5 curiosità che forse non sapete su… Jimi Hendrix
Il 27/11/2020, di Monica Atzei.
In: The Birthday Party.
James Marshall “Jimi” Hendrix, è nato a Seattle il 27 novembre 1942 ed è scomparso a Londra il 18 settembre 1970. È stato un chitarrista e cantautore statunitense. Forse il più grande chitarrista di sempre o comunque un grande innovatore nell’uso della chitarra elettrica nella musica rock: durante la sua breve carriera è stato un precursore per le future evoluzioni della musica rock attraverso un’inedita fusione di blues, rhythm and blues/soul, hard rock e psichedelia.
L’inizio della leggenda
Non tutti sanno che Jimi, dopo aver svolto il servizio militare come paracadutista (dove si racconta che dormisse con la sua chitarra), a ventuno anni iniziò un’intensa attività da session-man. Suonò per Wilson Pickett, Ike & Tina Turner, King Curtis re del sax, gli Isley Brothers nell’album ‘Testify’. Fece parte della band di Little Richard, portò la chitarra dentro un sacco di patate per il primo incontro con lui; suonò nell’ album ‘Friends From The Beginning’. Nelle biografie di Jimi si legge su questo periodo: “Non mi pagava per mesi, voleva sempre gli stessi assolo ripetitivi; una volta quando indossai una bella camicia si mise a gridare: Sono Littler Richard, il re del ritmo, solo io posso vestirmi bene, via quella camicia”. Non molto idilliaco quindi il rapporto tra i due Grandi. Altra curiosità è che Hendrix suonò il basso e la chitarra nel brano ‘Suey’ cantato dall’attrice di Hollywood Jaine Mansfield (bionda conturbante rivale di Marilyn Monroe), lui non ne parlò mai, è possibile che registrò le parti senza sapere per chi fosse il brano.
Scomoda eredità
Intorno al patrimonio di Hendrix, già subito dopo la sua morte, ci sono stati dei problemi a livello legale e operazioni di speculazione. Il chitarrista è stato manipolato da impresari senza scrupoli in vita, e dopo la sua scomparsa è stato uno degli artisti più sfruttati dalla discografia. Tra l’altro, intorno alla sua morte si hanno ora degli elementi diversi, naturalmente da valutare, ma leggete cosa scrive il fratello di Jimi nella prefazione del libro “Gli ultimi giorni di Jimi Hendrix” di Enzo Gentile e Roberto Crema: “Quando la mattina del 18 settembre 1970 mio padre mi comunicò per telefono la notizia della morte di Jimi, fu il momento più terribile della mia vita. Ero incredulo, ricordo che restai seduto per ore sul bordo del letto fissando il muro mentre rievocavo gli anni che io e Buster (il nome con cui Jimi si faceva chiamare da bambino) avevamo trascorso insieme, le ore belle e quelle meno belle. Quando ero piccolo era lui che si prendeva cura di me in tutto, tanto che credevo fosse lui mio padre. Era più che un fratello maggiore, molto di più […]. Mio fratello nel fare musica sembrava essere toccato dalla grazia, come fosse stato scelto da un potere superiore: era predestinato a diventare una star. Aveva qualcosa di speciale che lo contraddistingueva da chiunque altro, Jimi era in anticipo sui tempi e lo è ancora. Ricordare i bei momenti con Jimi mi riporta il sorriso, ma quando riaffiorano quelli più difficili mi si spezza il cuore. La mente torna a quel settembre e, per quanto ci provi, non riesco a trattenere le lacrime. Al funerale di Jimi c’erano amici e musicisti: Noel Redding, Mitch Mitchell, Buddy Miles, Johnny Winter, Miles Davis e molti altri, oltre tutti i nostri parenti. Ricordo anche la presenza del sindaco di Seattle. Jimi indossava un abito di broccato di seta verde e aveva l’aria tranquilla e pacifica, quasi come se stesse dormendo o semplicemente pensando con gli occhi chiusi al suo prossimo progetto musicale, è così che mi piace immaginarlo a distanza di cinquant’ anni […]. Dal momento in cui il corpo di Jimi fu calato sottoterra, in quel pomeriggio uggioso, si scatenò una durissima battaglia legale. Tutto quello che possedeva Jimi, dopo la sua morte, sarebbe andato a papà, ma presto si scoprì che era rimasto ben poco da rivendicare: del patrimonio di mio fratello io non mi sono mai potuto occupare. Non ho un’idea precisa nemmeno di cosa accadde quella fatidica notte nella stanza d’albergo di Londra, nessuno lo sa e nessuno probabilmente lo saprà mai davvero. Nello stomaco trovarono tracce di sonniferi, un po’ di vino e un panino. Poi ci dissero che era stata un’overdose di tranquillanti. Tutto qui. Ho sentito tante storie e molte erano in contraddizione tra loro: tanta, troppa gente voleva dire la sua. Si saprà mai la verità? Riuscirà un giorno a emergere tra le tante voci di corridoio, tra speculazioni e invenzioni in malafede? Mio fratello lo meriterebbe. Nel tempo mi sono sempre più convinto che Jimi sia stato ucciso. Non credo molto ai complotti, non penso che Mike Jeffery lo abbia fatto uccidere, almeno non prima di aver sistemato le questioni di mio fratello e accaparrarsi un’altra fetta di denaro e magari un’altra polizza sulla vita”.
Talento e sregolatezza
Nel 1961, a Seattle, fu arrestato dalla polizia, perché per due volte fu trovato alla guida di auto rubate. Presentatosi al processo, il chitarrista aveva due opportunità: o la reclusione, così come la pena prevedeva, per furto, o l’arruolamento. Hendrix scelse quest’ultima e si arruolò come paracadutista nei parà alla 101a Divisione Aerotrasportata di Fort Ord in California, poi fu spostato nel Kentucky per via del suo comportamento un pochino turbolento.
Italian Nights
Nel 1968 Jimi sbarcò in Italia per una serie di concerti: il 23 maggio al Piper di Milano, il 24 e il 25 al Brancaccio di Roma, il 26 al Palazzo dello Sport di Bologna di cui non esistono (sigh) nè registrazioni audio e nè video ufficiali. Il tour italiano della Jimi Hendrix Experience fu organizzato da Massimo Bernardi e Oscar Porri, ai tempi tra i più importanti promoter nazionali che organizzarono il tour per passione più che per business.
Il primo set al Piper previsto per le 16.30 fu annullato poiché l’attrezzatura era stata bloccata alla dogana di Linate; il secondo show doveva iniziare alle 21.00, dopo i supporter Wess & The Airedales e la Bo Bo’s Band, ma la star e la sua band, che comprendeva oltre lui, Noel Redding al basso e Mitch Mitchell alla batteria, salirono sul palco intorno alle 22.30. Il club era pieno all’inverosimile, circa ottocento persone, la capienza era di quattrocento, ma essendo saltato il primo concerto… Fortunati i presenti!
On Production
Il chitarrista, nel 1970, ha fondato gli Electric Lady Studios, uno dei più antichi studi di registrazione di New York. Creati perché Hendrix, insofferente al “music business”, cercò di avere un qualcosa soltanto di suo, così da potersi gestire in autonomia almeno in quel frangente. Col passare del tempo questi studi sono diventati meta delle registrazioni di David Bowie, Rolling Stones, John Lennon, Stevie Wonder, Patti Smith, Kiss, Led Zeppelin, Santana, Guns N’ Roses, Depeche Mode e tantii altri ancora.