I migliori 10 dischi degli Opeth secondo Metal Hammer Italia

Il 03/10/2019, di .

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I migliori 10 dischi degli Opeth secondo Metal Hammer Italia

La melodia è sempre stata la chiave della loro musica, dunque non è del tutto corretto parlare degli Opeth come di un gruppo dal passato esclusivamente death metal, etichetta striminzita per la prestigiosa band svedese che da sempre ha proposto elaborate composizioni di chiara matrice progressive, tecnicamente superbe e originali oltre ogni immaginazione. È alquanto ardua l’impresa di stilare una top ten dei suoi album più belli in quanto, ad esclusione del capolavoro per eccellenza ‘Blackwater Park’ che si conquista di diritto il primo posto, il resto della discografia passata e più recente degli Opeth ha sempre la costante di risvolti inaspettati, di brani unici costruiti con soluzioni geniali, difficili, e talvolta estremi. Personalmente ritengo che ogni singolo album degli Opeth porti con sé un tale bagaglio di sonorità, emozioni ed esperienze che è impossibile ignorare, compresi i dischi che non rientrano fra i 10 proposti, quali ‘Still Life’, ‘Damnation’ e ‘Watershed’. Ma il compito più difficile lo ha sicuramente la band, non di certo io che ve ne parlo. A loro spetta reggere la pressione dei fan, il perpetuo oscillare fra l’odio e l’amore del pubblico, aprirsi sempre a nuove possibilità, promuovere la cultura prog oltre ogni limite, prendendosi ogni volta l’enorme rischio di non essere compresi fino in fondo.

10. ‘In Cauda Venenum’ (2019)

Capitolo 13. ‘Il rischio è il mio mestiere’, questo deve aver pensato Åkerfeldt mentre si accingeva a comporre in Svedese questo nuovo lavoro in studio. Probabilmente determinato nel perseguire la sua vena creativa, ma conscio di ciò che avrebbe proposto sotto forma di musica, il nuovissimo full length sarebbe stato un ascolto difficile per i fan. E scegliere di seguire e rispettare le proprie esigenze artistiche e ambizioni compositive, a fronte di scrivere un album alla ‘Burden’ con un qualche sprazzo di growl qua e là, ha prevalso, fortunatamente. Stiamo parlando di integrità e capisco che è un concetto astratto che nell’ambiente musicale spesso viene a mancare drammaticamente. ‘In Cauda Venemun’ non è un disco immediato e di facile approccio – anche se esiste una versione in Inglese che potrebbe facilitare l’ascolto quanto meno riguardo le lyrics – , lontanissimo dall’essere un’operazione commerciale, articolato e complesso. Ogni ascolto genera nuove sfumature da cogliere, è una proposta che affonda le radici nel progressive italiano degli Anni ‘70, maturo e consapevole negli intenti.

9. ‘Orchid’ (1995)

Quando tutto ebbe inizio. ‘Orchid’ ha tutti gli elementi che caratterizzeranno gli Opeth dei successivi lavori: brutalità, melodia, chitarre acustiche, emotività e sentimenti sinceri. Con modalità accattivanti, il death metal melodico veniva presentato accanto al rock acustico e pulito. Ogni sua parte si combina senza mai perdere il suo sapore o il suo fascino, come spesso molti album metal sono inclini a fare. Potrebbe non essere considerato raffinato come i successivi album della band, ma non c’è dubbio che questo debutto sia uno dei più forti di tutti i tempi.’Orchid’ deve ancora essere menzionato in qualsiasi argomento tratti gli Opeth, perché la loro diversità musicale può essere fatta risalire a questo album e, Åkerfeldt e compagni, sapevano esattamente cosa stavano facendo fin dall’inizio.

8. ‘Morningrise’ (1996)

Riempire ogni spazio. Laddove la maggior parte degli artisti estremi veniva a mancare, gli Opeth riempivano gli spazi con delle sonorità vicinissime al death e vi accostava ricercate melodie e passaggi acustici che superano di gran lunga quelli del loro primo lavoro. Gli intermezzi sono diventati più profondi, ricchi di atmosfera ed emozione. L’album vanta anche alcune delle migliori composizioni di qualsiasi album metal. La produzione qui è quasi perfetta, e il mix riflette bene l’umore della musica contenuta. Tra le migliori canzoni dell’album ci sono ‘Advent’ e ‘Black Rose Immortal’, quest’ultima probabilmente segna ai tempi il più grande successo musicale degli Opeth. Epica e leggendaria, la canzone acquisisce alcuni interludi folk acustici non celati che quasi urlano tutta la loro eredità nordica. È la canzone più lunga degli Opeth, piena di numerosi segmenti distinti e due assoli piuttosto impressionanti e distruttivi. Non ultimo, ma anzi richiestissimo durante i live, ‘To Bid You Farewell’, non presenta forse uno dei riff d’introduzione più belli?

7. ‘My Arms, Your Hearse’ (1998)

Un gioiello compositivo. In termini di scrittura e struttura, ‘My Arms Your Hearse’ è uno dei dischi tenuti più in considerazione. È abbagliante, ricco di cambiamenti ritmici e atmosferici interessanti, in cui rabbia e bellezza si mescolano aggiungendo un altro strato alla trama. La violenza di ‘Demon Of The Fall’, la bellezza di ‘Credence’, l’accattivante ‘Karma’, e potremmo citarli tutti perché qui ogni brano vive di vita propria e si muove all’interno di un universo appositamente creato dagli Opeth, nel quale echeggiano fantastiche linee vocali a suggellare questo gioiello. È l’accostamento di brani dai toni molto diversi a renderlo così efficace, non l’aggressività fine a sé stessa.

6. ‘Heritage’ (2011)

L’eredità del prog. Considerato lo spartiacque per eccellenza fra i “vecchi” Opeth e la svolta complessa e ambiziosa di avvicinarsi molto a sonorità più vicine al rock progressivo di stampo Seventies, impreziosito da elementi folk e toni che lambiscono i confini del jazz. Si tratta ad ogni modo di un prog duro dove non viene mai a mancare quel sound fortemente riconoscibile della band svedese. ‘Heritage’ è da considerarsi molto più di un banale album di passaggio, è nuova linfa che illumina uno splendido paesaggio sonoro e un tessuto organico pulsante. Transizioni improvvise, la voce pulita di Åkerfeldt e la maggiore presenza di tastiere danno vita ad atmosfere che oscillano fra il languido e l’energico. Con ‘Heritage’ che si porta dietro tonnellate di critiche, la band procede spedita guardando avanti. E’ questo è il significato di progressivo.

5. ‘Deliverance’ (2002)

Senza fiato. L’album ci riporta subito alla mente la title-track, una suite di 13 minuti e 36 secondi di estasi pura che, eseguita dal vivo, non lascia respiro. È sicuramente uno di quegli album unici che solo gli Opeth sono in grado di concepire e realizzare con una tale perfezione difficilmente raggiungibile da altri. È anche considerato l’album più pesante di sempre. Fin dall’inizio della canzone di apertura dell’album, ‘Wreath’, è ben evidente che si tratta di un disco rabbioso, dove gli elementi death metal sono molto presenti con riff veloci e quello stile unico di batteria di Martin Lopez, al tempo dietro le pelli. Altro brano di grande impatto, uno di quelli che ha fatto la storia dei nostri svedesi, dalla composizione superba è ‘Master’s Apprentices’. In un clima musicale pieno di imitatori e reiterazioni infinite, gli Opeth sono un’isola a sé stante.

4. ‘Sorceress’ (2016)

L’impasto sonoro. E, arrivati a questo punto, qualcuno storcerà il naso, lo so. Fare il detrattore degli Opeth è ormai da considerarsi un mestiere, un lavoro full-time per riempire i social di teorie e critiche distruttive più che costruttive. Per fortuna nella moderna discografia escono ancora perle rare che sono un impasto sonoro perfetto di suoni strutturati e densi. ‘Sorceress’ è una scoperta continua, traccia dopo traccia. È un album suonato e composto in totale agio nella loro personale transizione prog che viaggia su due binari diversi ma convergenti. Possiede una propria identità e un forte carattere grazie alla diversificazione dei brani, ma tutto scorre senza intoppi nelle 11 tracce. Ciò è evidente e ben riassunto in ‘Era’ che, a tratti, spiazza diventando un brano lento e cupo supportato da chitarre pesanti, capace di rimescolare tutto con riff di granito.

3. ‘Ghost Reveries’ (2005)

Toni cupi. L’ottavo studio album degli Opeth arriva come una bomba sonora, abrasivo in alcuni passaggi, senza mancare di momenti di struggente romanticismo. È un disco che si permea di una rinnovata spiritualità espressa alla perfezione in brani come ‘Reverie/Harlequin Forest’. Le lyrics si tingono di nero e l’insieme dà vita a 8 brani pulsanti, pregni di misticismo e occulto. ‘Ghost Reveries’ è un viaggio che costringe l’ascoltatore a guardarsi dentro, a scendere nei meandri più profondi del proprio inconscio. La dinamica e il modo in cui si sviluppa la narrazione musicale non è solo originale e coinvolgente, ma riesce a passare dall’oscurità cupa a una tenerezza emotiva con grande e fluida modalità. Anche in questo disco la prova vocale di Åkerfeldt è ammirevole, la voce è eterea contrapposta al suo growl perfetto. ‘Ghost Reveries’ è una resa demoniaca in perfetto stile Opeth.

2. ‘Pale Communion’ (2014)

La resurrezione. Dopo averne dichiarato il decesso – la morte musicale causata dall’uscita di ‘Heritage’- , da una parte della loro fan base, la band torna in grande spolvero e presenta al mondo, o meglio regala, ‘Pale Communion’, probabilmente uno dei dischi più intensi e ispirati dei nuovi, redivivi Opeth. Se il suo predecessore è stato di fatto indicato come uno spartiacque con un’attitudine espressiva nuova, ‘Pale Communion’ è il risultato di un cammino luminescente, per certi versi straordinariamente liberatorio. Un album ricchissimo e complesso, compatto e unitario, un disco che, ascoltandolo per la trentesima volta, ti parla ancora e sempre in modo diverso, rivoluzionario per l’era moderna ma in un modo del tutto inaspettato. ‘Pale Communion’ si forgia di una ricchezza di particolari melodici, di emozioni latenti e una complessa struttura di idee, strati e intuizioni musicali da lasciarci senza fiato, nel quale si esprime una visione compositiva di gran lunga superiore alla media, un invidiabile “sense of Rock” e una profonda ricerca. E poi c’è la voce di Åkelfeldt, inconfondibile, screziata con enfasi e vibrato, scottante e glaciale al tempo stesso, in grado di governare spazi e volumi dei brani dove nei passaggi più tecnici viene rivelata, ancora una volta, l’abilità, eccezionale, dei singoli musicisti.

1. ‘Blackwater Park’ (2001)

Il capolavoro. L’esempio più chiaro di come il sublime e l’assoluta brutalità possano essere combinati in un quadro perfetto. Questo album è senza ombra di dubbio il capolavoro della band svedese e ha il grande merito di mettere al centro l’ascoltatore, permettendolo di raggiungere uno stato di grazia assoluto durante l’ascolto.
L’altissima qualità compositiva è il perno centrale intorno al quale vengono costruite stratificazioni di chitarre, esperimenti vocali e la sezione ritmica ad interagire alla perfezione. A rendere magnifico questo impasto musicale ci sono passaggi acustici ed elettrici, esplosioni furiose, toni puliti e disarmonia in lunghe suite, ognuna riccamente decorata e suonata in modo impeccabile. Album più che ricco di sfaccettature, ‘Blackwater Park’ è l’idea che mancava, il più puro dei diamanti, un tassello fondamentale nella discografia Rock e Metal e denso di brani che ancora oggi hanno un valore artistico e espressivo incommensurabile, ‘The Drapery Falls’ e la title-track ne sono fulgidi esempi.

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