Unwise – Report dallo studio del disco ‘HumaNation’

Il 14/01/2021, di .

In: .

Unwise – Report dallo studio del disco ‘HumaNation’

Gli Unwise sono una band milanese, con base ai Moonhouse Studios, dediti a una progressive metal sulla linea di Fates Warning, o Dream Theater. ‘HumaNation’ rappresenta il secondo passo discografico della band, dopo ‘One’, album che nel 2013 colpì molto la fantasia di chi scrive. Grazie all’invito da parte della band ad ascoltare, a giugno, l’album nella versione ancora non mixata abbiamo cominciato a lavorare a questo studio report, che vi presentiamo adesso prima della pubblicazione dell’album stesso, prevista per il 15 gennaio.

Cupo concept sulla decadenza della società attuale, il disco ci guida attraverso vari aspetti del mondo moderno, descrivendoli grazie alla voce del bravo singer Zontini. Sotto ogni brano trovate invece una frase fornita dal compositore principale Codazzi che introduce il brano. Vi auguriamo buona lettura… 

Mindwalk [2:18]
“Due passi all’aperto per schiarirsi le idee e riordinare i pensieri…”
L’album si apre con i suoni del mondo moderno: macchine, voci, uno squarcio di vita ordinaria. Un languido arpeggio di Codazzi fa il suo ingresso lentamente, supportato appena da tastiere altrettanto minimaliste, essenziali. La delicata intro, che sembra quasi cullarci, si protrae per due minuti, sfociando infine nel muscoloso incipit del brano successivo.

Unexpected [4:42]
“L’inizio della corsa, della vita, la corsa degli spermatozoi per determinare quale e chi sarai”
Si mostrano subito i muscoli, mettendo in campo circa trenta secondi di riffing massiccio, ben supportato da Pintus alla batteria. Subito dopo però abbiamo la prima, consistente, iniezione di nero nella musica del gruppo: un altro arpeggio – più inquieto – si inserisce nella scena, con l’atmosfera a farsi cupa, toccando corde che ricordano ‘Promised Land’ dei Queenryche. Non c’è uno schema preciso, è tutto molto vario: i chitarroni dell’introduzione tornano nel ritornello, un assolo melodico e riflessivo ha il controllo della parte centrale, chiudendo nuovamente sulle atmosfere riflessive. Su tutto si amalgama alla perfezione la voce di Zontini, abile nel cambiare registro per adattarsi ai diversi umori di brano di sicuro non lineare.

Rave Nu World [2:55]
“L’avventura sulla giostra della società che incomincia…”
Sebbene si tratti ancora di uno dei passaggi “heavy” dell’album, l’approccio qui cambia. Dopo una voce che ci sibila in modo minaccioso: “Hey, hey you? Welcome!”, irrompe un riff introduttivo che poco ha a che spartire con quello precedente: dove il primo chiamava in causa il prog, i Theater e le ritmiche del Petrucci recente (pensate all’attacco di ‘The Enemy Inside’), lo stacco qui presente è quasi hard rock, con una distorsione più definita, meno massiccio e potente ma più dinamico. Sul frizzante risultato si ritaglia il proprio spazio Zontini, con un cantato ritmico e interpretativo che lo conferma ottimo interprete in situazioni diverse. Anche questo brano varia molto nel corso della sua corta durata, e anche qui passaggi liquidi si alternano a un’anima elettrica che si mantiene viva lungo tutto il brano.

Behind Closed Door [4:30]
“Sulle famiglie attuali, su bambini senza le attenzioni necessarie , sul troppo poco tempo da condividere e su nessun valore da trasmettere…”
Il clima crepuscolare e pensoso di cui sentivamo sprazzi nei brani precedenti prende ora il sopravvento. L’abbandono, i bambini ignorati, la grettezza genitoriale di molte famiglie dei tempi moderni vengono raccontate dagli Unwise con un brano dalle tinte liquide e amare, infuso di una malinconia tangibile. Tiene bando l’interpretazione vocale, emozionale e sentita, ma anche – a sopresa – anche quella di Pintus, che dipinge con i tamburi una base fantasiosa e interessante. Un brano che sembrerebbe di passaggio, ma che funge da introduzione per le atmosfere che troveremo nei prossimi brani.

The Dirtier Job [6:32]
“Personaggi senza nome e notorietà, che lavorano nell’ombra per mantenere l’ordine costituito, nell’inconsapevolezza generale della gente.”
Dopo un discorso registrato di J.F.K. sull’importanza di nuovi e più evasivi comportamenti nella politica interna ed estera, questa canzone mantiene inizialmente il mood drammatico e umorale fin qui acquisito. Il brano sfrutta – come prevedibile – il più elevato minutaggio per evolversi liberamente, e così dopo una prima parte affidata alle soluzione liquide della chitarra di Codazzi e all’interpretazione di Zontini, si passa a ritmi più veloci e pesanti. Rimaniamo nei limiti del prog metal, nessuno sconfinamento nel power, sia chiaro, ma il suono è spesso e la produzione importante, fino a raggiungere una complessa conclusione, affidata di nuovo a un massiccio riffing ritmico.

iGod [2:59]
“In piena era tecnologica, la società senza equilibrio non coglie gli aspetti positivi, ne esalta invece la parte negativa, tramite eccesso e abuso.”
Le contraddizioni abbondano su ‘Humanation’, e con ‘iGod’ ci troviamo di fronte al brano più strano del lotto, ma al contempo quello più uniforme. L’apparenza è – appunto – “strana”… un intro elettronica ci coglie di sorpresa, il riffing ripetitivo e il tappeto sonoro dei synth sottostanti sono unici nell’album, ma il chorus risulta invece melodico e memorizzabile. I continui cambi di umore e di sonorità che trovavamo negli altri brani qui non ci sono: la struttura è tutto sommato lineare e il mood è sempre lo stesso, aggressivo e drammatico, segno di una grande coesione di squadra che applaudiamo.

Twilight Of Morning (The Sun Also Rises Pt.1) [2:03]
“Uscire la mattina dal portone, in una giornata piovosa e grigia, con le persone che si muovono freneticamente mentre tu lentamente le osservi…”
Dopo la corsa di ‘iGod’ ci aspettavamo un passaggio più tranquillo e siamo accontentati, sebbene con un brano dalle tinte autunnali e malinconiche. Una sorta di ballad, volendo generalizzare al massimo, ma in cui si percepisce il senso di sfiduciata osservazione del mondo intorno. Un passaggio insomma tranquillo, ma carico comunque di una tensione emotiva non da poco. Zontini fa sempre un egregio lavoro nel vestire con l’interpretazione adatta il mood malinconico dell’album, confermandosi centrale nell’economia dell’album.

The Mirror (The Sun Also Rises Pt.2) [2:48]
“… ma comunque sia il sole continuerà a splendere…”
La seconda parte di questa canzone ricorda i Dream Theater, e non solo per i titolo. Il brano rialza la testa rispetto i ritmi lenti della prima parte, e ci regala momenti ancora eterei alternati però a improvvise incursioni elettriche e ad un paio di strofe sottolineate da una chitarra quasi jazzy. A piacerci è di sicuro il chorus, che porta con se sprazzi di serenità e sollievo, che finora erano rimasti un po’ nascosti nel pessimismo generale.

Hidden [5:16]
“Un articolo di giornale racconta di quante persone in Cina muoiono a causa della fatica da lavoro, in molti casi la situazione viene però gestita con disciplina e rigore militare, in alcune aziende i dipendenti hanno la possibilità di indossare una volta al mese una maschera sotto la quale possono “liberamente” esprimere il proprio dissenso…nascosto e in modo remissivo”.
Il sollievo dura poco. ‘Hidden’ entra di soppiatto sulla scena con un nero carico di sentimenti contrastanti. La partenza è affidata alla rodata coppia Codazzi/Zontini, ma dopo un paio di minuti di atmosfera eterea, il clima generale cambia e lascia entrare, in unisono con la marcia di piedi di soldati, un secco riff in palm-muting. Il cantato si trasforma seguendo gli umori via via più arrabbiati della chitarra sottostante, e la sezione ritmica fa un ottimo lavoro nell’accompagnare entrambi. Il crescendo del brano è ben costruito e mantiene salda l’attenzione, di nuovo affidata a soluzioni liquide prima di un’improvvisa impennata finale.

Nothing Important Happened Today [3:28]
“Vite che si incrociano nei rispettivi destini, una giornata per alcuni insignificante per altri è il colpo fortunato o addirittura un giorno da dimenticare…”
Le soluzioni un po’ particolari, fuori dal metal, già sperimentate sulle strofe di ‘The Mirror’ le ritroviamo presenti anche su questo brano. E’ uno di quelli che ci ha colpito di più, proprio per l’originalità della soluzione ritmica che sorregge le strofe e per la drammaticità con cui si apre la canzone stessa, nei pressi di un bel ritornello. Un altro bel passaggio insomma, che ci condice alla fine del disco senza svelarcela del tutto.

 After The Fire [2:53]
“Una notte piena di stelle in mezzo ad un bosco e rendersi conto della bellezza che ti circonda, nonostante tutto vale sempre la pena.”
Più che una canzone, potremmo parlare di un soffuso passaggio unplugged… suoni naturali e una chitarra acustica creano la base perfetta per Zontini che – da solo – sembra in effetti cantare davanti a un fuoco. Una bella immagine questa, che ci accompagna senza scosse al brano successivo.

Escape [3:36]
“Spesse sono le sbarre invisibili della prigione, ma una mente consapevole sa che è in grado di scegliere e trovare una via di fuga dalle finte verità
Un gemito di esclamazione ci risveglia dal placido torpore dal brano precedente, scagliandoci all’interno di un brano variegato e cangiante, dove nervose strofe si alternano a un chorus sospeso, alternato a brevi passaggi strumentali dal sapore progressive. Oramai questo tipo di soluzioni abbiamo imparato a riconoscerle, e la varietà di ogni brano sembra fare un po’ parte del filamento principale di DNA della band. Un assolo finale di marca Rothery ci fa uscire con classe da questi circa tre minuti e mezzo, diretti alle atmosfere soffuse del brano successivo.

Silent Hands [3:43]
“Molte ombre regnano nei nostri cuori ma anche tanta luce…e tanta ne risplende in tutte quelle persone che mettono a disposizione la propria vita per salvare gli altri.”
Arpeggi e una prestazione sentita di Zontini contrassegnano il terzultimo battito di ‘Humanation’. Qui vengono finalmente abbandonate le atmosfere cupe e negative della prima parte dell’album, concentrandosi su lidi più introspettivi ma a conti fatti più luminosi e meno claustrofobici. Anche se il brano in sé non sembra portare alla conclusione dell’album ci fa intuire però che la fine è vicina…

Never Again [1:58]
“Una sera in TV uno speciale sulla guerra in Siria… la solita storia che si ripete all’infinito, il desiderio che non possa diventare normalità sapere del dramma di tanti innocenti così lontani dalla nostra realtà da sembrare un film…”
Un altro brano di passaggio, un passaggio in cui la musica è poca, ridotta a un comunque bello arpeggio di sottofondo che sorregge un collage di voci che descrivono sentimenti, angosce e speranze in un inglese facilmente intellegibile. Le parole “never again” sono ripetute diverse volte, finché il brano non si dissolve, veloce come è iniziato.

Ripple Effect [8:33]
“Il percorso è unico, è tuo, tue le scelte gli sbagli ma soprattutto i passaggi in avanti che possono essere un ‘indicazione per tutti gli altri…”
La chiusura è affidata alla ‘suite’, al brano più lungo, e ovviamente quello più importante. L’inizio è timido, sospeso, affidato alla prestazione di Zontini e alla sua consolidata alchimia con la chitarra di Codazzi. Il brano decolla piano, introducendo dopo un po’ un tema melodico (‘Take A Leap Of Faith’) che verrà ripreso altre volte nel corso del brano, da più voci. Sono infatti due le ospiti femminili presenti su questo brano, con la prima (Mary Lowndes) a riprendere proprio quel tema nella seconda strofa. Interessante da questo punto di vista è proprio la contrapposizione tra le due voci, impegnate di fatto sulla medesima linea melodica. Dopo un bell’assolo centrale il brano rimane sospeso, con la voce della seconda ospite – Susanna Brigatti – a ritagliarsi il proprio spazio con cori e vocalizzi conclusivi.

Leggi di più su: Unwise.