Metal Cinema (15) – The Lords of Salem

Il 25/04/2020, di .

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Metal Cinema (15) – The Lords of Salem

Il controverso, geniale e rivoluzionario Rob Zombie firma nel 2012 un’opera visionaria, viscerale e unica nel suo genere, che ha diviso non poco l’opinione pubblica: il cupo, insolente e ostico ‘The Lords of Salem’.
Heidi Laroque (la splendida Sheri Moon) lavora quotidianamente come DJ in una radio a Salem. La sua vita appare tranquilla, fino a quando nel suo palazzo non hanno luogo strani avvenimenti nello stesso momento in cui le viene recapitato un disco appartenente ad una band misteriosa di nome ‘I Signori’. Il brano all’interno, però, si scopre essere una musica tratta dalle note originarie di un antico spartito contenuto nel diario del reverendo Jonathan Hawthorne che aveva condannato al rogo una congrega di streghe nel XVII secolo.

Zombie dimostra di essere un autore elegante e provocatorio, e rispolvera il processo di Salem facendolo coincidere con la salita al trono e la celebrazione del ‘maligno’ attraverso un’estetica sopraffina ed ipnotica (evidenti i richiami alla fotografia vivida di Mario Bava e Dario Argento), ed in parte distaccata dalle atmosfere putride dei precedenti film. Se, infatti, da ‘La casa dei 1000 corpi’ fino ai remake carpenteriani Zombie dipinge un immaginario grezzo, amaro e hooperiano, con ‘The Lords of Salem’ sfonda una porta verso un disegno spirituale rarefatto, occulto ed accattivante, alla cui base vi è l’abbraccio della natura-contronatura. Il ritmo catatonico esalta oltremodo la discesa/ascesa della protagonista, così come la subliminale e magnetica colonna sonora di John 5 e Griffin Boyce.

Zombie dimostra di essere un autore elegante e provocatorio, e rispolvera il processo di Salem facendolo coincidere con la salita al trono e la celebrazione del “maligno” attraverso un’estetica sopraffina ed ipnotica (evidenti i richiami alla fotografia vivida di Mario Bava e Dario Argento), e in parte distaccata dalle atmosfere putride dei precedenti film.

Dunque il regista, ispirato da diversi illustri modelli (Lynch, Kubrick e Polanski su tutti), costruisce la sua opera più ambiziosa e personale. Il suo sguardo intimistico sul male e su tutto ciò che in esso dimora è compiaciuto, blasfemo, a tratti epico. La dimensione metafisica, inoltre, si fonde ambiguamente con quella psicologica, dando vita ad un universo torbido, poetico e suadente che, tra indovinate suggestioni oniriche- da antologia il trip finale di Heidi/Sheri- e le solite incursioni nel pulp (qui ridotte a pochissime sequenze, come quella del programma radio sulla band black metal), avvolge totalmente lo spettatore e ne sublima la parte oscura.

La dimensione metafisica, inoltre, si fonde ambiguamente con quella psicologica, dando vita ad un universo torbido, poetico e suadente che, tra indovinate suggestioni oniriche.

Indimenticabili almeno tre sequenze: il prologo nel XVII secolo, la ‘confessione’ e la rivelazione finale delle streghe.