Compie vent’anni ‘Chocolate Starfish And The Hot Dog Flavoured Water’, lo sfrontatissimo successo dei Limp Bizkit
Il 17/10/2020, di Francesco Faniello.
In: The Birthday Party.
Ci si chiede spesso se ‘Chocolate Starfish And The Hot Dog Flavoured Water’ dei Limp Bizkit sia invecchiato bene o meno. Un successo dirompente all’epoca della sua uscita, uno di quei dischi che segnano un’era, nel bene e nel male. Ecco, una strada per dare una risposta a questa domanda può essere quella di scandagliare le due anime che componevano (e compongono) la band, dettandone altresì la direzione artistica.
Da un lato, Fred Durst, il perfetto parvenu in una scena – quella metal – che non fa mistero di mal sopportarlo. E lui gioca esattamente su questo fattore, collocandosi come bersaglio preferito di quelli che oggi chiameremmo haters e che allora apparivano infastiditi dal suo periodare, dal suo timbro “facile”, dalle sue dichiarazioni urticanti e persino dal suo cappellino rosso indossato al contrario, alla maniera dei rapper. Offeso dal giudizio negativo espresso nei suoi confronti da parte del suo mito Trent Reznor, non si fa specie di rispondere per le rime (è il caso di dirlo) nell’opener ‘Hot Dog’, prendendosi gioco di più di un pezzo dei Nine Inch Nails, come ‘The Perfect Drug’ o ‘Burn’, tra un fuck e l’altro (46 per la precisione, come da lui stesso dichiarato). L’enorme autostima e immodestia del singer emerge in più punti nel corso del disco, come sull’ennesima dichiarazione di intenti ‘My Way’ o i commenti affidati alle voci fuori campo di Ben Stiller e Mark Wahlberg, dove i Limp Bizkit vengono definiti “il gruppo principale del rock’n’roll, con la loro miscela di rap, hip hop, punk e metal shakerati a dovere e serviti in una formula completamente nuova”; eppure, è l’elegia ‘The One’ a far finalmente trapelare qualcosa di genuino, mettendo a nudo il suo interprete per mezzo di una fragilità musicale propria delle canzoni d’amore, benché ostenti una superficiale sicurezza nelle parole rivolte all’oggetto del desiderio. Durst è un concentrato di tutto ciò che infastidisce di più nella cosiddetta “cultura popolare”, è l’Apollo Creed saltellante e sicuro di sé poco prima di incontrare Ivan Drago, è il Diavolo che gongola dopo la fine dell’assolo colmo di whammy bar di Steve Vai nella sfida con Ralph Macchio; non è un caso che vengano citati due personaggi cinematografici sull’orlo della disdetta, poiché è esattamente ciò che accadde dal punto di vista artistico ai Limp Bizkit dopo l’abbandono di uno dei suoi motori propulsivi, il chitarrista e compositore Wes Borland.
Già, Wes Borland, il “volto umano” del Biscotto Molle, il jazzista prestato al Nu Metal che ne ridefinisce i confini melodici per mezzo di arrangiamenti di chitarra pulita tooliani fino al midollo, di armonizzazioni quasi orchestrali nell’accorato duetto con Scott Weiland di ‘Hold On’, di un riffing essenziale che però si fa scuro e spigoloso su ‘Full Nelson’, ricordando sia le sonorità di rottura di ‘Judgment Night’ (imperdibile manifesto del crossover anni Novanta) che le gloriosissime tradizioni dell’hardcore/punk newyorkese, in un crescendo che non si fa remore di citare i migliori RATM. Sua la mano dietro gli arrangiamenti chitarristici – al netto dell’ovvio contributo di DJ Lethal in occasione delle collaborazioni di lusso con eminenti esponenti del gotha dell’hip hop – suo il fondamentale contributo a una formula in grado di sfornare un disco traboccante di hit, da ‘My Generation’ a ‘Rollin’ (nella versione Air Raid Vehicle, decisamente), fino a ‘Livin’ It Up’ e alla fortunatissima e arcinota ‘Take A Look Around’, colonna sonora di ‘Mission: Impossible 2’ costruita sul pattern originale di Lalo Schifrin.
In conclusione, ‘Chocolate Starfish and the Hot Dog Flavoured Water’ resta un esempio di come scrivere un disco destinato a far parlare di sé anche negli anni a venire; di come produrlo in maniera eccelsa, complice la mano di Terry Date, il missaggio di Andy Wallace e il contributo di Abraham e dello stesso Weiland; di come un autoproclamatosi “mecenate rinascimentale” e i suoi menestrelli post/moderni possano dimostrarsi veri e propri catalizzatori di odio, riuscendo al contempo a far parlare di sé e a costruire un seguito inimmaginabile ai giorni nostri. Eh sì, perché volente o nolente il Nu Metal è stata l’ultima vera rivoluzione dell’hard’n’heavy, prima ancora che prendesse piede un’ondata di revivalismo che non sembra placarsi. Persino ‘Getcha Groove On’, che all’epoca suonava così scandalosa per via del contributo di Xzibit, può vantare delle sonorità che oggi sono divenute di uso comune, con la sua attenzione all’hook, all’avvicendarsi di stili diversi, a un incedere senza soluzione di continuità.
E dunque, l’interrogativo iniziale? Probabilmente nell’era del trap il terzo lavoro dei Limp Bizkit verrebbe accolto con fervore messianico dagli stessi suoi detrattori di vent’anni prima, rappresentando in realtà poco più che una risposta “robusta” e musicalmente ricercata rispetto allo scenario in cui si troverebbe calato, almeno dal punto di vista concettuale. Una cosa è certa: un ipotetico alieno o un viaggiatore a ritroso nel tempo che visitasse gli anni 2000 oggi dovrebbe avere quel disco. Rigorosamente nel suo lettore CD portatile infilato in una tasca dei bermuda indossati a vita bassa.
Hammer Fact:
– Il titolo del disco è l’unione di due distinte idee avute da Durst e Borland. Il primo amava farsi chiamare “Chocolate Starfish” in sfrontato spregio alla definizione di “asshole” che gli veniva spesso appioppata, dato che i due termini sono sostanzialmente sinonimi. Al secondo capitò di fermarsi presso un baracchino di acqua aromatizzata (una di quelle diavolerie angloamericane vendute ovunque, tra cui spicca l’acqua al gusto di fragola) e si chiese che gusto avrebbe mai potuto avere un’acqua al sapore di carne o di hot dog. Anche no, grazie.
– Tra i produttori associati del disco figura il compianto Scott Weiland degli Stone Temple Pilots, che Fred Durst aveva da poco ingaggiato come vocal coach personale. Interpellato sulla scelta del proprio maestro di canto, Durst replicò “preferisco ricorrere a uno che mi piace veramente e di cui io stesso ho acquistato i dischi piuttosto che a qualche tipo grasso, piccolo e omosessuale”. Come di consueto, uno stile sobrio e improntato al politically correct.
Line-Up:
Fred Durst: vocals, art direction, liner notes, photography
Wes Borland: guitars, cover art
Sam Rivers: bass
DJ Lethal: turntables, samples, keyboards, programming, sound development
John Otto: drums
Tracklist:
01. Intro
02. Hot Dog
03. My Generation
04. Full Nelson
05. My Way
06. Rollin’ (Air Raid Vehicle)
07. Livin’ It Up
08. The One
09. Getcha Groove On (featuring Xzibit)
10. Take a Look Around
11. It’ll Be OK
12. Boiler
13. Hold On (featuring Scott Weiland)
14. Rollin (Urban Assault Vehicle) (featuring DMX and Method Man & Redman)
15. Outro
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