Compie quarant’anni ‘Fire Down Under’, il capolavoro dei Riot

Il 09/02/2021, di .

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Compie quarant’anni ‘Fire Down Under’, il capolavoro dei Riot

Mark Reale, Peter Bitelli, Guy Speranza, Steve Costello, Jimmy Iommi, Rick Ventura… chiarissimo, no? Per una parte degli aficionados nostrani, i Riot sono un po’ la band degli espatriati, quella fondata e portata avanti nei primi anni dai “broccolini” di ascendenza inequivocabilmente italiana. Certo, nulla a che vedere con l’avventura oltreoceano di gente come Astaroth o Raw Power, ma si sa… il sangue è sangue. E di veracità nella formula dei Riot ce n’è molta, anche al netto di uno stile variopinto e in continua evoluzione, che affonda le sue radici negli anni Settanta per poi proiettarsi nei due decenni successivi e oltre. Storia della band a parte, la discografia di Reale e soci conferma appieno il vecchio adagio per cui il terzo album è il migliore, il più completo, il più amato, il giusto mix tra maturità ed entusiasmo degli esordi.
Nonostante sia indiscutibilmente legato al classico sound hard’n’heavy di fine Settanta / inizio Ottanta, ‘Fire Down Under’ è uno degli atti di nascita di quello che chiamiamo correntemente US Metal, aggiungendo il tipico approccio stradaiolo e metropolitano ai modelli della NWOBHM che portavano con sé l’affascinante grigiore delle periferie britanniche, siano esse londinesi o appartenenti alle Midlands. Un po’ come la differenza tra i personaggi di Philip Swallow e Morris Zapp nei romanzi di David Lodge, o tra le suggestioni hard/prog che tentavano persino i giganti dell’hard rock britannico e le scanzonate elegie da highway nel deserto delle loro controparti a stelle e strisce, ancora intrise dello spirito della Summer of Love. Ecco, l’heavy dei Riot suona proprio come una versione indurita di quello già sistematizzato dai Grand Funk Railroad, come è evidente nella title track di questo fantastico disco, nella roboante ‘Outlaw’ o nella fulminea ‘Run For Your Life’.
Per non parlare della miscela tra drumming articolato, arpeggi intricati e riff taglienti dispiegata su due pezzi da novanta come ‘Feel The Same’ e ‘Altar Of The King’: una formula che avrebbe anticipato di poco una scuola che annovera al suo interno Vicious Rumors, Armored Saint, Warlord, Metal Church e persino i Savatage di ‘Sirens’ e i Queensrÿche dell’EP di debutto, solo per citarne alcuni. Chiamatelo power americano o US Metal, la sostanza non cambia.
Se non basta, occorre ricordare che il mitico riff iniziale dell’opener ‘Swords And Tequila’ anticipa di alcuni anni un canovaccio che sarà ripreso dagli Accept di ‘Flash Rockin’ Man’, dai Savage di ‘Let It Loose’, dai Mercyful Fate di ‘Curse of The Pharaohs’, dagli Iron Maiden di ‘Two Minutes To Midnight’ e di un’infinità di altri alfieri dell’heavy metal classico; sì, stiamo parlando proprio di “quel riff” (qualcuno gli avrà dato un nome?).
Incredibilmente, ‘Fire Down Under’ sarà l’ultimo disco con Speranza alla voce, che lascerà la band per motivi personali di lì a poco. Verrà sostituito da Rhett Forrester, la cui timbrica imprimerà un taglio ancor più “americano” al sound, prima del power stellare dell’epoca di Tony Moore e di ‘Thundersteel’. A noi resta una tracklist incredibilmente ricca, dieci pezzi che compongono uno degli album più amati dei Riot, un disco dall’importanza indiscussa per l’intera scena HM americana, un vivaio da sempre a braccetto con il nascente movimento thrash e con tutte le altre innovazioni stilistiche nate e fiorite nel Nuovo Mondo.

Hammer Fact:

– La Capitol Records aveva scommesso sui Riot sin dal precedente ‘Narita’, in vista di un tour della band di supporto a Sammy Hagar, uno degli artisti più in vista del suo roster. Dopo varie peripezie, la label scaricò la band usando come pomo della discordia proprio ‘Fire Down Under’, considerato troppo heavy e con scarso appeal commerciale. Fortunatamente, l’etichetta non avrebbe addotto motivazioni simili rilevando qualche anno dopo dalla Combat uno dei gruppi più promettenti della scena thrash metal, i Megadeth!

– Il pezzo conclusivo ‘Flashbacks’ è dedicato a Neal Kay, il mitico DJ britannico fautore della NWOBHM negli anni dell’esplosione del genere. Chissà se il buon Neal avrà fatto caso alla fortuita convergenza tra l’Eddie dei connazionali Maiden e la foca simbolo dei Riot, con intenti simili ma risultati decisamente opposti se si parla di gusto nell’artwork…

Line-Up:
Guy Speranza: vocals
Mark Reale: guitar
Rick Ventura: guitar
Kip Leming: bass
Sandy Slavin: drums

Tracklist:
01. Swords and Tequila
02. Fire Down Under
03. Feel the Same
04. Outlaw
05. Don’t Bring Me Down
06. Don’t Hold Back
07. Altar of the King
08. No Lies
09. Run for Your Life
10. Flashbacks

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