Andrea Ferro – I miei 10 album fondamentali
Il 15/05/2020, di Stefano Giorgianni.
In: Hammer Chart.
Mi risulta davvero difficile condensare in 10 album tantissimi anni di ascolti, la musica è sempre stata per me indispensabile e oltretutto non sono mai stato uno da “artista preferito” e neanche da “genere preferito”. Certo, il rock in tutte le sue forme è quello che mi ha accompagnato maggiormente, anche se crescendo mi sono reso conto che un’attitudine molto simile si può ritrovare anche in stili che utilizzano linguaggi diversi. Ho quindi deciso di parlarvi di 10 dischi che, in qualche modo, mi hanno influenzato in maniera forte in diversi momenti della vita, non necessariamente i miei preferiti e neanche le uniche cose che ascolto, ma sicuramente dei dischi che mi sono serviti a crescere.
AC/DC – ‘Let There Be Rock’ (1977)
Il mio primissimo vinile, inizio degli anni ’80, in vacanza dagli zii al mare, mio cugino più grande me lo regalò per il compleanno. Lo consumai, quel groove blues distorto, la voce acida di Bon Scott, i tempi di batteria incalzanti, il logo col fulmine in copertina, la foto bella marcia e il mistero sul significato del nome della band, tutti ingredienti molto graditi ad un bambino di quel periodo quando ancora si sentivano in radio i Kiss e si vedeva Bruce Dickinson ospite nel programma musicale domenicale ”Superclassifica Show” di Canale 5. Appena tornato a Milano mi comprai anche la prima maglietta nera (che ancora conservo anche se a brandelli) con Angus e il logo della band, stava nascendo un amore ed uno stile di vita.
Slayer – ‘Reign In Blood’ (1986)
Prima superiore, il metallo melodico e l’hard rock dettavano legge già da un pò insieme alle prime cose hip-hop come Beastie Boys e Run DMC. Un compagno di classe mi duplicò questa cassetta da ascoltare rigorosamente col lettore portatile “Walkman”. Il sound velocissimo e brutale era qualcosa di sconvolgente, un disco che scorreva via in un attimo lasciandoti annichilito. Tematiche demoniache/horror, canzoni brevissime, nessuna ballad, solo tanta aggressione, l’album più intenso che avessi mai ascoltato. Decisamente un nuovo sound che mi spingeva lontano da tutto quello che ascoltavano le persone “regolari”, una musica che rappresentava perfettamente la mia voglia di spaccare tutto e di essere fuori dal coro.
Black Flag – ‘Everything Went Black’ (1983)
Erano gli anni dello skateboard quando io e Maki (il nostro bassista) ci siamo incontrati grazie alla passione per la tavola a rotelle. Vivevamo per le strade della città in giro in skate oppure quando pioveva a casa a guardare le videocassette dei “pro” americani e la nostra colonna sonora era a base di hardcore punk e thrash metal, oltre alle prime divagazioni del crossover come Red Hot Chili Peppers o D.R.I. Un periodo bellissimo che ci ha insegnato tanto sulla cultura e l’arte alternativa, un sacco di concerti soprattutto underground e i primi viaggi in treno e campeggio all’estero. I Black Flag rappresentavano un modo diverso di approcciare la musica dove la produzione e l’essere ottimi musicisti non era una cosa fondamentale, il messaggio era la cosa più importante, ed era un messaggio di ribellione, di non accettazione delle regole standard. Tecnicamente non c’è molto da dire su questo disco registrato e suonato in maniera molto grezza, ma è proprio da qui che ho imparato che è fondamentale avere qualcosa da esprimere quando si fa musica.
Pantera – ‘Vulgar Display Of Power’ (1992)
Un vero e “proprio” game changer nel metal che detterà le regole per molti anni a venire. Disco molto innovativo con il suono di cassa di Vinnie Paul che andava a spodestare quello fino ad allora dominante di Lars Ulrich nelle produzioni metal ed una ritmica martellante, ma sempre con groove, ed un solo chitarrista straordinario dal gusto unico ed inimitabile. Un cantante che passava molto agilmente da parti melodiche anche piuttosto alte ad una voce molto potente, un punto di riferimento per chiunque come me iniziasse ad avere qualche pulsione canora. Un disco sempre attuale con canzoni che resteranno nella storia della musica, una band ed un disco destinati a rimanere per sempre nell’Olimpo del metal.
Faith No More – ‘Angel Dust’ (1992)
Non hanno mai seguito le regole e avuto paura di sperimentare, un cantante incredibile capace di fare quasi tutto con la voce (una delle mie preferite) ma anche un ottimo gruppo che ci ha fatto iniziare a capire che la nostra musica non sarebbe mai stata rinchiusa in un ambito troppo ristretto. Tante canzoni tutte abbastanza diverse tra loro che spaziano dalle cose più acustiche alle più pesanti, sempre con un’atmosfera unica anche dettata dall’uso sapiente delle tastiere e di arrangiamenti originali. Anche ‘Easy’ ci ha insegnato che spesso le cover più interessanti per un gruppo heavy sono quelle provenienti da un ambito musicale molto diverso.
N.W.A. – ‘Efil4Zaggin’ (1991)
Il rap è un genere che ho sempre seguito (e che seguo tutt’ora) parallelamente al rock, ha sempre rappresentato l’altra faccia della nuova musica, soprattutto i gruppi più antagonisti come i Public Enemy avevano un’intensità paragonabile a quella del rock. Quando uscì questo disco fui subito colpito dalla violenza esplicita che emanava, a partire dalla copertina con una crime scene alle foto di questi gangster tutti vestiti di nero e super armati. I testi violenti, arrabbiati e non politically correct. Un nuovo modo di intendere l’hip-hop che esprimeva la condizione di vita estrema del ghetto di Los Angeles. Oltre a questo c’era una grande produzione con basi e campionamenti di grande gusto e un’ottima varietà di canzoni, un sound che da qui sarebbe poi diventato popolarissimo. Ancora una volta una musica che esprimeva disagio e ribellione nuda e cruda.
Alice In Chains – ‘Dirt’ (1992)
In questo periodo uscirono parecchi dischi che cambiarono di nuovo le carte in tavola, uno su tutti fu ‘Nevermind’ dei Nirvana, il mio preferito però rimane sempre ‘Dirt’, un disco molto visionario nelle melodie e nei testi disperati che raccontavano la voglia di morire e rinascere di allora, una sorta di nuova psichedelica che mi ha conquistato, un album riflessivo che ascolto sempre volentieri, un compagno di tante notti in cui perdersi. Il songwriting così come l’esecuzione e la produzione sono ad un livello altissimo, uno dei miei dischi preferiti di sempre.
Type 0 Negative – ‘Bloody Kisses’ (1993)
Insieme ad ‘Icon’ dei Paradise Lost il disco che maggiormente ci ha influenzato nella scelta della direzione musicale dei Lacuna Coil. ‘Bloody Kisses’ racchiude tutte quelle influenze gothic, hardcore e metal che ancora oggi compongono l’essenza della nostra band (anche se con una certa evoluzione negli anni). Un capolavoro con delle canzoni incredibili che non si curano del format da singolo, con delle melodie senza tempo, degli intermezzi folli, una carica sensuale ed emozionale e un’ironia unica nei testi. Una band dalle chiare radici Sabbathiane che ha saputo reinterpretare completamente, forse l’unico album (e band) di quel periodo che non mi stuferò mai di ascoltare.
Steel Pulse – ‘Rastanthology’ (1996)
Il reggae è una musica che mi piace molto sentire nei momenti di relax oppure quando sono in vacanza. Non sono molte le band che ho trovato veramente interessanti, gli Steel Pulse sono una di queste, ottimi musicisti e songwriters, con un sacco di classici del genere, per questo ho scelto un loro ‘Best Of’. Questo disco mi fu regalato da Wuv, il batterista dei P.O.D., durante il tour che facemmo insieme anni fa e mi ricorda un sacco di momenti divertenti dei day-off negli States. Un album da ascoltare gustando una birra fresca e anche qualcos’altro, ma soprattutto canzoni che, oltre ad intrattenere, raccontano le storie di un popolo.
Neil Young – ‘Greatest Hits’ (2004)
Questo album l’ho scoperto relativamente tardi anche perché da ragazzo non prestavo molta attenzione alle cose del passato, se non forse per i The Doors e pochi altri. In tempi recenti mi sono appassionato anche ad un sacco di musica di qualche anno fa, questo disco contiene praticamente solo classici di un grandissimo artista che è diventato uno dei miei più ascoltati in assoluto e dal quale ho appreso come con poche, belle parole si possano esprimere grandi concetti. La semplicità (non banalità) e il buon gusto sono alla base della grande musica.