ProgSpective (11) – Anno 2020 e lo stato sperimentale del Prog

Il 30/03/2021, di .

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ProgSpective (11) – Anno 2020 e lo stato sperimentale del Prog

Abbiamo già consumato vent’anni del ventunesimo secolo e abbiamo alle spalle una lunga esperienza di ascolti progressive, genere che, ad oggi, ha circa la stessa età del rock duro, anzi, forse qualcosa di più. In ogni caso il prog nacque alla fine degli anni Sessanta e affonda le sue radici in una psichedelìa che iniziò man mano a diventare sempre più spinta. Nell’hard rock si sentono forti echi prog già all’inizio del suo divenire, sia nei Led Zeppelin sia negli Uriah Heep, ma furono tante le espressioni che emersero in questo enorme calderone, così come nel jazz e nella musica elettronica. Il metal succhiò dal seno di queste esperienze e il progressive metal come lo conosciamo oggi offre molta varietà.
Quale potrebbe essere la differenza di oggi con allora?
La più importante potrebbe vertere sulla parola ‘sperimentazione‘: oggi il prog, divenuto un genere strutturalmente riconosciuto, non è più sinonimo di sperimentazione; in effetti si potrebbe trovare sperimentazione anche dove non c’è prog. È interessante notare come in molte interviste i musicisti raccontino di aver voluto sperimentare qualcosa di diverso, ma non lo affermano per dire che la loro musica è sperimentale, solo per sottolineare che hanno provato cose che loro personalmente non avevano mai usato, ma che in realtà altri avevano già messo in campo; ed infatti se si va ad ascoltare il loro nuovo lavoro, di novità non se ne trovano; magari hanno usato per la prima volta un sintetizzatore inserendolo nel proprio sound che non lo aveva avuto mai.

Kansas (‘The Absence Of Presence’); Fates Warning (‘Long Day Good Night’); Pain Of Salvation (‘Panther’); Protest The Hero (‘Palimpsest’); Vanden Plas (‘The Ghost Xperiment-Illumination’); Flower Kings (‘Islands’) sono i gruppi famosi che nell’appena passato 2020 hanno fatto uscire i loro nuovi lavori. Tutti loro sono considerati band progressive, ma nessuno di loro, per quanto ampio o ibridato, quest’anno ha fatto sperimentazione, vera o presunta. Ognuno se ne è stato più o meno nel suo rassicurante ambito sonoro. Producendo qualità, sì; non accontentandosi dell’ovvio,ancheì; però la loro espressività ricalca mondi già esperienziati, da loro stessi o da altri nel mondo musicale. In particolare ‘Long Day Good Night’ degli statunitensi Fates Warning e ‘The Ghost Xperiment-Illumination’ dei Vanden Plas possono essere emblema di ciò che ho appena affermato: dischi bellissimi, davvero di valore, ma in un contesto fortemente tradizionale in cui la sperimentazione è del tutto assente. Gli stessi Pain Of Salvation, per quanto più intensi e molto meno prevedibili, hanno però inserito senso elettronico e inflessioni Nu in modalità non estreme e quindi annacquate rispetto a nomi ben più coraggiosi in tal senso, nomi magari non considerati prog. I Protest The Hero, pur avendo la stessa solita sfacciataggine schizzata, sono ormai intuibili nella loro autoreferenzialità. Ciò non ha evitato che questi nomi realizzassero lavori di spessore, ma non ha generato novità stilistiche o idee fuori dalle righe.

Oggi, quando si parla di sperimentazione si possono citare gruppi prog, ma anche noise, industrial, elettronici, e molto spesso, sempre più spesso, si usa il termine avantgarde, alternative o modern o post-rock/post-metal. Il dire progressive da solo non basta più, gli va accostato un ulteriore termine per fare un cenno al carattere sperimentale. L’aggettivo ‘progressive‘ da solo significa più o meno due cose: o fai un genere alla Yes/Dream Theater il cui virtuosismo tecnico ipertrofico è parte integrante della musica suonata, o un genere alla Queensryche/Symphony X, sempre fornito di abilità tecnica, ma più semplificato senza eccedere in svolazzi. Naturalmente vi sono anche mediazioni tra le due posizioni estreme. Ma sono situazioni musicali già note e sviluppate.
Nell’ambito metal, il progressive in realtà è diventato un termine molto generalista; gli vanno aggiunte altre paroline: Prog-Death metal; Prog-Industrial metal; Prog-Black metal; Prog-Doom metal. E in ogni caso non è detto che la parolina contenga sperimentazione. Molte band oggi tendono a divagare, a diventare ondivaghi afferrando pezzi qua e là, tendendo a mettere insieme tante cose senza una coerenza che permetta di approfondire le varie sfaccettature di una singola sostanza. Ciò avviene di meno con band parzialmente progressive, ma il tasso di ibridazione è oggi fortemente estremizzato in alcune realtà, come a vedere se spezzettando tutto e poi riassemblando differentemente possa uscire qualcosa di nuovo. In molti casi non è così, sono solo pezze di arlecchino, e da due cose non ne nasce sempre una terza. L’ibridazione fortemente estremizzata più che sintesi crea schizofrenìa artistica, la quale non è ogni volta vera novità. Il 2020 ha visto i King Mothership con ‘The Ritual’ cimentarsi in una impresa del genere, mischiando cose ritenute serie con un sound da boy-band, inserendo punk adolescenziale, ampiezze alla Queen, momenti scream, tutto accartocciato insieme senza integrazione, pur riuscendo sorprendentemente a tenere un profilo artistico alto; in effetti non ne è nato qualcosa di nuovo, solo belle canzoni (comunque interessanti). Se un tempo la musica classica, il jazz, la musica etnica, con anche le nuove tecniche strumentali, hanno concretizzato con il rock un nuovo linguaggio oggi la nicchia sperimentale si è ridotta all’osso.

C’è un altro elemento interessante da valutare, la velocità con cui i prodotti artistici vengono assimilati e consumati: il patrimonio espressivo nuovo, in questo contesto, perde in fretta la natura sperimentale, d’altro canto viene approfondita velocemente essendo in tanti gli ascoltatori ad esplorarla. Così alla fine “prog” rimane sempre e soltanto un termine che vuole significare “ampiezza” e non “invenzione“.
Il Prog alla fine è l’idea di una musica che deve essere complessa o di ampio respiro, che si apre , che ingloba, ma che non necessariamente produce cose non esistenti. A volte si usano altri termini per descrivere il progressive che vive in ambiti specifici; diventa Ambient o Funeral Black/Doom nelle vie più oscure; oppure viene chiamato Death Ipertecnico negli ansimi più violenti. Il mondo musicale rock e metal si è così tanto differenziato che sono tantissime le band che non se ne stanno tranquille in una classificazione certa. Ma quello che salta agli occhi, e lo dicono più o meno tutti, è che non può più nascere un genere nuovo, e nemmeno un suono nuovo. Va benissimo però continuare ad usare il termine ‘prog‘, per considerare tutti gli elementi mischiati insieme, e i migliori gruppi saranno quelli che avranno un minimo di personalità.
Nel 2020 abbiamo visto pubblicare parecchi prog-dischi, buoni e cattivi. Tra i migliori (veramente migliori), a parte quelli dei cinque già citati supergruppi, possiamo nominarne altri davvero belli con il loro ipotetico genere di appartenenza. Si tratta di ‘Prehensile Tales’ degli statunitensi Pattern Seeking Animal (Prog-Rock orecchiabile melodico tipo Kansas/Genesis); ‘Epitaph’ dei danesi Pyramaze (Melodic-Prog); ‘Tales Of A Future Past’ dei tedeschi Mekong Delta (Prog-Thrash), ‘Virus’ dei britannici Haken (Modern/Djent); ‘Mestaryn Kinsi’ dei finlandesi Oranssi Pazuzu (Blackned Prog); ‘Omens’ dei bostoniani Elder (HeavyStonerPsych-Prog); ‘Transitus’ degli olandesi Ayreon (SpaceRock; Folk; Musical); ‘The God-Shaped Voice’ dei californiani Psychotic Waltz e ‘Foudation’ dei canadesi Osyron (entrambi di Prog-Metal tradizionale). In Italia ‘Tragic Separation’ dei DGM (Modern-Prog) e ‘La Stanza Delle Maschere’ della band omonima (HardDarkDoom-Prog).

Al di là del fatto che alcune di queste classificazioni possono stare strette o larghe, la diversità tra alcuni di loro è enorme eppure ognuno di essi non può stare fuori dal termine prog, che dà l’idea, del tutto o in parte, della loro anima. L’elevatezza della loro bontà ha generato sperimentazione? In linea di massima si può protendere verso il no. Ma comunque non è che il concetto di sperimentazione significhi necessariamente creare qualità. Il 2020 ha visto uscire anche dischi progressive che non meritano voti alti. In questo momento storico il metallo più estremo sembra il terreno più fertile per sperimentare, ma non è detto che la musica che ne nasca sia progressive in senso stretto.
L’anno appena passato è appunto inserito in questa concezione di progressive multi-aggregato, multi-sfaccettato e multi-multi-miscelato, tipica conformazione degli anni duemila. La miscela che i gruppi utilizzano per ottenere qualcosa di originale è sempre stato l’unico modo per riuscirci. La cosa funziona come una sorpresa estrema quando inaspettatamente la somma delle parti crea una dimensione nuova, cioè non si ferma al vestito di arlecchino in cui i colori sono riconoscibili, ma riesce a scatenare una reazione chimica che la trasforma in un’unica nuova sostanza. Non è questione di sola creatività, ma anche di ispirazione automatica che non ha ricette a priori. Le più argute band progressive del momento hanno grandissima creatività e una ispirazione di buona entità, ma se l’idea geniale attraversava un numero ampio di gruppi negli anni passati, oggi è difficile. Battute tutte le strade o non troviamo il passaggio segreto ancora disponibile? In ogni caso il Progressive è un genere, non più una macchina da innovazione; in sé ha il germe che può trovare qualcosa nel terreno che ara, ma per ora ce lo godiamo così come esce; e siccome esce bene e in tante sfumature diverse non possiamo lamentarci. Ma in fondo quanti metallari vogliono sempre e solo trovare vere e proprie trasformazioni? In realtà il metal ha ancora una volta dimostrato quest’anno di saper leggere e scrivere, in modo alquanto pregnante, le possibilità di costruire spaziando, avendo una visuale pluralista e per niente chiusa in se stessa. Ed infatti tutte le opere che ho sopra menzionato meritano di essere ascoltate e godute perché contengono forti contenuti espressivi; non sempre la creatività deve tracciare nuovi percorsi, spesso si trovano nuove bellezze approfondendo la strada già nata, ampliando i sentieri già battuti, ma magari non interamente esplorati. Ed è quello che riescono a fare i più ispirati dei giorni nostri, regalandoci ancora emozioni, tanto fuori dal mondo metallico (Jazz e Rock), quanto in quello duro.
La capacità di reinventarsi non vale solo per il prog, vale per quell’artista che diventa il nostro menestrello, qualsiasi genere suoni.