Olaf Thorsen – I miei dieci album fondamentali
Il 08/05/2020, di Olaf Thorsen.
In: Hammer Chart.
Quando Alex Ventriglia mi ha chiesto di stilare una lista dei dieci album più fondamentali della mia vita, ho accettato volentieri, pensando però che sarebbe stato molto difficile trovarne ben dieci… mai pensiero fu più errato, visto che nell’iniziare a stilare la lista ho dovuto, con non poca sofferenza, fare scelte e decidere di escluderne alcuni che in realtà mi hanno segnato tanto quanto quelli che alla fine sono rimasti in questa top 10.
Per farlo, ho dovuto fare mente locale e tornare a quegli anni, in cui mi sono effettivamente formato musicalmente, tenendo a mente quel doppio sviluppo che ho inconsapevolmente avuto nel corso del tempo, sia come ascoltatore che come chitarrista/compositore, e cercare di vedere il tutto con “il senno di poi”, cercando di capire quello che veramente mi è rimasto nelle vene e che ha deciso quale strada intraprendere, nel corso dei vari bivi che mi si sono presentati davanti di volta in volta.
Questa lista, dunque, non rappresenta la mia “top 10” assoluta, anche perché diciamocelo: sarebbe impossibile (e anche triste) avere solo 10 dischi tra i nostri preferiti.
Chiedo perdono ai vari Boston, Metallica, Megadeth, Slayer, Forbidden, Mordred, Sodom, Asia, Testament, Europe, Kansas, Sex Pistols, GBH, Helloween, Stratovarius e ad un altro centinaio di band che solo al pensarle, mi stanno strappando un sorriso, riportandomi a tempi che ricordo tutt’oggi come leggendari e rivivendo quotidianamente tra le mie mura di casa, risuonando con i loro bellissimi album.
C’era da fare una lista e c’erano solo 10 nomi da fare… prendetevela con chi me l’ha imposto e buona lettura!
Fates Warning – ‘Parallels’ (1991)
IL DISCO. PUNTO.
Questo è l’album della vita, quello che porterei con me sull’isola deserta, se dovessi sceglierne uno solo. Da questo album in poi, tutto il mio modo di concepire la musica e una band è cambiato letteralmente. Da quel momento non cercavo più solo la violenza, ma un modo più complesso (non complicato) di esprimere i miei sentimenti attraverso la musica.
Un disco semplicemente perfetto, non c’è un solo brano che cali di tono e i musicisti sono letteralmente spaziali.
A colpirmi fu in particolar modo la loro evoluzione (li seguivo già da anni ed ero un loro fan da tempo, specialmente quando con ‘No Exit’ presentarono Ray Alder alla voce, che sfoggiò immediatamente una prestazione al di fuori di qualunque standard), che con questo album divenne completa.
Toxik – ‘Think This’ (1988)
Josh Christian è sempre stato il mio chitarrista preferito in assoluto.
Una band “minore”, non conosciuta da tutti, ma che uscì in periodo in cui, senza internet, il tuo piccolo mondo era rappresentato da quegli incontri fortuiti che si creavano all’interno di un negozio di dischi e successivamente a casa, ascoltando quello che ti eri appena portato via, ancora sigillato. Quel piccolo mondo, in quell’anno, si è chiamato Toxik e mi ha fatto restare chiuso in casa per ore e ore, ogni giorno della settimana, passando intere settimane cercando di “rubare” qualcosa a quel chitarrista cosi fenomenale e lontano.
Senza di lui e senza le ore passate davanti ad una cassetta, che rallentavo con la matita, per studiarmi tutto quello che aveva infilato in questo album, oggi non sarei lo stesso chitarrista e questo è un dato di fatto (nel bene e nel male).
Kreator – ‘Pleasure to Kill’ (1986)
Eh, non è un segreto che i Kreator siano probabilmente la mia band preferita in assoluto, a livello di numero di album pubblicati, che mi hanno marchiato a fuoco. Molto difficile scegliere “l’album migliore” (direi Coma of Souls, molto probabilmente, ma dovrei dormirci sopra almeno un paio di settimane, combattuto tra questo e ‘Extreme Aggression’), molto meno scegliere il loro album che mi ha cambiato la vita: mentre mi combattevo internamente tra “melodia” e “rock” (perché a me piacevano entrambi, ma all’epoca le lotte tra paninari, punk, darkettoni e tra gli stessi metallari, divisi in glamster e thrasher) non rendeva le cose così semplici ( i social di noi adolescenti erano una piazza, una via, o nel mio caso, una scalinata di marmo dove ci raccoglievamo in una enorme compagnia di una trentina di ragazzotti ribelli, nel vestiario, nell’atteggiamento e soprattutto nei gusti musicali).
Durante uno dei nostri pellegrinaggi all’interno di uno dei negozi di dischi, feci quello che facevo spesso: comprare un album a scatola chiusa, in base al nome del gruppo e della copertina. Questo moniker con la “K”, assieme al suo titolo “il piacere di uccidere”, stimolò le mie giovani sinapsi e me lo portai a casa… appena lo feci partire venne giù letteralmente la casa ed il mio mondo non sarebbe più stato lo stesso: da quel giorno, desiderai imparare a suonare e farmi una band. Ovviamente di Heavy Metal, o come diavolo si chiamava quel genere così devastante che avevo appena ascoltato e che dava pieno sfogo alle mie emozioni giovanili.
Un piccolo aneddoto, legato a questo album: i Kreator sono responsabili anche del peggior acquisto della mia vita, perché sull’onda dell’entusiasmo legato a questo disco, tornai nel negozio per acquistare un altro vinile che avevo adocchiato, di una band chiamata Krokus… “hanno 2 k, saranno ancora più violenti”, pensai… il titolo dell’album non lo ricordo nemmeno, perché volò fuori dalla finestra dopo un paio di tracce…
Judas Priest – ‘Painkiller’ (1990)
Qua non serve nemmeno spiegare più di tanto. I Judas erano già una delle mie band preferite, praticamente ogni loro album mi trascinava sempre di più dentro a quello che ancora oggi è il mio genere preferito, ma con l’arrivo di ‘Painkiller’, venni investito da una colata rovente di puro, unico, immortale Heavy Metal. La copertina, i brani, la produzione, gli assoli, le melodie, la voce di Rob… era tutto semplicemente perfetto e, già lo pensavamo tutti, difficilmente superabile.
Iron Maiden – ‘Powerslave’ (1984)
Anche per i Maiden mi sarebbe molto difficile scegliere l’album migliore ( sceglierei ‘Seventh Son of a Seventh Son’, molto probabilmente), ma indubbiamente ‘Powerslave’ segnò i miei ascolti, con una scaletta di brani che non ti permetteva di interrompere l’ascolto, con brani come ‘The Rhyme Of The Ancient Mariner’, che mi spinse ad andare in biblioteca (non c’era wikipedia), per cercare il testo originale a cui si erano ispirati per scriverne il testo. Uno di qui dischi che poi mi sarei imparato interamente, con la chitarra.
Ultravox – ‘Quartet’ (1982)
Già, lo so… “un metallaro che ascolta sta roba?” Beh, per me gli Ultravox non sono “sta roba”, ma uno dei più grandi gruppi del loro periodo, che hanno saputo portare quelle innovazioni tecnologiche all’interno della loro musica, aprendo la strada ai Synth che oggi troviamo anche nelle band metal ( che tra l’altro oggi ne stanno pure abusando, perché se certi synth stanno alla grande nella discografia di un gruppo New Wave / Synth Pop, ci stanno un po’ meno in un album di band che si definiscono Heavy Metal, specialmente quando queste tastiere vanno a discapito delle chitarre…).
In particolare, un brano come ‘Hymn’, poi coverizzato da una miriade di band Heavy Metal (Edguy, tra i tanti) , aveva in tutto e per tutto una struttura ed ritornello che precedeva e di molto quello che molti anni dopo sarebbe stato chiamato “power metal” e mi rese facilissimo passare negli ascolti da un genere all’altro, cominciando a capire che in fondo le strutture musicali erano piuttosto simile, ma a fare la differenza erano i suoni e gli arrangiamenti che i differenti gruppi sceglievano, in base al loro background.
Malmsteen – ‘Trilogy’ (1986)
Per l’ennesima volta, scegliere il mio album preferito di questo artista sarebbe quasi impossibile (ma sceglierei ‘Odyssey’, perché tra lui e J.L.Turner credo che abbiano raggiunto veramente la summa compositiva con questo album).
Trilogy, però, credo sia un passaggio obbligato per qualunque aspirante chitarrista metal, soprattutto di quel periodo.
Una vera e propria bomba, che farà stare a casa intere generazioni di musicisti della 6 corde, cercando di imparare a risuonare quell’incredibile fiume di note, sovrapposte a brani incredibili per qualità ed esecuzione.
Morbid Angel – ‘Altairs Of Madness’ (1989)
Come per ‘Pleasure to Kill’, comprai questo album a scatola chiusa, soprattutto attirato da quel bollino rosso che dichiarava in pompa magna “a new genre is born: Death Metal”.
Beh, mai un bollino fu più veritiero: al primo ascolto in casa di un amico, appena rientrati dal negozio, venne giù letteralmente il soffitto e dovemmo riascoltarlo almeno un altro paio di volte, prima di iniziare a capirci qualcosa. Questo album mi segnò così tanto, che subito dopo, mentre già iniziavo a suonare con la mia prima band, i Morbid Vision, decisi di farmi costruire una chitarra identica a quella di Trey Azagtoth nella foto posteriore del vinile, ma di colore bianco.
A-ha – ‘Hunting High And Low’ (1985)
Eh, lo so: sembra la lista di un bipolare (anche tripolare, diciamolo), ma che ci posso fare?
Questa band rimane tutt’oggi una delle mie preferite, quanto a capacità compositiva e gusto nella scelta di melodie e arrangiamenti. Gli A-ha non solo solamente ‘Take On Me’ e non serve andare a scomodare le loro ultime release, per affermarlo. Basta ascoltare ‘The Sun Always Shines On TV’, dello stesso album, per capire che questi non facevano solo canzonette col giro di Do…
Sepultura – ‘Beneath The Remains’ (1989)
Disco monumentale di una band che ebbi la fortuna di seguire fin dal loro esordio ‘Morbid Visions’ (dal quale presi in prestito il nome per creare la mia prima band, ‘Morbid Vision’).
Se è vero che il successivo ‘Arise’ rappresenta probabilmente il loro manifesto più perfetto, ritengo ‘Beneath The Remains’ un cocktail perfetto di songrwriting, violenza e controllo della stessa (attraverso una produzione eccellente, per l’epoca e per il genere).
Ebbi modi di vederli dal vivo durante il loro tour europeo, e tutti i presenti a quel concerto stanno ancora cercando la faccia, che ci venne strappata letteralmente via, non appena attaccarono a suonare.