Warrel Dane – In Memory Of
Il 18/12/2017, di Andrea Schwarz.
In: Speciali Monografici.
Giornata nefasta, tremendamente e maledettamente tragica il 13 dicembre 2017. Esattamente come sedici anni fa quando il destino si portò via il talentuoso Chuck Schuldiner, adesso purtroppo è la volta di Warrel Dane, stroncato a quanto pare da un infarto lasciando nello sgomento amici, familiari e tutti coloro che ne hanno potuto apprezzare la sua eclettica e talentuosa arte. A volte sembra proprio strano il fato, incredibilmente volatile ed inafferrabile ma che sembra essere tangibile quando questi fatti luttuosi toccano le corde dell’anima di chi, come un amico lontano, ha potuto gioire, emozionarsi ed addirittura piangere grazie alla sua voce nei Sanctuary prima e nei Nevermore poi. E ora questi due musicisti immensi che in vita hanno raccolto meno di quanto avrebbero meritato (chissà come mai succede spesso, frutto dei nostri limiti umani forse) sono indissolubilmente legati dalla morte, da un trapasso improvviso quanto inaspettato. E potranno così condividere anche nell’altra dimensione una passione che li accomunava: collezionare memorabilia dei Kiss. Entrambi personaggi fuori dal comune, musicisti che a vederli da fuori davano l’impressione di essere supponenti e saccenti…quando le apparenze ingannano, nella realtà dei fatti invece erano due persone (prima che musicisti) cordiali, disponibili, affabili. E non è leggenda. Storie di vita vissuta da chi ha avuto la fortuna di incrociare musicisti eccezionali come pochi se ne vedono oggigiorno. Il mio ‘primo incontro’ con Warrel Dane risale a ormai più di venticinque anni fa, un giorno in cui un carissimo amico mi prestò materiale audio variegato ed interessante appena uscito (o da poco comunque) tra i quali spiccava il secondo album dei Sanctuary, quel ‘Into The Mirror Black’ uscito il 27/02/1990 dopo la pubblicazione nel 1987 del primo album ‘Refuge Denied’ prodotto da un altro musicista ‘semisconosciuto’ come Dave Mustaine che nella band di Warrel Dane &Co. aveva visto giusto. Certo la produzione non era propriamente di livello eccelso ma il particolare songwriting che ne avrebbe caratterizzato la produzione era qualcosa di palpabile, una vera manna per ogni metalhead che si rispetti. La voce di Dane riusciva a raggiungere un’estensione notevole così come la grande espressività contenuta nelle liriche da lui stesso scritte ed espressa in cantati ispirati è sempre stato un marchio di fabbrica inconfondibile, un qualcosa che ha accompagnato tutta la carriera di questo strepitoso singer, nonché fine scrittore di testi, che andavano a toccare una moltitudine di tematiche, non da ultimo molte vicende legate alla sua vita privata. Non si fa fatica a considerarlo quasi come un poeta il buon Warrel, grazie ai suoi testi riusciva a toccare le corde dell’anima dell’ascoltatore mettendosi a nudo in maniera disarmante come avviene ad esempio nel brano ‘Brother’ del suo album solista del 2008. Quando la musica incontra la poesia. Poi fu la volta nel 1990 del capolavoro, quel ‘Into The Mirror Black’ che mischiava un po’ le carte essendo un perfetto connubio tra sonorità thrash e progressive che donava al risultato finale maggiore varietà ed appeal rispetto al precedente debutto, produzione tremendamente migliorata e lyrics ancora una volta rimarchevoli. Purtroppo, come nella vita quotidiana di ognuno di noi, le cose belle hanno vita breve ed ecco che dopo ‘Into The Mirror Black’ la band di fatto si scioglie per dissidi interni non rovinando però i rapporti tra Sheppard e Dane stesso che andranno a formare i seminali Nevermore il cui primo omonimo album risale al 1995, la naturale evoluzione di quanto già espresso precedentemente come Sanctuary ma centuplicato, un thrash d’autore e personale mischiato con venature progressive che ne fanno una delle bands maggiormente significative del panorama metal di fine anni novanta / primi anni duemila. La cosa curiosa è che il duo Dane / Sheppard mentre si ‘diletta’ nel mondo musicale, nel mondo per così dire reale possedevano un ristorante nella loro città natia, Seattle. Curioso pensare a Dane preso tra i fornelli mentre magari nella propria testa frullavano e venivano elaborati i testi di quelle che saranno diventate poi canzoni come ‘Next In Line’ piuttosto che ‘The Lotus Eaters’ giusto per citare due brani a caso tra i tanti scritti in carriera vissuta da vagabondo come recitava in ‘I Voyager’, un viaggiatore sui generis per un testo ermetico e profondo che vi invito ad analizzare. Con i Nevermore la personalità del buon Dane poteva sdoppiarsi come amava sottolineare anche egli stesso quando gli veniva chiesto “Naturalmente on stage sale l’alter ego di me stesso, l’ho imparato dopo molti anni che è necessario adattare e cambiare la mia personalità giusto per poter rapportarmi al meglio con lo stress e tutto ciò che è correlato con lo stare su un palcoscenico. Cambio proprio personalità, trovo che sia necessario mettendo in luce il lato creativo della mia persona. Aggressivo on stage quanto pacato quando sono a casa, mi piace starmene seduto sul divano con il mio gatto”…chi lo avrebbe mai detto? Un musicista che in occasione della pubblicazione del terzo capitolo dei ‘rifondati’ Sanctuary ormai nel lontano 2014 (‘The Year The Sun Died’) diceva ai nostri microfoni che “Questo disco rappresenta la colonna sonora ideale di un grigio giorno di pioggia, quando ti è necessario il conforto di qualcosa di profondo. Questa non deve essere considerata come la più classica delle reunion, ma la nuova dimensione di una band che possiede idee innovative che intendono mantenere una certa contemporaneità. Più che di reunion parlerei quindi di reinvenzione dei Sanctuary. Non vogliamo essere il classico pezzo da museo che interessa solo ai feticisti di un’epoca passata.” In quell’occasione, ancora una volta, la personalità del disco è palese fin dai primi ascolti alla quale fa da collante uno spessore nella stesura dei testi disarmante sempre curati da Dane “Il giorno in cui il sole morirà saremo tutti passati a miglior vita. È logica ragazzi, non ci possiamo fare nulla: un giorno o l’altro questo mondo finirà. Ho creato un personaggio, una specie di profeta del destino, che predica la fine del mondo. Si tratta di una figura mistica che sviluppa attorno a sé un vero e proprio culto, riscuotendo un certo successo tra la gente, pronta ad incontrare la propria morte quando il sole si spegnerà! Ci sono altri argomenti, sempre a carattere decadente, che vengono esplorati nel corso del disco: ad esempio, ‘The World Is Wired’ tratta della nostra completa dipendenza dalla tecnologia. Ormai ciascuno di noi è schiavo di laptop e smartphones, tanto che considero questi mezzi una specie di droga di nuova generazione che agisce a livello subliminale sulle nostre coscienze. Prova a farci caso: perché i bambini, specialmente quelli più piccoli, sono così avvezzi alle tecnologie più recenti? Perché la loro mente è vergine e permeabile ed i mostri che si celano dietro la tecnologia insinuano il seme dello sfruttamento in loro. Nel futuro saremo tutti schedati, mediante codice a barre tatuato sul collo, e finiremo dritti all’inferno, ah ah” Risposte e affermazioni che mettono in risalto lo spessore umano prima ancora che la genialità del songwriter di prima classe. Anche la sua passione cinefila per generi quali la fantascienza e l’horror hanno contribuito a creare quei testi e musiche darkeggianti e futuristici al tempo stesso, sempre proiettato verso il prossimo traguardo e spostando da sé la tentazione di produrre dischi sempre uguali avendo trovato la cosiddetta formula magica. Ma non era persona che si accontentava il buon Dane come accadeva per il già citato Chuck Schuldiner passando di essere invece dittatori in cerca di gloria personale, era solo la voglia di riuscire ad ottenere il meglio non solo da se stessi ma anche dai musicisti che li circondavano. E proprio riprendendo la sua passione per la cucina, un amore che è stato per tanti anni un lavoro diceva “Ogni volta che sono al telefono con voi italiani mi viene fame, rappresentate con onore la terra della cultura culinaria e ti posso assicurare che, dopo la musica, è proprio la vostra cucina la mia più grande passione. Sono ormai diventato un maestro della carbonara, dell’arrabbiata e dell’amatriciana!” Fa un certo effetto rileggere quest’oggi queste parole pronunciate tre anni fa, un destino beffardo lo ha strappato improvvisamente senza possibilità di replica, senza appello alcuno. Anzi, lasciando attoniti e basiti, quasi tramortiti. Se oggigiorno la notorietà di una persona la si misura (miseramente) in base alla propria presenza sui social media bisogna ammettere che probabilmente le parole Chuck e Warrel sono state certamente le più cliccate, almeno tra la cosiddetta ‘popolazione metal’. Peccato che il più delle volte si apprezzi qualcosa quando quel qualcosa non ci sia più. Ancora una volta, peccato. L’unica consolazione e dovere di ogni metalhead rimane quella di continuare ad ascoltare quanto questi due musicisti monstre sono stati in grado di produrre, senza nostalgia ma con quel rispetto che si deve a chi ha tracciato una strada pensando che adesso, entrambi, si staranno prendendo gioco di noi imbracciando chitarra e microfono per un duetto celestiale disturbando con volumi improponibili angeli e demoni. Non lasciamoci scappare l’occasione di omaggiare due autentici giganti anche quando l’onda emotiva della morte di Warrel avrà esaurito la sua naturale evoluzione…Nevermore, Sanctuary….che non siano solo parte del personale scrigno dei ricordi ma ‘materia viva’ omaggiando così nel migliore dei modi Warrel Dane. Ciao Warrel, le note di ‘I, Voyager’ risuonano nell’aria, grazie per le emozioni che hai saputo donare con la tua musica, grazie per aver composto testi profondi che in qualche modo hanno fatto riflettere obbligandoci a metterci in gioco, a rimetterci in discussione. Semplicemente, grazie. Buon viaggio.