La classifica dei dischi dei Rammstein secondo Giovanni Rossi
Il 12/05/2020, di Giovanni Rossi.
In: Hammer Chart.
In tempi grami come questi, anche la fiera belligeranza dei Rammstein è stata costretta a frenare, con il recente annullamento del loro tour europeo che, a luglio, avrebbe dovuto toccare anche Torino. Ma noi non demordiamo, anzi, e nella speranza di un pronto ritorno lasciamo alla penna dell’esperto Giovanni Rossi l’analisi approfondita della loro discografia. Dai capolavori ‘Mutter’ e ‘Sehnsucht’, ai numerosi live album, ampia ed emblematica la scelta per i fondatori del “tanz metall”.
10. Rammstein: Paris (2017)
Che i Rammstein siano un gruppo che dà il meglio dal vivo è stato ormai detto e ripetuto allo sfinimento. E non è un caso se nel 2017 pubblicano questa loro terza uscita, ‘Rammstein: Paris’, che documenta l’intero concerto che il pubblico ha tenuto nel marzo del 2012 al Palais Omnoisports di Parigi. I grandi brani sono sempre gli stessi, i sontuosi allestimenti idem, quello che cambia sono le immagini, estremamente curate e centellinate in ogni fotogramma, che rendono ‘Rammstein: Paris’, probabilmente il loro video concerto più curato. Per il resto si tratta di una storia già conosciuta, a cui questa pubblicazione non aggiunge sostanzialmente nulla di nuovo.
9. ’Ronserot’ (2005)
Il giro a vuoto della schiacciasassi Rammstein si chiama ‘Rosenrot’, forse l’album con meno smalto della loro intera discografia. Le undici tracce di ‘Rosenrot’ nascono nello stesso periodo del precedente ‘Reise, Reise’, di cui questo album avrebbe dovuto rappresentare un volume secondo, ma che molto più probabilmente è risultato una raccolta di pezzi scartati. Qualcosa di buono i Rammstein lo avevano visto e riversato sul disco, come l’opener ‘Benzin, Mann gegen Mann’, o la scanzonata e marchiana ‘Te Quiero Puta!’, un pezzo che stacca decisamente nella discografia del gruppo. Ma per il resto siamo di fronte ad un’opera non fondamentale, che viene presto accantonata anche dal vivo: sono pochissimi infatti i pezzi dell’album che verranno presentati dal gruppo durante i loro live. I Rammstein si accorgono di aver bisogno di un momento di riflessione e attenderanno cinque lunghissimi anni prima di dare alle stampe il loro lavoro successivo.
8. ‘Live aus Berlin’ (1999)
Sono passati solo cinque anni dal loro debutto, ma i Rammstein hanno già pubblico a sufficienza per dare alle stampe un live. E lo fanno a ragion veduta, perché se c’è una dimensione in cui il gruppo tedesco è completamente a proprio agio, è proprio quella dal vivo. Le registrazioni fatte alla fine di agosto del 1998 durante un concerto a Berlino restituiscono la potenza della band, che oltre agli allestimenti scenografici di prim’ordine che caratterizzeranno tutta la loro produzione, sfoderano una prestazione spettacolare. Non mancano neppure certi momenti particolarmente provocatori, come quando durante ‘Bück dich’ fa capolino un dildo, particolare che costerà al DVD un divieto ai minori di diciotto anni. Ma questi sono i Rammstein, e in futuro avrebbero fatto vedere ben di peggio, o di meglio a seconda dei punti di vista. Sicuramente un album non fondamentale, ma comunque importante per carpire una prima testimonianza della potenza frontale del gruppo dal vivo.
7. ‘Volkerball’ (2006)
A un anno di distanza da ‘Rosenrot’, i Rammstein pubblicano il loro secondo live. Ma a differenza di ‘Live Aus Berlin’, ‘Völkerball’ è qualcosa di profondamente diverso. Le registrazioni vengono prese dai quattro angoli del pianeta (quasi letteralmente) e non da un unico concerto, riproponendo il meglio della discografia dei Rammstein in formato live. Si tratta di una testimonianza indispensabile, soprattutto lato video, per poter capire al meglio di cosa il gruppo tedesco sia capace sul palco. Fiamme, catene, grasso di motore, ma soprattutto una coordinazione paurosa nel restituire dal vivo la stessa potenza che il gruppo sprigiona in studio. ‘Völkerball’ è un album che si dispiega su ventisette tracce, davvero un piatto ricco che permette di avere sottomano una sorta di compendio dei primi dieci ricchissimi anni della band. Anche in questo caso non si parla di nulla di nuovo, ma si tratta comunque di un’opera che documenta al meglio l’impatto del gruppo in concerto.
6. ’Rammstein’ (2019)
Questa volta l’attesa dura addirittura dieci anni. Tanto passa tra l’uscita di ‘Liebe ist für alle da’ e questo album omonimo. L’avvicendamento alla produzione tra Jacob Hellner e Olsen Involtini si avverte in alcuni passaggi, ma neppure troppo. L’atmosfera generale dell’album è infatti in forte continuità con la matrice del sound dei Rammstein, dove alcuni episodi sembrano fedeli riprese di ‘Reise, Reise’. Brani come ‘Deustchland’ e ‘Radio’ possiedono un’innegabile presa, ma se da una parte accontentano chi chiede ai Rammstein di essere se stessi, dall’altro fanno storcere il naso a chi si sarebbe aspettato, dopo dieci anni, qualche nuovo guizzo oltre ai proverbiali cori e alle vocalità inconfondibili di Lindemann. Ma i Rammstein sono questi, prendere o lasciare, un carroarmato attrezzato per spianare tutto davanti a sé.
5. ‘Herzeleid’ (1995)
Con il loro primo album, i Rammstein fanno subito capire chi sono. A cominciare dalla copertina: muscolari e ignudi come la natura (Photoshop) li ha fatti. Sono tedeschi, spacconi, granitici, provocatori, e mettono subito le cose in chiaro. Le dodici tracce dell’album di cui qualcosa era già trapelato in alcune colonne sonore, mostrano un metal dal sapore fortemente industrializzato che riprende le lezioni di Nine Inch Nails e Ministry. Le tastiere di Christian “Flake” Lorenz compongono un felice dialogo con la porzione chitarristica del gruppo, mentre la voce di Till Lindemann, rigorosamente su testi in tedesco, mette subito in luce l’attitudine di un gruppo che vuole lasciare il segno, con cli scarponi chiodati. Il brano omonimo e ‘Du riechst so gut’ sono i pezzi che si imprimono subito nella mente del pubblico. Un debutto che tra suda carnalità e sudore.
4. ‘Liebe ist für alle da’ (2009)
Dopo il giro a vuoto di ‘Rosenrot’, i Rammstein si dedicano a diversi progetti solisti per riprendere fiato. Addirittura si rincorrono le voci di un possibile scioglimento della band, ma loro non si scompongono minimamente, evitando qualsiasi esposizione mediatica. Finalmente a metà del 2009 esce il tanto atteso ‘Liebe ist für alle da’, sesto album in studio della band. Il suono del gruppo recupera tutta la fisicità e monoliticità delle origini, presentando un metal che si fa sempre più compatto e pesante. E questo nonostante il brano civetta ‘Pussy’, che riesce ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica grazie ad un video a luci rosse in cui recita no i Rammstein stessi (va be’, non proprio loro…). ‘Liebe ist für alle da’ coglie un grande successo sia di pubblico che di critica, dimostrando come i tedeschi avessero ancora moltissimo da dire.
3. ’Reise, Reise’ (2004)
Il nome del gruppo, ormai lo sanno tutti, è un richiamo ad un tragico disastro occorso durante l’esibizione delle Frecce Tricolori in Germania. Ma il rapporto dei Rammstein con le tragedie dell’aria non si limita a quello. ‘Reise, Reise’, che può essere tradotto come “alzati, alzati”, è il grido disperato del comandante del volo Japan Airlines 123 che cerca di evitare lo schianto in cui purtroppo sarebbero perite più di cinquecento persone. Il maggior disastro aereo della storia. E i Rammstein, che non hanno mai disdegnato di richiamare alla memoria tragedie e momenti bui con i loro brani, compongono un album che pur non riuscendo a bissare il successo di Mutter, ha comunque molto da dire. Il disco esce quasi quattro anni dopo il precedente, a conferma del fatto che i Rammstein se la prendono comoda. Su ‘Reise, Reise’ appaiono brani che diverranno dei classici, come ‘Mein Teil’, ‘Keine Lust’, ‘Amerika’ o la malinconica ‘Ohne dich’, forse il pezzo più struggente scritto fino ad ora dal gruppo. Ancora una volta è il tandem Lindemann – Kruspe a tenere dritto il timone, ma non può assolutamente sottovalutarsi l’apporto della sezione ritmica o delle tastiere dell’onnipresente “Dottor Flake”. È proprio in ‘Reise Reise’ che i Rammstein ribadiscono il loro grandissimo equilibrio di collettivo.
2. ‘Sehnsucht’ (1997)
Alla seconda prova sulla lunga distanza, i Rammstein calano subito l’asso. ‘Sehnsucht’ e ‘Mutter’ si litigheranno per gli anni avvenire la vetta nelle personali classifiche di ogni fan del gruppo. Un album duro, durissimo, molto più abrasivo del precedente, con pochissime concezioni alla melodia. ‘Engel’ è il brano manifesto dell’album, impreziosito dalle voci femminili su cui i Rammstein, con un coraggio non indifferente, inseriscono un ritornello scandito da un semplice fischio. E forse è qui che risiede la loro monumentalità: permettersi di affidare a un sibilo tra le labbra il momento manifesto del loro album. ‘Du Hast’ è un altro pezzo da novanta che si pianterà stabilmente nelle scalette dei concerti che i tedeschi faranno in tutti gli anni a venire. ‘Sehnsucht’ è uno dei capolavori dell’industrial metal, secondo solo a quel capolavoro assoluto che si chiama ‘Mutter’.
1. ‘Mutter’ (2001)
A distanza di quasi cinque anni dal loro lavoro precedente, i Rammstein pubblicano quello che quasi unanimemente è considerato il loro capolavoro, superando le attese più rosee per chi li aspettava al varco del dopo ‘Sehnsucht’. ‘Mutter’ è un disco che trasuda stato di grazia da ogni poro. Forse uno dei dischi manifesto dell’industrial metal e della musica di un decennio, insuperato in tutta la discografia futura dei tedeschi e pietra di paragone di qualunque gruppo si vorrà cimentare con quelle sonorità. La prima facciata è fondamentalmente una raccolta di singoli che il pubblico manderà a memoria per anni. ‘Mein Herz brennt’, ‘Links 2-3-4’, ‘Sonne’, ‘Ich will’, ‘Feuer frei!’, ‘Mutter’ sono pezzi che valgono intere discografia. Lindemann è minaccioso ed evocativo come non mai, mentre Richard Kruspe sale in cattedra con la potenza della sua chitarra. Sono pezzi come la solenne ‘Sonne’ e la marziale ‘Links 2-3-4’ a far conoscere la band anche fuori dal circuito prettamente metal. E tutto questo successo i Rammstein lo conseguono senza arretrare di un centimetro dalla loro convinzione di utilizzare la lingua madre. Il metal non ha mai parlato così tanto tedesco.