5 curiosità che forse non sapete su… Clive Burr
Il 12/03/2021, di Francesco Faniello.
In: The Birthday Party.
Clive Burr (East Ham, 8 marzo 1957 – Londra, 12 marzo 2013) è stato un batterista inglese, noto per aver suonato sui primi tre album degli Iron Maiden. Estromesso dalla band nel 1982, ha poi militato in vari gruppi hard’n’heavy come i Trust, i Gogmagog, gli Stratos e i Praying Mantis. Nel 1994 gli fu diagnosticata la sclerosi multipla che lo portò alla morte a soli 56 anni. Per sostenerlo nelle dispendiose cure mediche di cui necessitava, gli stessi Iron Maiden avevano creato il “Clive Burr MS Trust Fund”, oltre a organizzare una serie di concerti di beneficenza in suo onore. Ma forse non tutti sanno che…
Al posto giusto nel momento giusto
Dietro suggerimento dell’allora nuovo arivato Dennis Stratton, Clive Burr entrò negli Iron Maiden nel 1979 sostituendo Doug Sampson, in tempo per far parte della prima formazione “ufficiale” della Vergine di Ferro. I die-hard fan della band sulle prime restarono spiazzati, in quanto Sampson aveva suonato con Steve Harris sin dai tempi degli Smiler, per poi entrare nella sua nuova band in coincidenza con l’emergere della stessa al ruolo (ancora underground) di leader della NWOBHM, partecipando allo storico “The Soundhouse Tapes” e alle session di registrazione che finirono su Metal for Muthas nonché sul primo singolo apripista dell’omonimo album. Eppure, per quanto solido fosse il rapporto tra Sampson e Harris, quest’ultimo era molto preoccupato dei problemi di salute del vecchio compagno d’armi, che avrebbero potuto minarne la resistenza in vista del primo vero tour britannico. Tour che vedrà appunto dietro le pelli il nuovo arrivato Clive Burr, immediatamente prima di registrare il full length di debutto!
Changing places, revolving doors
Capita in tutte le “scene” che ci sia un passaggio fluido di musicisti da una band all’altra, al di là di possibili e inevitabili rivalità. Così, laddove Burr era stato il batterista dei Samson prima dell’arrivo di Barry “Thunderstick” Purkis (che proveniva proprio dagli Iron Maiden), sarebbe a sua volta entrato nei ranghi della Vergine di Ferro nel ruolo che era stato del “mascherato” Barry Purkis. Nel 1982 sarebbe poi passato dietro le pelli dei francesi Trust proprio in sostituzione dell’amico e defezionario Nicko McBrain, che come tutti sanno avrebbe occupato la postazione dietro il drumkit degli Iron Maiden da quell’anno fino ai giorni nostri. In ogni caso, il 45 giri di ‘Telephone’ dei Samson su cui suona Clive Burr è in assoluto la prima incisione su vinile del nascente movimento NWOBHM!
The air tasted good and the world was your friend
La militanza di Clive Burr nei Maiden è durata circa tre anni, eppure è un periodo consegnato alla Storia e al Mito, il che lo rende il batterista di tutte le release ufficiali con Paul Di’Anno alla voce nonché del primo, indimenticabile disco con Bruce Dickinson dietro al microfono. ‘Iron Maiden’, ‘Killers’ e ‘The Number Of The Beast’: serve altro per consegnarsi all’eternità? In tutto ciò, il Nostro ebbe anche modo di apporre la propria firma su due composizioni, ‘Gangland’, scritta assieme ad Adrian Smith e presente sul già citato ‘The Number Of The Beast’, nonché ‘Total Eclipse’, B-side di lusso del singolo ‘Run To The Hills’, composta a sei mani assieme a Steve Harris e Dave Murray. La migliore eredità di quel periodo risiede comunque nel suo drumming preciso e fantasioso, il perfetto accompagnamento per un genere che si professava radicato nella tradizione ma che procedeva a passo spedito prendendo a piene mani dall’energia del punk. Non è un caso che in quel periodo la rivista ‘Sounds’ lo abbia visto raggiungere la terza posizione in una classifica mondiale dei migliori batteristi; la scaletta dal vivo lo vedeva persino protagonista di un assolo di batteria sul break di ‘Another Life’, perfetto retaggio dei suoi miti degli anni ’70, Ian Paice su tutti.
Then came the day when the hard times began
In pochi lo ricordano, ma Clive Burr fu reclutato da Graham Bonnet in persona come batterista dei suoi nascenti Alcatrazz, che ovviamente vedevano nei propri ranghi un giovanissimo Yngwie Malmsteen: il Nostro durò in formazione non più di una settimana, dopo aver scoperto che Bonnet intendeva stabilirsi in America anziché nella natia Inghilterra – e ne aveva ben donde, dato il genere proposto dal quintetto e il successo poi ottenuto Oltreoceano. Probabilmente, il demerito maggiore (se così si può dire) del talentuoso batterista britannico è stato quello di non aver trovato un gruppo che gli permettesse di ricreare quella formula magica dispiegata nei dischi storici in cui aveva suonato con gli Iron Maiden; dato che Tino e Chris Troy avevano già suonato con Clive negli Stratus, ci piace pensare che il progetto decisivo per il suo rilancio avrebbero potuto essere proprio i Praying Mantis, in cui Di’Anno, Burr e Stratton avrebbero alternativamente militato, seppur in fasi diverse e mai tutti e tre contemporaneamente. Chissà cosa avrebbero potuto tirar fuori tutti e tre, chiusi in studio con i fratelli Troy…
Tutti insieme appassionatamente
Clive Burr è nato artisticamente negli anni ’70 ma è salito agli onori della cronaca agli albori degli ’80 tanto da rappresentare uno dei simboli di quel decennio in ambito HM; tuttavia, questo non gli ha impedito di entrare a far parte di un vero e proprio supergruppo, un concetto ben radicato nella simbologia del decennio precedente. Si tratta dei Gogmagog, “assemblati” dal dj Jonathan King nel 1985 con l’idea di registrare un EP per eseguire due pezzi scritti da lui (‘Living in a Fucking Time Warp’ e ‘It’s Illegal, It’s Immoral…’) assieme a quella che sarebbe divenuta la title track, ‘I Will Be There’, che vede come autore il “prezzemolino” Russ Ballard. Un progetto di brevissima durata e di successo ancora minore, ma la cui formazione sembra ancora una volta la metafora della vita artistica di Burr: dentro e fuori, ascesa e caduta, occasioni mancate e chi più ne ha più ne metta. Alla voce troviamo Paul Di’Anno, che non ha bisogno di presentazioni né di ulteriori fiumi di inchiostro (almeno in questa sede), mentre al basso compare Neil Murray, cuore pulsante del periodo hard/blues dei Whitesnake ma anche protagonista dell’omonimo bestseller della band del 1987 (oltre ai suoi trascorsi con Gary Moore e con i Black Sabbath). E alle chitarre? Da un lato Pete Willis, fuori dai Def Leppard nel bel mezzo delle session di ‘Pyromania’, ossia poco prima che arrivassero i soldi veri; dall’altro Janick Gers, colto nel mezzo tra la fine della sua band NWOBHM (i White Spirits) e della sua collaborazione con Ian Gillan, e una manciata di anni prima di venire reclutato prima per ‘Tattoed Millionaire’ e poi per ‘No Prayer For The Dying’. Lo dicevano che la vita era fatta a scale…