Progspective (6) – Neal Morse
Il 25/08/2017, di Andrea Schwarz.
In: ProgSpective.
La storia dell’arte sia essa pittorica, fotografica o musicale ha sempre avuto le sue icone. In qualsiasi epoca c’è stato quell’artista che più di ogni altro/a ha saputo rappresentare quel movimento incarnandone le caratteristiche fondamentali. Senza divagare troppo rimanendo in tema con lo spirito della testata vengono in mente musicisti come Hendrix, Lemmy, Bowie e tantissimi altri se ne potrebbero aggiungere quasi a comporre una lista infinita. Fortunatamente di icone musicali se ne può parlare anche al presente poiché artisti di tale spessore e caratura sono tutt’ora vivi e vegeti. Ogni genere ha le sue, andando a focalizzarci su un genere particolare come il prog rock non possiamo esimerci dal considerare tale Neal Morse, artista californiano che in varie forme nella sua carriera ha prodotto qualcosa come una trentina di albums. E con ognuno dei quali ha saputo comporre musica per il cuore e per la mente, un connubio così forte con il quale ha legato insieme con un invisibile filo rosso una carriera encomiabile. Neal Morse, fin da ragazzino, sognava per sé stesso una carriera da musicista avendo avuto al proprio fianco un modello come il padre essendo direttore del coro nel suo paese natio. Ma chiaramente la strada che lo avrebbe portato a tale risultato non era semplice, per lui come per tutti coloro che intraprendono quella strada il percorso si è sempre stato irto e pieno di difficoltà imbarcandosi addirittura come session man per varie bands dall’altra parte del mondo, nella cara vecchia Europa. Ma questo suo girovagare lo ha rafforzato, ha fatto crescere in lui la voglia di fare il musicista di professione. Appena tornato in Patria forma insieme a suo fratello Alan il gruppo che più di ogni altra formazione lo farà conoscere al grande pubblico: gli Spock’s Beard nei quali fin da subito si distingue per il sopraffino songwriting occupandosi anche di tutte le parti vocali soliste nonché di piano e tastiere. Fin dal primo album il sound della band si contraddistingue grazie ad un progressive rock impregnato di quel carisma ed ispirazione che aveva accompagnato il movimento prog nei suoi gloriosi anni settanta fondato su breaks e complesse composizioni incastonate su tortuose quanto audaci ed elaborate partiture strumentali che dilatavano musicalmente i brani in surreali climax sonori. Per Neal Morse e gli Spock’s Beard riuscire a comporre canzoni con una forte melodia accompagnata da arrangiamenti intricati ed una superba padronanza strumentale era cosa semplice. Fin dai primi due albums ‘The Light’ e ‘Beware Of Darkness’, grazie alla loro intrinseca qualità musicale, hanno portato una scossa d’energia tra i fans del progressive rock. Ad esempio ‘The Light’ è un album di debutto che mostra un gruppo pienamente maturo, conscio del proprio talento prodigandosi in brani molto lunghi (tre delle quattro canzoni qui presenti hanno un minutaggio oltre i dodici minuti) senza intaccare la qualità, senza un momento di flessione come potrebbe essere normale vista la lunghezza dei pezzi alternando particolari prog ad altri maggiormente symphonic rock con reminiscenze di grandi ensemble come Gentle Giant, Kansas, Pink Floyd, Genesis e Yes, buonissime partiture vocali dotate di un grande senso della melodia. Insomma, un album che ogni amante del prog rock faticherebbe a non amare così come la restante parte della discografia marchiata Spock’s Beard. In tutto questo grande fermento Neal Morse nel 2000 pubblica il primo album della superband Transatlantic insieme a musicisti del calibro di Mike Portnoy (all’epoca stabilmente nei Dream Theater), Roine Stolt (Flower King) e Pete Trewavas (Marillion). Anche qui lo stile e l’influenza del musicista statunitense saltano subito all’orecchio fin dalle prime note del primo album intitolato ‘SMTP’ che non è niente altro che l’aver messo insieme le iniziali dei loro cognomi, un album di quasi ottanta minuti dove inizialmente Jim Matheos avrebbe dovuto partecipare rimpiazzato appunto da Roine Stolt. E’ una superband ma a differenza di altre realtà simili, qui il talento e la maestria nell’usare i propri strumenti è a livelli stratosferici, è un disco prog rock che vede influenze di bands quali King Crimson, Steely Dan, Jethro Tull, Electric Light Orchestra…la penna di Neal Morse (tanto quanto quella di Roine Stolt) è evidente sin dalle prime note così come la sua caratteristica voce. Fino al 2014 come Transatlantic Neal Morse ha pubblicato altri tre LP con caratteristiche sonore che non si differenziano rispetto a questo debut continuando a portare avanti anche la propria carriera solista. Quello che Neal Morse stava cercando fin da ragazzino, quel suo sogno di poter fare il musicista professionista, si era finalmente avverato ma forse nel proprio intimo c’era ancora qualcosa che mancava per completare il puzzle, un’irrequietezza interiore che è sfociata nella conversione al cristianesimo che nella sua vita artistica è stata una scossa tellurica. Il suo cammino è stato graduale anche se del tutto inatteso, sempre più chiaramente in lui si faceva strada la convinzione che avrebbe dovuto seguire il suo cuore abbracciando la Fede cristiana anche se questo poteva essere in contrasto con la sua carriera. Questa crescente tensione spirituale è sfociata nella realizzazione con Spock’s Beard dell’album ‘Snow’ nel 2002, praticamente un’opera rock di ben due CD e quasi interamente composto dallo stesso Morse. Ma era anche la fine di un’era: dopo questa release il talentuoso artista americano decise di lasciare gli Spock’s Beard, un abito che non sentiva più suo nonostante avesse prodotto un LP dove con un semplice battito d’occhi si è trasportati nel pieno prog rock dei 70’s, Genesis ed ELP sono due riferimenti stilistici chiari ma senza esserne una mera copia, anzi. Qui si è riusciti a produrre un misto di stratificate tastiere e robuste chitarre unite ad un gentile tocco in ogni composizione, è la storia di un ragazzo che si trasforma in un dio del rock. Forse migliore rappresentazione autobiografica non poteva esserci. E non finisce qui poiché a farne le spese sono anche i Transatlantic che Morse lascia (momentaneamente) completando quindi la trasformazione. A discapito di un successo ormai consolidato e sognato, Morse ricomincia da capo: musicalmente, emozionalmente e spiritualmente imbarcandosi verso il più ambizioso progetto musicale della sua carriera: intitolato ‘Testimony’ nel 2003, ci si imbatte in un cd che è la trasposizione in musica e parole della propria carriera, troviamo momenti caratterizzati da cori gospel fino all’hard rock passando per intermezzi pop contemporaneo e partiture di un’orchestra sinfonica. Un viaggio musicale sapientemente intessuto, affascinante ed unico come il musicista che lo ha creato, artisticamente ‘Testimony’ fu un notevole risultato solista con il nostro Neal non solo impegnato nella scrittura dei brani ma anche nel suo arrangiamento e produzione suonando per di più la maggior parte degli strumenti. Rimarcabile nella sua carriera solista troviamo altri dischi sublimi come ‘One’ (2004) e ‘Testimony Part II’ (2011), segno della sua inesauribile vena creativa. Mai con le mani in mano, oltre ai riformati Transatlantic con i quali torna nel 2009 con ‘The Whirlwind’, Neal Morse è riuscito a prodigarsi in un altro progetto/band quali i Flying Colors con il fido Mike Portnoy alla batteria, un ‘certo’ Steve Morse alla chitarra, Dave LaRue al basso e Casey McPherson realizzando due magnifici albums (l’omonimo del 2012 e ‘Second Nature’ nel 2014) caratterizzati da un sound dalle ariose melodie pop grazie a musicisti che sono riusciti a rendere semplici anche le partiture più complesse. Gli anni 2015 e 2016 sono stati caratterizzati da un’altra versione dell’estro di questo eclettico musicista: la Neal Morse Band insieme a Randy George al basso, Mike Portnoy alla batteria, Eric Gillette alla chitarra e Bill Hubauer alle tastiere. ‘The Grand Experiment’ del 2015 e ‘The Similitude Of A Dream’ dello scorso anno sono due grandi dischi che vedono il nostro funambolico musicista produrre del prog rock di grande classe, partiture strumentali degne del miglior prog rock, parti vocali ispirate e mai banali, probabilmente il miglior Neal Morse che si sia potuto ascoltare negli ultimi anni. Difficile dire quale di tutte queste produzioni sia la migliore o la più rappresentativa della carriera del polistrumentista statunitense ma un manifesto fecondo ed esaustivo di una personalità che, conversione religiosa a parte, ha sempre fatto della ricerca musicale il proprio credo deliziando i palati di tutti coloro che hanno nel prog rock il proprio territorio musicale preferito. Un autentico genio, un’icona come poche al giorno d’oggi che ha bisogno solo di un pò di curiosità per essere scoperto e non amato perché quello verrà da solo fin dai primi ascolti della sua immensa discografia.