Joel-Peter Witkin, il lato oscuro
Il 25/01/2020, di Elena Vecchi.
In: Vision Of Madness.
Il corpo al centro del lavoro di Joel-Peter Witkin, uno dei massimi esponenti mondiali della fotografia contemporanea: il corpo e la crisi del corpo come testimonianza incisiva della profonda crisi dell’anima, che rappresenta da anni ormai la direzione predominante dell’arte contemporanea. L’essere umano e la sua natura mortale rivisitata attraverso l’immersione totale di Witkin in quello che può definirsi “lo sguardo oltre”. Sicuramente controverso, Witkin, ha suscitato pesanti reazioni di scandalo e condanna, lasciato attoniti e disgustati spettatori inorriditi, entusiasmato critici e collezionisti, suscitato domande e dibattiti.
E’alla parte fragile dell’essere umano che Witkin comunica e di cui tratta nelle opere innumerevoli, con tutta la sua potenza descrittiva mette in luce la crudezza e verità della condizione umana. Il corpo maltrattato, problematico, deforme, violento e nascosto diviene oggetto metamorfico del “non detto”, degli aspetti censurati e negati, reclusi al “cassetto degli orrori”, di un’umanità sempre più ipocrita ed estetizzata, per assumere un ruolo mistificatorio del Divino. La morte entra indissolubilmente nella fotografia di Witkin, come entra nella vita di cui fa parte, dove l’aspetto carnale e vanifico dell’uomo viene abilmente raccontato con dovizia di particolari, senza risparmiare lo spettatore alla vista di ciò che sta “oltre”, quel lato nascosto, privato, ripugnante, sadico e crudele della natura umana. In un periodo storico dove la caducità della carne viene costantemente negata e dove la morte appare come unico male terreno da esorcizzare con ossessive ricerche di chirurgia estetica e deliri onnipotenti di controllo sull’avanzare del tempo, Witkin ci pone con violenza di fronte alla verità e ne esalta la bellezza, come a ricercare una redenzione purificatoria di fronte alla vanità superficiale ed alle bassezze umane.
Nato a Brooklin nel 1939 da madre Italiana e padre Russo, cresce a NY influenzato dalla rigida educazione dei genitori, condita da apocalittiche visioni e cultura del giudizio relativo al peccato. Ma a soli 16 anni un giovanissimo Witkin ribelle, indaga con impeto il senso del peccato, la falsità e la miseria presenti nell’uomo. Inizia così la passione per la fotografia che lo porta tutti i giorni a Cony Island, “la grande spiaggia di Brooklin”, dove si dedica esclusivamente a ritrarre i freaks del Circo stanziale. Prosegue gli studi di scultura a NY e con un master di fotografia in New Mexico.
Nelle vicende personali di Witkin, hanno sicuramente contribuito alla sua formazione psicologica alcuni accaduti del periodo infantile: nella sua biografia viene citato un grave incidente a cui assistì all’età di 6 anni, dove una bambina rimbalzata da un’auto durante uno scontro, cadde decapitata sull’asfalto. La testa della fanciulla rotolò fino ai piedi del piccolo Witkin che teso nell’atto di accarezzarla fu portato via dalla madre presente. Terzo di un parto gemellare, seppe di aver perso la sorella alla nascita, mentre con il fratello Jerome Paul Witkin, pittore, visse insieme all’amata nonna sofferente per una cancrena .
Il lavoro immenso di Witkin mette in luce l’obiettivo primario della sua ricerca artistica e formale, indagare i limiti tra vita e morte, cogliere nell’intimità dell’essere umano il “memento mori”, spingendosi verso temi che la morale culturale rifugge e giudica orrorifici. Nelle immagini di Witkin possiamo leggere infiniti riferimenti storici, filosofici e poetici, viaggiando tra il pensiero di Nietzche e Kant fino ai versi blasfemi di Baudelaire, dove la bellezza non dimentica l’aspetto viscerale della carne e la psiche soccombe alla putrefazione materica. Grande conoscitore della storia dell’arte, interpreta opere classiche e moderne attraverso la sua cruda visione, non passano inosservate le nature morte fatte con resti umani e i “tableaux vivent” ispirati ad opere di Bernini, Bosch, Botticelli, Caravaggio, Arcimboldo, Picasso, Brancusi e molti altri.
A fare da leit motiv del percorso fotografico di Witkin sono i soggetti deformi, mutilati, i reietti, i folli e i deprivati, ritratti o inseriti in scene sado-maso, sono ciò che la società rifiuta negando una possibilità di riscatto, quegli stessi che in tempi non sospetti Marilyn Manson ha fatto propri, trovando in Witkin una pesante fonte di ispirazione per i suoi video ed i suoi artwork, sull’onda dei “padri” Nine Inch Nails che nel 1994 dedicarono alle opere del fotografo il video ‘Closer’. Ma l’obiettivo dell’artista è tutt’altro che voyeristico, Witkin non rappresenta “teatrini per spettatori morbosi” ma intende gridare la potenza dell’anima celata e la forza di chi è ritratto, la trasfigurazione di mistero e miseria nella condizione di “diverso”.
Le fotografie di Witkin raccontano una dimensione “altra” sospesa in un limbo di spazio-tempo, dove non è possibile ricondurre alcunché ad un quotidiano reale, spaventoso e mostruoso, ma nello stesso istante parla allo spettatore reale e “lo trafigge” obbligandolo a fare i conti con i propri istinti, i propri pensieri sadici e masochisti, le proprie paure e miserie terrene, la propria fragilità e vulnerabilità. La fotografia stessa immortala un attimo di vita che negli istanti successivi reca in sé un aspetto che “non è più”, e osservando i tableaux vivent” di Witkin si ha l’impressione di assistere a scenari pregni, si, di materia ma al contempo antimaterici, dove vita e morte si abbracciano con crudezza e violenza palpabili.
La cura per il particolare e la personale lavorazione di ogni negativo sono state motivo di rallentamento creativo negli anni di produzione, si parla di due-tre opere per anno. I negativi non vengono mai trattati in digitale ma lavorati con tecniche pittoriche e grafiche manuali, graffiature, corrosioni, immersioni in acidi e candeggina, come fossero vecchi dagherrotipi, tecniche che aggiungono valore ai pezzi, oramai quotatissimi, dell’artista tra i 10.000 e i 50.000 dollari, cifre esorbitanti che non hanno però spaventato David Bowie e la “Serpenta” Diamanda Galas, grandi collezionisti e amanti dell’artista. Lo sguardo alla fotografia di Witkin va accompagnato dunque con una minima preparazione conoscitiva al fine di non banalizzare l’opera con un giudizio di gusto meramente macabro e voyeuristico, che potrebbe ingannare l’osservatore più superficiale e “modaiolo”. Lo stesso Witkin dichiara “Le mie opere non sono lugubri, ho rappresentato l’altro aspetto della condizione umana, il mistero e la miseria”.
Per approfondimenti: Witkin, catalogo dell’opera a cura di Germano Celant, Edizioni Charta Milano