Vreid, track-by-track di ‘Lifehunger’ scritto da Jarle Hvàll Kvåle in esclusiva su Metal Hammer
Il 03/09/2018, di Redazione.
In: Speciali Monografici.
Sono passati tre anni dall’ultimo ‘Sólverv’ e ora i norvegesi Vreid tornano con un nuovo full-length, questa volta sotto l’egida di Season Of Mist. Un ritorno molto atteso per gli amanti del black metal e del black ‘n’ roll, che troveranno pane per loro denti in questo profondo, riflessivo, avvolgente ma anche divertente ‘Lifehunger’. In esclusiva per i lettori di Metal Hammer il bassista e compositore della band Jarle Hvàll Kvåle ci spiega il contenuto dell’album traccia per traccia
1. ‘Flowers & Blood’
Un preludio di chitarra acustica a quell’universo musicale che è ‘Lifehunger’. Predispone l’atmosfera a ciò che viene in seguito.
2. ‘One Hundred Years’
Sono soddisfatto al 100% di questa canzone, e credo sia il pezzo più forte che io abbia mai scritto. Tutto è al posto giusto in questo brano. È un viaggio vario ed epico che riassume tutto ciò che sono i Vreid. Le parole del testo sono un omaggio al grande autore norvegese Knut Hamsun e alla sua misteriosa e magnifica vita, oltre che alla sua figura di scrittore.
3. ‘Lifehunger’
La title-track è una bestia aggressiva. È uno dei pezzi più pesanti e groovy che abbiamo mai creato. Credo sia davvero diretta e la parte degli assoli mostra la statura del nostro maestro della sei corde Strom. È un tributo al forte desiderio che ci brucia dentro e che rende la vita un lungo ed epico viaggio. Un bel vaffanculo a chiunque e a qualsiasi cosa tenti di abbattere la nostra sete. Dopotutto, la vita è assai fragile in per se stessa.
4. ‘Dead White’
Una traccia ispirata al rock classico. Penso si presenti con un’attitudine semplice, diretta, primitiva, ovvero quella che preferisco, e ritengo che in pezzi come questo sia importante far risplendere quello spirito primordiale, senza curarsi di star troppo lì a pensare, analizzare, overprodurre in qualsivoglia maniera. Per quanto riguarda il testo, parla da solo…
5. ‘Hello Darkness’
Questa canzone ha ribollito nella mia anima per diversi anni. È di sicuro una delle mie preferite dell’intero disco. È ispirata in larga parte ai lavori di Alice Cooper – uno dei miei artisti preferiti – dei primi anni Settanta. Inoltre, abbiamo avuto il piacere di avere come ospite Aðalbjörn dei Sólstafir. Possiamo riassumere questo pezzo come un cocktail di black metal, rock anni Settanta, film western, ‘Twin Peaks’ e folklore nordico.
6. ‘Black Rites In the Black Nights’
Forse il brano più oscuro dell’album, una canzone che siamo sicuri funzioni molto bene dal vivo. Ne è uscito un pezzo assai più forte di quanto ci aspettassimo in fase di songwriting. All’inizio mi ha causato qualche perplessità, ma poi tutti i pezzi del puzzle sono andati al loro posto, soprattutto grazie al grande lavoro di batteria di Steingrim. Dal punto di vista del testo ci siamo concentrati sulla caccia che non ha mai fine. La gente continua ad attaccare cose che non comprende e che li spaventa. Tentiamo di procurarci la nostra sicurezza in tutti i modi, ma la natura è spietata e avrà sempre la meglio.
7. ‘Sokrates Must Die’
Una delle canzoni più intense e aggressive che abbiamo mai scritto. Nessuna stronzata, nessun compromesso. Socrate era un personaggio incredibile, e per questo è stato ucciso.
8. ‘Heimatt’
Il disco finisce con una lunga strumentale. Abbiamo voluto dare al disco un finale emozionante. Non c’è bisogno di parole, la musica stessa racconta la storia. Questa canzone mi toccherà per sempre nel profondo, vista la sua connessione a certi eventi bui della mia vita.