seattle, 5 aprile 1994) è stato un chitarrista/cantante americano, leader dei Nirvana e figura di spicco dell’emergente movimento grunge esploso tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta. Con i Nirvana ha pubblicato tre album in studio e una raccolta di singoli e outtakes (‘Incesticide’, a cui si sono aggiunte numerose pubblicazioni postume) riportando un enorme successo di pubblico e critica che in qualche modo contrastava con un animo introverso e tanto legato all’alternativismo quanto rifuggente le luci della ribalta. Probabilmente fu questa serie di contraddizioni a portarlo al suicidio nella sua casa di Seattle nel 1994; seppur breve, la sua carriera resta tra le più iconiche degli ultimi decenni, avendo ispirato varie generazioni di musicisti contemporanei e successivi, oltre a rappresentare una forte influenza sulle scelte stilistiche dell’epoca, spesso oggetto di revival. Ma forse non tutti sanno che…
Mr. Moustache
A dispetto di quanto i fan delle varie generazioni abbiano potuto pensare, Cobain non dava poi così tanta importanza ai testi. In ciò, si comportava come un perfetto membro dell’avanguardia artistica statunitense, lasciando ai “critici” l’onere di interpretarne gli scritti. Cosa che hanno puntualmente fatto, come tutti sappiamo! Un esempio sono le session di registrazione di ‘Bleach’, intense e frettolose come ogni debut album comanda, con Kurt che scriveva i testi direttamente la notte prima, scagliandosi contro il sessismo, l’omofobia, il machismo e il politically correct in generale. Un classico esempio è ‘Mr. Moustache’, che oltre a descrivere anche ritmicamente il tipico incedere del redneck apre la strada alla tematica vegetariana, che sarà affrontata con il consueto distacco ironico su ‘Something In The Way’: “It’s okay to eat fish, ‘cause they don’t have any feelings”.
Then that Cobain p***y had to come around and ruin it all…
Si è spesso parlato a sproposito di quanto il grunge abbia danneggiato il metal, prendendone il posto nei gusti propri della ribellione giovanile. Si è chiarito altrettante volte come le band scomparse dalle scene avevano in realtà iniziato da tempo la loro inesorabile discesa, perciò il tutto rientra nei normali processi di rinnovamento, proprio quelli di cui sembra essersi persa traccia negli ultimi tempi. Ovvio che Kurt sia stato identificato come simbolo di questo processo, nel bene e nel male: eppure, lui stesso non faceva mistero di apprezzare band di tutto rispetto della galassia HM come i Celtic Frost (un’influenza “morale” sulle atmosfere di ‘Bleach’!), mentre ovviamente gli era inviso il filone hair/glam. Più ‘true’ di così… anche se Mickey Rourke la pensa diversamente!
I don’t know how to play it!
Di certo Cobain non era un campione di tecnica chitarristica, soprattutto nel senso che questa aveva assunto nel decennio precedente. Eppure, il suo stile essenziale ha contribuito ad avvicinare tanti ragazzi delle generazioni successive allo strumento, complice anche lo stile scanzonato delle versioni acustiche presenti su ‘Unplugged in New York’. Era sicuramente un ragazzo irriverente: lo dimostra il fatto che abbia voluto assumere il nominativo di Kurdt Cobain su ‘Bleach’ – un chiaro lazzo diretto a Kurdt Vanderhoof dei concittadini Metal Church, che mal digerì la cosa – ma aveva una grande passione per i modelli anni ’70, come tanti degli appartenenti al movimento grunge. Ne sono testimonianza l’efficacissima versione dei Nirvana di ‘Do You Love Me’ dei Kiss nonché una primordiale cover di ‘Heartbreaker’ dei Led Zeppelin, presente in una delle prime registrazioni live della band, con Cobain che si schermisce dicendo ‘I don’t know how to play it!’ ma si lancia comunque nell’assolo, avendo modo di citare persino ‘Atomic Punk’ degli arcinoti Van Halen!
Vivi in fretta, muori giovane…
… e lascia di te un bel cadavere: la battuta di John Derek nel film ‘I bassifondi di San Francisco’ sembra cucita apposta per quello che diventerà tristemente noto come ‘il club dei 27’: Jimi Hendrix, Janis Joplin, Brian Jones, Jim Morrison, Kurt Cobain e poi anche Amy Winehouse. Proprio come è accaduto per i suoi predecessori, la figura di Kurt è entrata prepotentemente a far parte dell’immaginario collettivo, dando purtroppo luogo anche a vari tentativi di emulazione del triste epilogo della sua vita. Prende spunto da questa vicenda persino l’Almanacco del Giallo 2006 edito da Sergio Bonelli, in occasione di uno dei tanti flashback sul tirocinio universitario della criminologa Julia Kendall che animano la serie: l’episodio si chiama ‘Il caso della polvere di stelle’, è ambientato nel 1994 e tratta proprio di un apparente suicidio per emulazione, anche se Julia nutre subito molti dubbi sul “suicidio” in sé che sembrano proprio strizzare l’occhio alle teorie cospirazioniste sulla morte di Cobain e alla presenza di un possibile mandante – sulle quali ci sentiamo di consigliare il documentario di Nick Broomfield denominato ‘Kurt & Courtney’. A parte ciò, ovvio che nella cosiddetta “cultura popolare” ci siano miriadi di riferimenti alla figura di Cobain come simbolo della ribellione giovanile tipica della Generazione X, più esistenziale che politica: un altro esempio degno di nota è quello di ‘About A Boy’, il romanzo di Nick Hornby, in cui il co-protagonista Marcus sente parlare dalla sua amica di un certo Kirk O’Bane (è questo il modo in cui interpreta il nome del personaggio di cui sente tanto parlare!), leader del gruppo stampato sulla sua felpa. Ovviamente, il titolo del romanzo è ispirato ad ‘About a Girl’!
Supererò questo momento e quando sarà passato non soffrirò mai più la fame
Eh sì, i più attenti ricorderanno la celebre frase di Rossella O’Hara tratta dalla celebre scena del classicone ‘Via col vento’; tra i “più attenti” c’era sicuramente Courtney Love, che decise di chiamare il secondo disco delle sue Hole ‘Live Through This’ proprio ispirata da quella frase. Il disco è uscito poco dopo la morte del marito Kurt e la leggenda vuole che il Nostro sia stato tra i ghostwriter di quello che fu un album di successo, sicuramente un passo avanti dal punto di vista compositivo e di “appeal” rispetto al debut ‘Pretty On The Inside’. La Love ha smentito queste voci ricorrenti, ricordando come alcuni dei brani di punta fossero stati già eseguiti durante il tour precedente (e dunque prima dell’inizio della relazione con Kurt), nonché catturati in una delle Peel Sessions. Certo è che sia Kurt sia il suo ex Billy Corgan abbiano costituito l’ispirazione primaria per l’opener ‘Violet’ (entrambi erano del segno dei Pesci: “and all the stars were just like little fish”), oltre al fatto che il primo abbia registrato i cori di ‘Asking For It’ e ‘Softer, Softest’ e abbia co-firmato assieme alla moglie ‘Old Age’, B-side del singolo di ‘Violet’. Ciò che è certo è che nell’atmosfera dell’album si respira la presenza di questo ‘sad, little, sensitive, unappreciative, Pisces, Jesus man’, con tutto ciò che ne consegue.