5 cose che forse non sapete su… K.K. Downing
Il 27/10/2020, di Francesco Faniello.
In: The Birthday Party.
Kenny “K.K.” Downing è nato a West Bromwich (Inghilterra). Ha contribuito a fondare l’incarnazione definitiva dei Judas Priest all’inizio degli anni Settanta, dopo aver proposto di “rilevare” il monicker dal gruppo precedente di Al Atkins, il primo cantante. Insieme a Glenn Tipton ha formato la prima coppia di twin guitars dell’hard’n’heavy, una formula che avrebbe influenzato fior di gruppi nel corso dei decenni a venire. Ha lasciato la band madre nel 2011 immediatamente prima dell’Epitaph World Tour, che avrebbe dovuto sancire l’abbandono delle scene da parte dei Judas Priest; dopo vari anni, ha recentemente avviato una collaborazione con alcuni ex membri della sua ex band – Les Binks e Tim “Ripper” Owens – sotto il monicker KK’s Priest.
Galeotto fu Jimi Hendrix…
Succede sempre così: per i chitarristi c’è sempre un momento,o una serie di avvenimenti, che accende “quel” sacro fuoco che li spinge a imbracciare lo strumento e farne una ragione di vita. Per il giovane Kenny Downing fu l’incontro con Hendrix, che riuscì a vedere dal vivo per la prima volta a Coventry nel 1967 (assieme a Pink Floyd e Move!) e che pi plasmò il suo modo di intendere la musica come innovazione. Downing cita anche John Mayall and the Bluesbreakers e Captain Beefheart tra le primissime influenze, ma furono le strabilianti performance di Jimi Hendrix a convincerlo ad acquistare la sua prima chitarra acustica!
Wings Of A Rocka Rolla Destiny
Parlare di K.K. Downing equivale a parlare dei Judas Priest: sia perché la sua notorietà è legata a doppia mandata con quella dei progenitori dell’heavy metal, sia per via del suo imprescindibile contributo (assieme a quello di Glenn Tipton) nel forgiare quel suono a due chitarre che diventerà lo standard per un certo tipo di musica. Sin dagli albori della band, ai tempi di Al Atkins e di quella ‘Whiskey Woman’ che sarà l’embrione di ‘Victim Of Changes’, la direzione musicale congeniale a K.K. era chiara: perseguire quanto di più oscuro e pesante fosse concepibile, a partire dall’opera dei Quatermass; in qualche modo, il sodalizio artistico con il più bluesy e melodico Tipton sarà esaltato da questa dicotomia, dato che le peculiarità di Downing erano ben espresse anche nei fischi di chitarra che avrebbero caratterizzato brani come ‘Sinner’.
Hell Bent For Leather
Una cosa è certa: nell’eterno dilemma tra Beatles e Rolling Stones, uno come K.K. sceglie gli Stones. Il motivo è sì l’attitudine ribelle e stradaiola del combo di Jagger e Richards, ma anche a disaffezione per le uniformi da parte del chitarrista delle West Midlands. Eppure, chiunque può cambiare idea, specie dopo che la fase hippy mostrata dalle inequivocabili immagini dell’esibizione della band all’Old Grey Whistle Test del 1975 minaccia di evolversi in un qualcosa che ricordi David Bowie o qualche altro esponente del glam storico, per via dell’eclettismo di Rob Halford. Fu così che K.K. Downing iniziò a patrocinare l’esigenza di adottare un nuovo look per la band a partire da ‘Stained Class’: pelle e borchie per tutti. Tipton si lascia convincere facilmente, Hill e Binks accettano senza particolare entusiasmo, Halford coglie le incredibili opportunità di una simile svolta. Nulla di più logico, dunque, che una volta che il mercato americano storcerà il naso per il titolo del disco successivo (‘Killing Machine’, uscito nello stesso anno del predecessore) la band opti per l’emblematico ‘Hell Bent For Leather’, un nome che diventa un vero e proprio manifesto, con un repentino cambio di title-track e l’aggiunta di ‘The Green Manalishi (With the Two-Pronged Crown)’, la celebre cover dei Fleetwood Mac.
Heavy metal, what do you want
Una cosa appare evidente in un musicista come Downing: la coerenza stilistica sempre e comunque. Avendo rappresentato da sempre l’anima oscura dei Priest, naturale che mal digerisse brani come ‘Last Rose Of Summer’, che rappresentavano il tipico marchio stilistico di Tipton negli anni Settanta, pur comprendendone l’importanza nell’evoluzione del processo compositivo della band – si trovò a commentare un parallelismo tra questo pezzo e ‘Changes’ dei Black Sabbath, affermando di preferire comunque il pezzo di Iommi e soci. Nulla di strano dunque che tra i suoi episodi prediletti spicchino quelli di ‘British Steel’ o ‘Dissident Aggressor’ (non a caso poi ripresa dagli Slayer); accolse anche con malcelato favore il ritorno a sonorità più heavy inaugurato da ‘Ram it Down’ (pur affermando che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe co-firmato una canzone con la parola “love”, nello specifico ‘Love Zone’!) e ritrovò molta della libertà compositiva perduta negli anni nel corso della fase compositiva di ‘Jugulator’, quando poté finalmente dare libero sfogo al lato più aggressivo dei Judas Priest, contribuendo non poco a quello che resta quasi un unicum nella discografia priestiana, per quanto suona quasi thrashy: feroce, diretto e potente.
Il Leopardo e la Vergine
Ah, la NWOBHM… uno dei fenomeni chiave per l’evoluzione dell’hard’n’heavy, che ha rappresentato il naturale ponte di collegamento tra le sonorità proto/heavy degli anni Settanta e il fiorire di generi e sottogeneri negli anni Ottanta. Tra i suoi esponenti principali figuravano Iron Maiden, Saxon e Def Leppard, ma anche le band storiche in odore di rinnovamento riuscirono a cavalcare il fenomeno, piazzando alcuni dei loro dischi più importanti nell’anno di grazia 1980. Gli esempi sono noti a tutti: ‘Heaven And Hell’, ‘Ace Of Spades’ e – ovviamente – ‘British Steel’. Proprio durante le ultime fasi di registrazione dell’album, i Priest ricevettero la visita di Steve Clark e soci, freschi freschi di uscita per il loro debut ‘On Throught The Night’, prodotto dallo stesso Tom Allom che era il responsabile per il rinnovamento del Prete di Giuda. Ecco, l’episodio viene spesso ricordato dal nostro K.K. come esempio di “buon vicinato” (per non dire di rispetto reverenziale) che avrebbe portato a rapporti di amicizia tra le due band (conditi da match di golf e tennis e innaffiati dall’immancabile birra). Decisamente diverso il rapporto tra il chitarrista (e in generale i Priest) e la loro band di supporto più in vista dei primi anni Ottanta, gli Iron Maiden: un po’ di dichiarazioni al vetriolo da parte di Di’Anno prima e di Dickinson poi incendiarono decisamente i rapporti tra i due titani dell’heavy metal, con un bacino di fans che iniziava inevitabilmente a sovrapporsi e con un management imbattibile nella persona di Rod Smallwood. La cosa che però infastidiva Downing in particolare era il look di Dave Murray, che sembrava essersi ispirato a lui in tutto e per tutto: capelli biondi e look in pelle, per tacere del sistema di twin guitars altrettanto efficace di cui il Blond Bomber faceva parte. Un vero e proprio passaggio di testimone? Non esattamente: i destini delle due band corrono tuttora in parallelo, anche se il Nostro non è più della partita dal 2011!