Roberto Tiranti – I miei 10 album fondamentali
Il 26/06/2020, di Alex Ventriglia.
In: Hammer Chart.
Quando Alex Ventriglia chiama, io scatto sull’attenti battendo il tacco e compilo senza alcun indugio la lista dei dieci album rock che hanno fatto e continuano a fare la differenza nella mia vita musicale e non.
Se dovessi includere tutto ciò che amo oltre al rock la lista arriverebbe come minimo a quaranta album, con artisti tipo Beatles, Gino Vannelli, Stevie Wonder, Al Jarreau, Donald Fagen, Elio e le Storie Tese, e molti atri.
Molti di questi dischi hanno segnato e accompagnato la mia infanzia, e sono arrivati a me grazie a mio padre Gustavo, da sempre amante del Rock di matrice settantiana e grande sostenitore della N.W.O.B.H.M. e del Metal in generale.
Da bambino la prima cosa che mi rapiva erano ovviamente le copertine, poi mettevo il disco sul piatto per scoprire se le suggestioni musicali fossero all’altezza di quelle visive.
A volte sì, superando ogni mia aspettativa, altre no e allora passavo oltre.
Si comincia e rigorosamente in ordine sparso, senza classifiche.
Kansas – ‘Audio Visions’ (1980)
Avevo sette anni, e il tizio nel retro copertina somigliava terribilmente a mio padre.
Incuriosito, accesi lo stereo e ‘Got To Rock On’, primo brano del lato B, mi travolse nella sua gioia e freschezza. Quest’album che amo profondamente ha al suo interno tutto ciò che io cerco nella musica: grandi melodie, arrangiamenti di classe e complessità eseguiti magistralmente in modo naturale non per stupire, e altrettanto spazio per emozione e ottimi testi.
‘Hold On’, ballata in tempo ternario, è una vera perla che negli anni ho cantato svariate volte, realizzandone una mia versione che potete trovare su YouTube. ‘No One Together’ è uno dei migliori brani prog che io abbia mai sentito, quasi sette minuti di montagne russe su cui alla fine vuoi risalire. ‘Loner’ è il brano che non ti aspetteresti mai. Solo 2:30 di energia pura con un riff stupendo e la batteria in doppia cassa che sfocia in una strofa sempre molto serrata, ma acustica, e un ritornello a più voci a dir poco magico.
Steve Walsh per me è un Dio. Musicista stellare, cantante eccelso al servizio di una band fuori dal comune.
Queensryche – ‘Rage For Order’ (1986)
Per loro, potrei dire che in questa lista metto la discografia dall’EP ‘Queen Of The Reich’ fino a ‘Promised Land’, ma sarebbe troppo facile e poco corretto per i molti altri artisti a cui tengo e di cui vi parlerò.
Avevo già sentito e amato ‘The Warning’, rimanendo scioccato da Geoff Tate, colui che nel Metal ritengo essere il mio assoluto cantante preferito, ma quando nell’estate del 1986 mio padre mise in macchina ‘Rage For Order’ e ‘Walk In The Shadows’ irruppe dalle casse dell’autoradio, fu amore incondizionato.
Non esiste un brano “filler”, 10 perle originali e una cover, ‘Gonna Get Close To You’ dell’artista canadese Dalbello, da brivido assolutamente aderente all’originale ma impreziosita dal trademark “ryche”.
Album che si chiude con ‘I Will Remember’, una vera opera d’arte intrisa di classe, sapienza, melodia ed emozione, ulteriormente impreziosita nella performance dell’Unplugged MTV show del 1992.
Anche di questa esiste una versione su YouTube appena realizzata in questo periodo di quarantena, da me, Andrea Cantarelli, Alessandro Bissa e Nik Mazzucconi.
Jesus Christ Superstar – ‘Original Soundtrack’ (1973)
Potrei citarvi la versione del 1970 con Gesù interpretato da Ian Gillan, colui che (assieme a David Byron) considero mia primaria fonte d’ispirazione fra i cantanti degli anni Settanta, ma tutto il mio cuore va alla versione cinematografica con un Ted Neeley perfetto sotto ogni aspetto e vocalmente INCREDIBILE, un vero e proprio alieno che purtroppo è come fosse rimasto “vittima” di quel personaggio, non producendo più successivamente niente di grande rilevanza purtroppo.
Il musical in realtà vede più protagonista Giuda, interpretato magistralmente da un altro pezzo da novanta come Carl Anderson, riabilitando l’immagine del traditore per antonomasia e umanizzando Gesù nelle sue fragilità e dubbi più terreni che divini.
L’autore delle musiche, Sir Andrew Lloyd Webber, quando compose questa meraviglia, aveva meno di ventidue anni, ecco cosa significa essere un genio.
Nel 1973, in Italia, non venne immediatamente accolto bene dall’opinione pubblica e ancor meno dalla chiesa. Restano celebri gli incidenti causati dai cattolici a Roma durante la prima proiezione del film e l’immagine del Cardinal Siri che, a Genova, benedisse il cinema poiché riteneva la pellicola sacrilega.
Ho interpretato il personaggio di Gesù moltissime volte, considero il brano ‘Gethsemane’ uno dei miei cavalli di battaglia e l’unico tatuaggio che ho è proprio il logo del musical fra le scapole…
Queen – ‘The Miracle’ (1989)
Dovrei dedicare questa lista solo a loro.
Amo tutti i loro album, fatta sola eccezione per ‘Hot Space’ di cui apprezzo pochi brani.
Ho “incontrato” per la prima volta i Queen da bambino, rapito dalla copertina del 45 giri ‘Somebody To Love’ in cui loro sono disegnati come caricature.
Il mio attaccamento a questo album nasce dal periodo storico in cui è uscito, il 1989.
Uscii da scuola e alla fermata dell’autobus c’era un piccolo negozio di dischi che aveva in vetrina la nuova uscita di questi miei eroi. Avevo i soldi giusti giusti per il vinile che comprai al volo, per poi catapultarmi a casa dove, in religioso silenzio, ascoltai due volte di fila l’album.
Il brano ‘I Want It All’ fu subito scelto, studiato ed eseguito col mio primo gruppo.
Una piccola opera d’arte resta ‘Was It All Worth It’, tipico brano Queen della loro parte più prog, ‘Scandal’ con venature quasi AOR ed una struttura atipica in cui la strofa funge da tema e ritornello allo stesso tempo, cattura immediatamente dal primo ascolto.
I Queen sono l’esempio lampante di come la sinergia di 4 talenti dalle personalità forti possano dare luogo a pura arte. Brian May merita di stare nell’olimpo dei chitarristi che hanno segnato l’evoluzione dello strumento, a ciò si aggiunga la sua capacità di scrivere brani favolosi.
Roger Taylor, batterista dalla grande personalità e cantante assolutamente sottovalutato.
John Deacon è uno dei miei bassisti preferiti, oltre ad essere un autore galattico.
Freddy è per me un’entità soprannaturale, musicista geniale ,cantante incredibile e artista a 360 gradi a cui il film ‘Bohemian Rhapsody’ non ha reso affatto giustizia.
Iron Maiden – ‘The Number Of The Beast’ (1982)
Tornando alle copertine, gli Iron sono stati fra i più suggestivi e da bambino Eddie mi faceva davvero paura. La copertina di ‘Killers’ mi stregò, ma l’album che mi diede un forte cazzotto allo stomaco fu ‘The Number Of The Beast’.
1982, anno magico per svariate ragioni, ma adesso vi faccio ridere… Avevo otto anni e la title-track con la carismatica voce di Barry Clayton dell’intro, sfociava poi in quella che per me era la melodia di ‘When The Saint Go Marching In’, e devo dire mi disorientava molto…
Disorientamento durato molto poco grazie ad un nuovo cantante monumentale e a brani incredibili.
Ancora oggi lo ascolto con enorme piacere.
Deep Purple – ‘In Rock’ (1970)
Qui per me c’è davvero un pezzo di DNA, e aver avuto l’onore di cantare con Ian Pace moltissime volte in Italia e all’estero è stato davvero un sogno ed ancor di più aver scoperto in lui un amico.
Nel 1973 i miei andarono a vederli al Palasport qui a Genova, mia madre aveva appena scoperto che sarei nato io alcuni mesi dopo. Inutile dire che evidentemente qualche vibrazione scosse l’embrione che ero… Ian Gillan, per me LA VOCE, non solo degli anni Settanta, poiché quando nel 1984 uscì ‘Perfect Stranger’ o l’anno prima ‘Born Again’ dei Sabbath fu chiaro a tutti quanto fosse “oltre”.
Richie Blackmore altro eroe, personaggio controverso ma intriso di musica fino al midollo e dal talento infinito.
Roger Glover ottimo bassista ma anche grande autore, la ‘Butterfly Ball’ vi dice niente?
John Lord, un lord di cognome e di fatto, anche lui come Blackmore dotato di tutto ciò che deve avere una vera rockstar.
‘Child In Time’ fu una vera rivoluzione per il canto all’epoca, ‘Speed King’ una vera opera d’arte, una bomba energetica senza precedenti.
AC/DC – ‘Back In Black’ (1980)
Se è vero che mio padre fosse e tutt’ora è un grande fruitore di rock e metal, è altrettanto vero che spesso, non per imposizione, ma razzolando fra i dischi che comprava, io mi sia autonomamente scelto la musica che avrebbe poi influenzato la mia vita.
Estate 1982, il disco era uscito da due anni, ma a me era sfuggito. Un’audiocassetta attirò la mia attenzione, nera con le etichette giallo fluo su cui erano scritti i titoli e il nome della band.
La misi nel registratore portatile rigorosamente mono e il mondo si fermò, dovetti riascoltare tutto almeno due volte. Non siamo noi che cerchiamo la musica, è lei che ci viene a prendere.
Un cantante fuori dai miei schemi, composizioni apparentemente elementari ma tutto dannatamente rock and roll senza fronzoli.
Non a caso è uno dei dischi più venduti di sempre.
Uriah Heep – ‘Sweet Freedom’ (1973)
Loro e i Deep Purple sono per me la massima espressione degli anni Settanta e David Byron parimenti con Gillan è una fonte di ispirazione costante.
Lo stesso dicasi per Gary Thain, bassista immenso, scomparso (come Byron) troppo presto e che assieme a John Deacon ritengo i miei bassisti preferiti.
Che dire, il brano ‘Sweet Freedom’ vale l’intero disco, ma quando credi sia tutto arriva ‘Stealin’ e tanti cari saluti a tutti, e poi ‘Pilgrim’ rincara la dose.
Ken Hensley come John Lord ha rivoluzionato il suono dell’organo Hammond, due stili diversi ma entrambi innovativi. Dal 2013 ho l’onore e il piacere di essere il suo cantante e bassista nei Ken Hensley & Live Fire ed eseguire tutti i grandi successi scritti da lui, inclusi ‘Sweet Freedom’ e ‘Stealin’’, non ha davvero prezzo, tra l’altro è da poco uscito un doppio live su CD, vinile e DVD di un concerto del 2018 in Russia.
Yngwie Malmsteen – ‘Rising Force’ (1984)
In realtà amo tutti i suoi dischi fino a ‘Fire And Ice’, ma il primo amore scattò col primo album, anche se ben ricordo la sua militanza negli Alcatraz del favoloso Graham Bonnet, poco prima dello stupefacente ‘Rising Force’.
Detto tra noi, non ho mai capito coloro che all’epoca dicevano fosse troppo freddo. Io l’ho sempre trovato assolutamente passionale e di conseguenza molto caldo, e basta ‘Icarus Dream Suite op.4’ per smentire certe assurdità.
Impressionante Jeff Scott Soto, che confermerà la sua grandezza con lo spazio che merita sul successivo album ‘Marching Out’.
Aver aperto quattro suoi concerti nel 1998 coi miei Labyrinth fu un ennesimo sogno avveratosi…
Rush – ‘Hold Your Fire’ (1987)
In questo caso Gustavo non c’entra nulla, il merito va tutto all’amico Sergio Pagnacco, bassista dei Vanexa,(per alcuni anni anche dei Labyrinth), storica band italiana di cui ho fatto parte, che mi fece ascoltare ‘Moving Pictures’, album monumentale.
Scelgo però ‘Hold Your Fire’ poiché sono legato di più a quelle sonorità. Geddy Lee non è umano, riesce a fare quattro cose nello stesso tempo e tutto e quattro divinamente, possiamo discutere sull’estetica del suo timbro vocale che per molti risulta sgradevole, ma io lo ritengo magico e assolutamente unico.
Neil Peart, oltre a essere un batterista stellare, è un vero e proprio Poeta che andrebbe studiato a scuola. Ne parlo al presente perché certi musicisti diventano immortali grazie alla bellezza che hanno regalato al mondo.
Alex Lifeson è pura classe e le sue esecuzioni, le scelte armoniche e spesso melodiche, sono davvero uniche.
‘Force Ten’, ‘Time Stand Still’, Mission, vere e proprie opere d’arte…
In conclusione, restano fuori dalla lista molte altre band e artisti che meriterebbero di essere inseriti: Gary Moore, Mr.Big, Judas Priest, Rainbow, Whitesnake, Ronnie James Dio, Led Zeppelin, Metallica, Steve Vai, il mio cuore da qualche anno batte forte per Steven Wilson, sia per i suoi Porcupine Tree che per la sua carriera solista.
Un saluto a tutti e ancora grazie ad Alex per avermi chiesto di scrivere questa lista.