The Library (27) – Heavy Duty – La mia Vita nei Judas Priest
Il 29/09/2020, di Roberto Sky Latini.
In: The Library.
È finalmente uscito in italiano il libro di K.K. Downing, a due anni dalla pubblicazione dell’edizione inglese (2018). La lettura scorre a volte in modo molto diretto e lineare, mentre in altri punti il chitarrista accenna a cose che un appassionato, in quanto fan dei Judas, vorrebbe fossero approfondite maggiormente di come è stato fatto. K.K. parla di musica, ma anche della sua vita, e non poteva essere altrimenti per uno che ha vissuto la musica come fuga dalla propria realtà familiare. Per tutto lo scorrere del libro il chitarrista è critico, ma non cattivo: si intravede infatti un po’ d’amarezza, e magari anche un po’ di invidia, ma cerca di non lasciarsi sopraffare dai sentimenti negativi. Di certo non sembra aver superato le sue difficoltà psicologiche. Lo vediamo forse in alcune situazioni come il non aver mai preso una responsabilità profonda di coppia, come soprattutto il non aver mai voluto riavvicinarsi al padre, e anche dal modo in cui scrive della famiglia che, dopo le critiche all’inizio del libro, non viene quasi più nominata.
Per un lettore rock, però, la cosa più importante sono sicuramente le vicende con la band. Downing non è solo il chitarrista dei Judas, è anche l’elemento che ha fornito la presenza necessaria a una delle coppie chitarristiche più famose del metal, colui che ha composto con il cantante Halford e l’altro chitarrista Tipton, brani ormai leggendari della storia Heavy, basilari per l’evoluzione e lo stampo dell’Heavy Metal classico da cui assolutamente non si può prescindere. Le sue cavalcate soliste restano esempi fulgidi di come si deve suonare quel tipo di musica, sicuramente non ha niente da invidiare alla coppia di un’altra band iconica, quella degli Iron Maiden.
Inoltre, Downing ce l’ha sì col padre, ma anche con il suo compagno di viaggio Glenn Tipton, al quale imputa di aver voluto decidere in maniera antidemocratica la direzione musicale e il management (la moglie di Tipton, Jayne Andrews, diventò manager nel 1985). Interessante notare come si prenda i meriti della scelta dell’indurimento dello stile sonoro, la virata verso un look di pelle e catene, affermando di aver portato lui Halford su questa strada. Bella la frase, che lo presenta appunto come colui che ha istigato al lato più Heavy dei Judas, secondo cui durante la creazione di ‘Ram It Down’ disse agli altri, in in riferimento al brano ‘Johnny B. Goode’: “Dopo questa, non voglio più fare canzoni con dentro la parola ‘amore’!”. E in effetti tra i pezzi che non ha mai amato si annovera ‘Last Rose Of The Summer’ da ‘Sin After Sin’ (1977) verso la quale rivolse la seguente, chiarissima frase: “Fa schifo”.
La potenza che K.K. cercava fa di lui un vero metallaro, e infatti, dopo l’uscita di Halford,fu contento di scrivere, sentendosi più libero, i riff violenti di ‘Jugulator’ (1997) di cui mostra di non essersi pentito.
Il buon rapporto coi Def Leppard; quello cattivo con gli Iron Maiden. Le donne, la passione per i motori, il golf. E poi la scelta di lasciare il gruppo in quanto sempre meno partecipe delle scelte musicali e di quelle organizzative, per colpa sempre degli stessi personaggi. Nel corso del libro, emerge come abbia vissuto duramente il periodo dell’attacco dei media nei confronti della loro musica, per aver istigato il suicidio di un ragazzo durante gli anni Ottanta. Il processo ebbe luogo nel 1990, il gruppo fu scagionato. L’esperienza, però, li segnò inevitabilmente.
K.K. appare un uomo deciso nelle proprie scelte ma debole nei rapporti interpersonali, in qualche modo rassegnato dal lato negativo della vita, ma fiero del trascorso artistico, in cui vede se stesso e la band di cui ha fatto parte sia come precursori che contemporanei, fortemente incisivi nel far sviluppare la scena metal dagli Ottanta in poi. Insomma, uno umile nei modi, ma deciso ad affermare il suo ruolo di vincente nella musica.
È uno scrivere semplice, quello di K.K. con Eglinton, che in alcuni passaggi sembra rendere il protagonista più freddo, e anche quando esprime la sua passione lo fa con termini non molto emotivi. In alcuni momenti pare voler criticare maggiormente gli altri, ma allo stesso tempo si nota la volontà di non esagerare e cerca di riprendersi, smorzando i toni, come se avesse paura di sbilanciarsi, provando a dire qualcosa di positivo di quegli stessi personaggi. A tratti appare un po’ artificioso, ma fa sorridere. Per esempio, parla male degli Iron, ma alla fine dice di essere orgoglioso che siano inglesi, e che ci prenderebbe volentieri una birra insieme. Il suo bilancio è alla fine positivo, parla della sua carriera come “una fortuna”, e del suo importante rapporto con i fan. “Me ne sono andato senza rimpianti, e con l’integrità ancora intatta”. E ringrazia i “compagni di band” per tutto ciò che hanno condiviso. Sì, nel libro vuole mostrarsi soddisfatto, e probabilmente è così. Libro comunque da leggere, che ci apre un’altra serie di spiragli nel mondo del metal e della band rocciosa quale è quella dei Judas. Lunga vita ancora a K.K., sperando magari in una sua qualche nuova schitarrata.
DETTAGLI DEL VOLUME:
Titolo: Heavy Duty – La mia Vita nei Judas Priest
Autore: K.K. Downing con Mark Eglinton
Anno: 2020
Editore: Tsunami
Collana: I Cicloni
Pagine: 290 pagine + 16 di foto in b/n
Prezzo: Euro 22,00
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