Steve Sylvester – I 10 Dischi Che Mi Hanno Cambiato La Vita

Il 23/03/2018, di .

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Steve Sylvester – I 10 Dischi Che Mi Hanno Cambiato La Vita

C’è molto glam d’autore con qualche fuga, come è giusto che sia, là dove il metal di stampo esoterico ha affondato le proprie radici, nella personale top ten del leader dei Death SS Steve Sylvester dei dischi che in qualche modo ne hanno segnato la carriera. E scorrendo la lista viene facile capire dove il sound e l’immagine della mitica band tricolore abbia avuto origine. Andiamo a scoprire insieme i dieci dischi “must” del “Vampiro”.

 

1. The Sweet – ‘Sweet Fanny Adams’

 
Il secondo lavoro griffato Sweet, uscito nel 1974 sotto RCA Records, è il disco della svolta per Brian Connolly e soci. Dopo un esordio dalle chiare tinte pop rock, con questo lavoro la band cambia decisamente direzione andando ad abbracciare un sound maggiormente orientato verso l’hard rock. Significativo in questo senso il fatto che, negli anni a venire, molte band di estrazione metal e hard rock, dai Saxon agli Heaten, dagli Stryper a Vince Neil pescheranno a piene mani da questo lavoro per realizzare personalissime cover. E una scelta premiata anche dai pubblico tanto che il disco arriverà al numero 27 delle classifiche britanniche e al numero 2 di quelle tedesche.

 

2. Slade – ‘In Flame’

 
Tra i gruppi di riferimento per tutti gli amanti del glam rock settantiano, gli Slade realizzano nel 1974 il loro quinto studio album, lavoro nato quale soundtrack per l’omonimo film. Un disco uscito sotto Polydor in Europa e Warner negli States e prodotto da Chas Chandler, alle prese con un sound volutamente rivolto agli anni ’60 essendo il film di riferimento ambientato nel 1966, trascinato da singoli di successo come ‘Far Far Away’ capace di raggiungere la posizione numero 2 delle classifiche britanniche, e ‘How Does It Feel’ giunto sino in 15^ posizione. Un disco le cui vendite non riuscirono a eguagliare quelle dei primi lavori della band, ma nonostante questo arrivò a conquistare il disco d’oro nel 1975.

 

3. Sparks – ‘Kimono My house’

 
Pescando nella discografia della rock band americana Sparks, dal cilindro quello che è da molti considerato il disco della svolta commerciale, ‘Kimono My House’, terza fatica discografica uscista nel maggio del 1974. Musicalmente il disco lascia emergere la vena pop della band, senza però perdere di vista quel glam rock che all’epoca spopolava in classifica. Una scelta che premia la band dei fratelli Mael grazie ad una manciata di singoli di successo, da ‘This Town Ain’t Big Enough for Both of Us’ (al secondo posto nelle chart britanniche) a ‘Amateur Hour’, che trascinano il disco sino alla posizione numero 4 delle UK Chart con certificazione d’oro nel settembre 1974.

 

4. Black Widow – ‘Sacrifice’

 
Non possono certo mancare i Black Widow con il loro ‘Sacrifice’ nella personale top ten di Steve Sylvester, già solo per lo splendido tributo reso loro dai Death SS con la cover della celebre ‘Come To The Sabbat’. Una canzone che ben racchiude l’essenza stessa di ‘Sacrifice’ e dei Black Widow in generale, con il suo mix di hard e folk dalla spiccata matrice esoterica e le sue liriche di stampo satanico. Un lavoro oscuro, all’epoca (correva l’anno 1970) venne accolto come uno dei migliori esordi discografici di quegli anni, con la posizione numero 32 delle classifiche britanniche conquistate e un posto sul palco nel mitico festival all’Isola di Wight, una premessa però presto disattesa tanto che il gruppo, già dal successore di ‘Sacrifice’, intraprese un rapido declino.

 

5. T.Rex – ‘Tanx’

 
Album numero otto per Marc Bolan e i suoi T-Rex, che con questo lavoro uscito il 28 gennaio del 1973 sotto l’egida della EMI imprime al sound della sua band un deciso colpo di coda verso lidi non ancora sperimentati sino a quel momento. Uscito sull’onda del grande successo riscosso dal precedente ‘The Slider’, ‘Tanx’ vede la band allontanarsi in parte da quel glam rock che ne aveva decretato originariamente il successo, per strizzare l’occhio a sonorità a stelle e strisce, inserendo strumenti insoliti per i T-Rex e adottando in alcune canzoni una seconda voce femminile. Un disco insolitamente riflessivo, intimo per alcuni versi, all’epoca accolto con non poche perplessità da pubblico e critica nonostante il terzo posto in classifica raggiunto in patria, a bilanciare quella posizione numero 102 toccata negli State a rasentarne il flop.

 

6. Black Sabbath – ‘Master Of Reality’

 
Immancabili i Black Sabbath nella personale classifica del “Vampiro”, che qui trovano spazio con la loro quarta fatica discografica, quel ‘Master Of Reality’ uscito nel luglio del 1971 per Vertigo e capace, ad oggi, di sfondare quota 5 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Considerato all’unanimità uno dei migliori lavori della band britannica, ha il merito di gettare il seme per quella che, negli anni a venire, diventerà la scena doom, stoner e sludge. Questo grazie ad un sound decisamente più cupo, lento e pesante rispetto ai due lavori precedenti, che ben si riflette in brani divenuti capisaldi della band di Tony Iommi, dalla anti-militarista ‘Children Of The Grave’ ad ‘Into The Void’ sino alla celebre ‘Sweet Leaf’.

 

7. Uriah Heep – ‘Very Heavy, Very Humble’

 
Con ‘Very ‘eavy, very ‘umble’, il 13 giugno 1970 gli Uriah Heep si affacciano per la prima volta sul mercato discografico. E lo fanno con un lavoro che detta le coordinate di quello che sarà il classico sound della band britannica, tra riff di estrazione hard rock e divagazioni di natura psichedelica, il tutto arricchito dalla voce evocativa di David Byron. Un disco che, all’epoca, fu accolto con grande scetticismo dalla critica (tristemente celebre l’uscita della giornalista Melissa Mills che, sulle pagine di Rolling Stone, afferma “se questo gruppo ce la farà io dovrò suicidarmi…”). Una profezia fallace, perchè se gli Uriah Heep forse non arriveranno mai a raccogliere quanto meritato, hanno dalla loro il merito di aver dato alla luce un lavoro multiforme nel quale blues, jazz, rock, progressive e psichedelia si rincorrono con una certa naturalezza. E poi quella ‘Gypsy’ posta in apertura e destinata a diventare canzone simbolo negli anni a venire.

 

8. High Tide – ‘Sea Shanties’

 
Ancora un’opera prima nella personale selezione di Mr. Steve Sylvester. Questa volta tocca ai britannici High Tide che nel 1969 esordirono con questo ‘Sea Shanties’, uno dei primi album rock nei quali fa capolino uno strumento allora insolito a queste latitudini come il violino. Un album che lascia intravedere sprazzi di quello che diventerà il prog metal, in costante bilico tra eleganza e drammaticità. Splendida la strumentale ‘Death Warmed Up’, nove minuti nei quali viene concentrato il concetto di musica secondo gli High Tide, ma degne di menzione anche la magniloquente ‘Futilist’s Lament’ e la conclusiva ‘Nowhere’.

 

9. Atomic Rooster – ‘Death Walks Behind You’

 
Gli anni Settanta regalano al mondo dell’hard’n’heavy un’altra gemma come questo ‘Death Walks Behind You’, secondo capitolo discografico a firma Atomic Rooster. Un disco splendido,che a tratti riporta alla mente i migliori Black Sabbath, in grado di contribuire a gettare le basi per quello che diventerà l’heavy metal, sia per il suo sound granitico, sia per le sue tematiche di natura esoterica. Un disco inquietante, tetro, nel quale un ruolo fondamentale viene giocato dall’hammond di Vincent Crane. Da citare, oltre alla splendida title track, il singolo ‘Tomorrow Night’, capace di raggiungere la posizione numero 11 delle classifiche britanniche, nonché la meravigliosa cover affidata ad un dipinto di William Blake.

 

10. Angel – ‘Angel’

 
Esordiscono nel 1975 gli Angel di quel Gregg Giuffria che, negli anni Ottanta, avrebbe riscosso un buon successo alla guida degli House Of Lords. E lo fanno con un album omonimo giocato su un pomp rock elegante, canzoni fresche, nelle quali la melodia non è mai fine a sè stessa e ben si sposa con passaggi maggiormente votati all’hard rock come ben rappresentato dall’opener ‘Tower’ e dalla radiofonica ‘Rock & Rollers’, ma degne di menzione sono anche la ballata ‘Mariner’ e la pomposa ‘Sunday Morning’, nelle quali emerge limpida la classe di Giuffria. Un ottimo debutto che da li a un anno verrà bissato dall’eccellente ‘Helluva band’

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