5 curiosità che forse non sapete su… Glenn Hughes
Il 21/08/2020, di Francesco Faniello.
In: The Birthday Party.
Glenn Hughes è nato a Cannock (Inghilterra) ed è noto con il soprannome di The Voice Of Rock. Lo stile vocale particolare, che mischia elementi di rock, soul e rhythm’n’blues, l’ha reso uno dei cantanti più apprezzati al mondo. In carriera ha militato nei Trapeze, nei Deep Purple e nei Black Sabbath, oltre a una prolifica attività solista. Eppure, non tutti sanno che…
You sure?
Si dice spesso che The Voice of Rock sia il più nero tra i cantanti bianchi. No, non è una battuta degna di Alan Parker… immaginate: le session di registrazione e missaggio erano quelle di ‘Stormbringer’, nel 1974, e il Mark III dei Deep Purple aveva già fatto irruzione nella scena musicale con ‘Burn’, ridando nuova vitalità all’inarrestabile quintetto britannico grazie ai nuovi innesti Coverdale e Hughes. Proprio quest’ultimo dettava ormai la linea per una parte consistente dei brani del nuovo disco, un filone funk / soul che Blackmore vedeva tutt’altro che di buon occhio. Di diverso parere un avventore molto speciale dei Musicland Studios, Stevie Wonder: all’ascolto della sue incredibili performance su ‘Hold On’ e ‘Holy Man’, il cantante americano prese tra le mani il volto di Glenn Hughes e gli disse “Man, (are) you sure you’re a white guy?”. Non male, detto da uno dei propri miti…
High Ball Shooter
Deve essere stata una scena ripetuta come un flashback continuo nella mente di Glenn Hughes, quell’incontro nei corridoi del Palais des Sports di Parigi, alla fine dell’ultimo concerto del Mark III. Il Man in Black in persona era davanti a lui, e quella era l’ultima volta in cui sarebbero stati insieme su un palco. Per di più, lo scrutava severo e accigliato mentre il buon Glenn biascicava qualcosa tipo “Amico, è stato un onore lavorare con te…”, sorriso ebete e voce rotta dalla cocaina. E sì che Ritchie Blackmore non era proprio un’educanda, ma in quello sguardo doveva esserci tutta la riprovazione possibile: per il decadimento dei rigorosi costumi dell’hard prog, per il rifiuto ricevuto sulla proposta di coverizzare ‘Black Sheep Of The Family’, per essere stato costretto a registrare le ritmiche funky dell’ultimo disco. Così, le due strade si divisero: Ritchie proseguì senza replicare verso la sua nuova creatura Rainbow, Glenn avanzò deciso in direzione del Mark IV: ‘You keep on moving’!
In for the Kill
Il lupo perde il pelo, ma non il vizio… e quando si parlava di “snowblind”, i lidi sabbathiani erano il posto giusto, negli anni Settanta e Ottanta. Iniziò così la collaborazione tra Hughes e Iommi (accompagnati dagli allora musicisti della band di Lita Ford) per quello che doveva essere il primo album solista del chitarrista britannico di origini italiane e a cui invece la casa discografica impose il monicker Black Sabbath. Un’eredità pesante da portare in tour, che di certo il buon Glenn non avrebbe fatto fatica a onorare se solo non fosse stato in uno dei suoi periodi più bui: ingrassato (secondo Gary Moore, le barrette di Mars erano la sua compagnia preferita), completamente fuori di sé (dopo i soliti eccessi in studio) e reduce da una scazzottata con il tour manager che ne aveva fortemente compromesso le capacità vocali, tanto che Geoff Nicholls dovette sopperire in più momenti alle sue carenze dietro al microfono, prima che Ray Gillen venisse chiamato per concludere il tour. Il risultato? Nonostante ‘Seventh Star’ sia un disco discreto per gli standard di Iommi, i primi concerti in supporto a esso ci regaleranno (si fa per dire) una versione di ‘Heaven And Hell’ che è tra i punti più bassi raggiunti dal Sabba Nero.
Cheap an’ Nasty
Qualunque sia la vostra opinione su ‘Slip Of The Tongue’ dei Whitesnake, converrete che la formazione al suo interno raccoglie il gotha dell’hard rock ottantiano. Non solo può vantare la sezione ritmica di Ozzy dei tempi di ‘Speak Of The Devil’, ma anche un raffinato compositore come Adrian Vandenberg e un virtuoso fuori dal comune come Steve Vai. E poi, ci sono gli ospiti: Don Airey e David Rosenthal alle tastiere (entrambi direttamente dalla corte di Blackmore), fino a Richard Page, Tommy Funderburk e Glenn Hughes ai cori. Già, proprio l’amico di sempre; peccato che i contributi di The Voice of Rock vennero ritenuti inutilizzabili, e dunque la sua timbrica resti riconoscibile nella sola ‘The Deeper The Love’. Una collaborazione che riprenderà anni dopo, quando il Nostro raggiungerà Coverdale sul palco per un’accorata versione di ‘You Keep On Moving’, durante il tour di supporto a ‘The Purple Album’.
The Italian Job
A parte i Trapeze, i Deep Purple e i Black Sabbath, sono tante le collaborazioni illustri nel corso della carriera di Glenn Hughes: Pat Thrall, Gary Moore, Tony Iommi (con cui realizzerà altri due dischi, ‘The 1996 DEP Sessions’ e ‘Fused’) e Joe Lynn Turner, solo per citarne alcuni. Non possiamo dimenticare però il rapporto speciale del bassista / cantante con l’Italia, e in particolare con il chitarrista Dario Mollo (già fondatore dei Crossbones) nell’ambito del progetto Voodoo Hill. Vale la pena di ascoltarne il debutto omonimo, uscito nel 2000 e contenente una versione aggiornata del classico purpleiano ‘The Gypsy’, un brano sempre in grado di far tremare i polsi grazie anche all’indiscutibile alchimia tra il veterano britannico e il chitarrista italiano. Tra le esibizioni dal vivo di The Voice Of Rock nel nostro Paese, resta mitica quella in occasione dell’Ultimate World Guitar Exhibition nel 2010, nell’ambito di un bill che vedeva Yngwie Malmsteen come headliner e comprendeva al contempo gente come Stef Burns, Jennifer Batten, Doug Aldrich, Timo Tolkki e George Lynch; in quell’occasione Glenn Hughes sciorinò versioni al fulmicotone dei classici ‘Burn’, ‘Stormbringer’ e ‘Gettin’ Tighter’, fino a duettare con Malmsteen su ‘Mistreated’.