5 curiosità che forse non sapete su… Adrian Smith
Il 27/02/2021, di Francesco Faniello.
In: The Birthday Party.
Adrian Frederick Smith è nato a Hackney (UK). È entrato a far parte degli Iron Maiden nel 1980, costituendo assieme a Dave Murray una coppia di asce distintiva che tanto ha influenzato le generazioni di chitarristi a venire. Dopo uno iato durato un decennio, è tornato nella band nel 1999, costituendo una formazione a tre chitarre da allora immutata. Chitarrista dallo stile unico e dagli assoli “sospesi sull’orlo di un precipizio, [con l’ascoltatore che si ritrovava] a pendere da ogni nota”, come dirà di lui Bruce Dickinson, ha inoltre contribuito a fondare gli Urchin (ex Evil Ways), gli ASAP e gli Psycho Motel, collaborando poi con Michael Kiske, con Rithie Kotzen, con il progetto Hear N’ Aid e con il Dickinson solista di ‘Accident Of Birth’ e ‘The Chemical Wedding’; è inoltre autore dell’autobiografia ‘Monsters of River and Rock: My Life as Iron Maiden’s Compulsive Angler’. Ma forse non tutti sanno che…
Black Leather Fantasy
Devono avere una passione comune per il Middle English, Dave Murray e Adrian Smith: il primo, per via del nome dell’unico pezzo a lui accreditato sull’omonimo degli Iron Maiden, quella ‘Charlotte The Harlot’ che darà il via a una saga in due (o quattro?) capitoli; il secondo, per via del nome scelto per la sua prima band, gli Urchin, che nell’idioma di Geoffrey Chaucer significa “riccio”, poi sostituito in inglese moderno dal lemma “hedgehog”. Oltre ad aver fondato insieme il nucleo di quelli che diventeranno gli Urchin, Murray e Smith suoneranno insieme sul loro singolo più conosciuto, ‘She’s a Roller / Long Time No Woman’, durante il breve periodo in cui Dave Murray era uscito dai Maiden per un litigio (con relativa scazzottata) con l’allora cantante Dennis Wilcock. Una delle tante meteore della galassia NWOBHM, gli Urchin lasceranno ai posteri non più di due singoli (il già citato ‘She’s a Roller’ e il debut ‘Black Leather Fantasy’), restando tuttavia un punto di riferimento duraturo per Adrian Smith, che vorrà i suoi ex compagni al suo fianco anche durante gli anni dei Maiden (col progetto The Entire Population of Hackney) o come nucleo costitutivo dei suoi ASAP e poi degli Psycho Motel.
I’m Not A Number, I’m A Free Man!
Corteggiato dai Maiden sin da prima del debutto sulla lunga distanza, il momento giusto per l’ingresso di Adrian in quella che diverrà a tutti gli effetti la sua band “madre” avverrà a fine 1980, in sostituzione del defezionario Dennis Stratton. Sarà qui che il chitarrista originario del quartiere londinese di Hackney dispiegherà il suo stile unico, una miscela di string skipping e note in sospensione che completerà al meglio quello fluido e torrenziale del fido Murray, portando a un livello superiore la lezione di Wishbone Ash, Thin Lizzy e Judas Priest. Autore prolifico, rappresenterà un vero e proprio contraltare al lider maximo Steve Harris, sia in coppia con Dickinson (‘Moonchild’, ‘2 Minutes To Midnight’, ‘Back In The Village’ e ‘Flight Of Icarus’, che vide la luce “in un bagno”, come ricorda Dickinson, poiché “ad Adrian piaceva il riverbero delle piastrelle”) che da solo, per una parte considerevole della tracklist di ‘Somewhere In Time’, disco amatissimo anche per via del suo inconfondibile apporto. I suoi primi contributi alla Vergine di Ferro? ‘The Prisoner’ e ‘Gangland’ (in un’inedita coppia compositiva con Clive Burr) e soprattutto ’22 Acacia Avenue’ (The Continuing Saga of Charlotte the Harlot), con un riff portante che Harris ricordava sorprendentemente bene dai tempi degli Urchin e che impose a Smith di riprendere, in vista del completamento della tracklist di ‘The Number Of The Beast’. È nota a tutti la sua uscita dai Maiden a fine anni Ottanta per via di divergenze artistiche con Steve Harris, e curiosamente l’abbandono fu preceduto da un ultimo contributo compositivo assieme a Bruce Dickinson, quella ‘Hooks in You’ che finirà su ‘No Prayer For The Dying’ e che per qualcuno costituisce il terzo capitolo della saga di Charlotte.
It’s over your head, and you don’t seem to understand
Il già citato progetto ‘The Entire Population Of Hackney’ si concretizzò al Marquee di Londra il 19 dicembre del 1985, alla fine del mastodontico World Slavery Tour: quasi due anni in giro per il mondo che da un lato avevano segnato profondamente Dickinson, dall’altro avevano lasciato a Smith e McBrain un’implacabile voglia di suonare. Così, messa su una band con i già citati membri di Urchin e degli FM, i due Maiden misero su un concerto “segreto” con una scaletta che prendeva a piene mani dalle composizioni dei musicisti coinvolti, oltre a vedere la partecipazione della band madre al completo per l’esecuzione di brani come ‘Losfer Words (Big ‘Orra)’ e Two Minutes To Midnight’. Da parte di quella scaletta live verrà poi l’idea delle B-side registrate per i singoli di ‘Somewhere In Time’: ‘Juanita’ dei Marshall Fury, ‘That Girl’ degli FM e soprattutto Reach Out, che vedrà alla voce solista proprio Adrian Smith.
Un Girardengo appena appena più basso e rock
Erano gli anni Novanta, Jack/John Frusciante usciva dal gruppo per poi tornarci, ma anche chi si affacciava al mondo dell’HM subito dopo il fatidico decennio ottantiano nasceva già con un senso di perdita e malinconia difficilmente definibile: Adrian Smith fuori dagli Iron Maiden, il vinile rosso di ‘No Prayer For The Dying’ con “quella” menzione nei credits, la band sul palco del Primo Maggio con il classico assolo di ‘The Trooper’ rivisitato a suo modo dal guitto Gers, e la frittata era fatta: non avremmo mai vissuto i fasti degli anni da poco conclusi, per via di uno scarto generazionale impercettibile eppure essenziale. E Adrian, in tutto ciò? Dopo la pubblicazione di ‘Silver And Gold’ dei suoi ASAP – che lo vedeva anche impegnato alla voce in una sorta di “working class hard rock” – il successivo progetto The Untouchables sfociò in quelli che sarebbero diventati gli Psycho Motel, una band con influenze più moderne in cui di sicuro il Nostro era in grado di esprimersi liberamente, fuori dalle strette maglie imposte del trademark maideniano (e tuttavia in supporto a Harris e soci per parte dell’X Factour). ‘State Of Mind’ e ‘Welcome To The World’ sono comunque due dischi piuttosto diversi tra loro, anche per via dell’avvicendamento dietro al microfono, con il singer Andy Makin che apporterà nel secondo disco un’inevitabile richiamo all’alienazione di matrice Alice In Chains per via della sua timbrica oscura. Per dire, Frusciante tornò nei RHCP nel 2008, mentre la “traversata nel deserto” dell’eclettico chitarrista britannico ci avrebbe riservato ancora altre sorprese…
Welcome home, it’s been too long, we’ve missed you
Sempre gli anni Novanta, a metà dei quali Kurt non c’era più e anche gli altri eroi di quel frammento generazionale stavano gradualmente uscendo di scena o svoltando verso nuovi lidi: Max fuori dai Sepultura, i Pantera avanti ancora per qualche anni, gli Alice In Chains e i Soundgarden al capolinea, con il destino che chiede il conto in momenti differenti, alla fine della corsa. Impossibile dunque descrivere il tremare dei polsi alla notizia che ‘Skunkworks’ di Bruce Dickinson avrebbe avuto un seguito dal titolo ‘Accident Of Birth’, con quel riff roccioso e con Adrian Smith ad affiancare il redivivo Roy Z alle chitarre. Al quartier generale del metallo britannico si respirava aria di rivalsa, che avrebbe visto il suo culmine col capolavoro ‘The Chemical Wedding’ e soprattutto con la notizia che Dickinson e Smith tornavano a casa, accolti con tutti gli onori da un neanche troppo rassegnato Steve Harris. Il resto, come si suol dire, è storia recente se non cronaca: lo stile di Adrian che è frutto di un’evoluzione continua e che lo ha portato dalle distintive twin guitars di Hear N’ Aid e dall’assolo futuristico di ‘Walking On Glass’ alla partecipazione a ‘Instant Clarity’ di Michael Kiske, fino al decisivo contributo su ‘The Wicker Man’ e alla recentissima collaborazione con Ritchie Kotzen, passando per ‘Monsters of River and Rock’, l’autobiografia che mette insieme le sue due grandi passioni: la sei corde e la canna da pesca. I più attenti avevano comunque già avuto modo di scrutare l’happy ending nella partecipazione del 1992 all’encore di ‘Running Free’ a Donington, in cui nel pieno degli anni ’90 si era potuta osservare la primissima versione di quel sestetto che abita la Vergine di Ferro da più di vent’anni a questa parte.