Metal Cinema (9) – Suspiria
Il 04/05/2019, di Stefano Giorgianni.
In: Metal Cinema.
Suspiria contro Suspiria. Potrebbe essere questo il titolo dell’articolo. Sì, perché in un tempo in cui remake, reboot, sequel, prequel e quant’altro la fanno da padrone, ci troviamo di fronte a quest’opera ibrida, che non è il rifacimento di uno dei più famosi horror italiani e del capolavoro di Dario Argento. Certo, Luca Guadagnino – regista siciliano noto per film quali ‘A Bigger Splash’, ‘Chiamami col tuo nome’ e dell’allora discusso ‘Melissa P.’, tratto dal bestseller ‘100 colpi di spazzola prima di andare a dormire’ della conterranea Melissa Panarello – ne ha avuto di fegato, e non poco. Soltanto l’idea di confrontarsi con uno dei più grandi registi dell’orrore di tutti i tempi farebbe rabbrividire chiunque, forse anche cineasti con i piedi ben piantati nel genere. Inoltre, c’è da dire sin da subito che il parere di Dario Argento, artista non proprio favorevole a chi allunga le mani sulle sue creazioni, ha dichiarato:
“Che devo dire? Il film è stato visto, lo potete giudicare voi. È un film diverso dal mio, fatto con uno spirito diverso, nello stile raffinato, elegante e ben fatto di Luca Guadagnino che resta uno dei migliori registi europei”.
Un’opinione che salvava dunque l’arte di Guadagnino, ma non l’idea e la riuscita della pellicola. C’era poi lo scoglio del pubblico, se i giovani potevano per la maggior parte accostarsi al film in maniera abbastanza neutrale, non essendo troppo attaccati o affezionati all’originale, come avrebbe accolto questo nuovo ‘Suspiria’ chi si è spaventato e ha avuto gli incubi dopo essere stato in sala nell’oramai lontano 1977? Questo, a dir la verità, è un interrogativo che tormenterà per sempre chi avrà l’onore e la responsabilità di scontrarsi con i classici del cinema.
E se Argento ci dice che “lo possiamo giudicare noi”, be’, è quello che proviamo a fare.
Innanzitutto, c’è una caratteristica fondamentale che balza all’occhio e che si può collocare per prima nel lungo elenco di differenze fra le due versioni: il colore. Sin dalle prime sequenze, il film di Argento è un tripudio di rosso e blu, profondi e accesi, di tonalità arroganti, imprescindibili, che spiccano ancor di più dopo il restauro e l’uscita in formato blu-ray per Videa. Ed è questo, da un punto di vista puramente tecnico, che Guadagnino annienta subito nella sua rilettura. Nel ‘Suspiria’ guadagniniano il colore è soffocato, represso, quasi da azzardare l’attenuamento a tinta pastello.
In secondo luogo, le vicende della “seconda” Susie Bannion non sono da subito segnate da sangue, succederà pian piano, fino a colpo da maestro finale del regista palermitano. E anche in questo caso, quindi, viene meno una componente fondamentale dell’approccio argentiano.
Poco più su, abbiamo adoperato la parola “rilettura”. Forse sarebbe addirittura meglio parlare di “omaggio”, come l’ha definito lo stesso Guadagnino:
“Ogni film che faccio è un tuffo nei sogni della mia adolescenza, e Suspiria è precisamente il sogno adolescenziale più megalomane che abbia mai fatto. Vidi il poster quando avevo undici anni, e vidi il film a quattordici, rimasi molto colpito. Iniziai a sognare di realizzare una mia versione di quel film. Quindi per certi versi mi viene da sorridere quando sento la gente che esclama ‘come osi rifare Suspiria. È una mentalità davvero commerciale!’ Quel film mi ha reso la persona che sono oggi. Questo è il mio approccio: un omaggio all’emozione incredibile e potentissima che mi ha suscitato quando lo vidi”.
E il suo ‘Suspiria’, in effetti, un po’ megalomane lo è, prendendo il senso buono del termine. È megalomane nella durata, due ore e mezza, con un incidere lento, non privo di colpi di scena, ma privo di volontaria suspense. La leggenda delle tre madri subisce così una rielaborazione ritmica, indirizzata alla dilatazione, alla psiche, al ripercorrere la memoria.
Guadagnino, difatti, aggiunge e toglie personaggi, sposta la storia dalla Friburgo argentiana a una Berlino irriconoscibile nel 1977 (anno di uscita della pellicola originale), una città martoriata dal terrorismo e immersa nella neve, e inserisce una sottotrama parallela che si addentra nell’oscurità dell’Olocausto.
Il regista, inoltre, non perde tempo a regalare allo spettatore le solite cartoline berlinesi, punta tutto sul grigio, stesso colore della scuola di danza di Madame Blanche (qui interpretata dalla bravissima Tilda Swinton), luogo che ricorda più un bunker emerso dove alberga la morte invece che un luogo armonioso dove la musica e l’arte della danza si fondono in tributo alla vita.
Due vie differenti, dunque, due modi di intendere e rappresentare la stessa storia. E probabilmente era proprio questo che doveva essere fatto per non offendere l’originale. Guadagnino riesce a creare un affresco intricato, dai mille dettagli e dalle mille sfaccettature, capace di correre su un binario diverso dal suo predecessore, con una velocità diversa, con un modo inaspettato di rapire e carpire l’attenzione, plasmando una vera e propria opera d’autore con cui, forse, fra quarant’anni qualcuno proverà a confrontarsi per dare vita a una terza versione. D’altronde, le madri sono comunque tre.
Nota aggiuntiva: la colonna sonora del film di Guadagnino è di Thom Yorke, cantante dei Radiohead, che è andato a contrapporsi alla storica musica dei Goblin. Se un’analisi comparata delle pellicole è già ardua di per sé, quella fra le due soundtrack è ancor più ostica. Si è su due piani totalmente opposti. Vi invitiamo però ad ascoltare l’eterea, ipnotica, leggiadra ma ossessiva ‘Suspirium’, perché il lavoro fatto dal musicista britannico è davvero notevole.