ProgSpective (5) – Vanden Plas
Il 01/08/2017, di Andrea Schwarz.
In: ProgSpective.
In tutti i generi musicali come in qualsiasi forma d’arte ci sono artisti che nel loro percorso artistico raccolgono molto meno rispetto a quanto seminato. A volte questo status gli viene tributato a posteriori, dopo lo scioglimento della band o la morte di quel cantante/artista. Fortunatamente non ci troviamo nel nostro caso in una delle ultime due casistiche ma vorremmo comunque parlarvi di un gruppo che ha dato tanto alla scena musicale in termini qualitativi ma ha probabilmente pagato lo scotto di ‘uscire allo scoperto’ nel momento sbagliato vivendo gli inizi della carriera oscurati all’ombra dei Dream Theater. E non è cosa da poco, tutt’altro. Ma questa difficoltà ha in un certo senso obbligato il quintetto di Kaiserslautern (Germania) a trovare una strada propria, un percorso che potesse differenziarli in un affollatissimo panorama prog metal che ha visto proliferare tante belle proposte ma anche tantissime band clone del ‘Teatro del Sogno’. I membri che compongono la band non sono affatto musicisti sprovveduti poiché prima ancora di fondare la band hanno partecipato a musical come The Rocky Horror Show, Evita, Jesus Christ Superstar giusto per citare alcuni titoli anche se la loro prima esperienza insieme come band fu la composizione e la registrazione nel lontano 1991 dell’inno della locale squadra di calcio intitolato ‘Keep On Runniing’. Chi scommetterebbe che cinque musicisti di siffatta fattura potessero incrociare le proprie strade per un semplice inno di una squadra di calcio? Curioso incontro che li ha portati parecchi anni dopo ad incidere il loro primo full lenght album, precisamente nel 1994 con ‘Colour Temple’. E fin dalle prime note di quell’album ricordo perfettamente lo stupore nel trovarsi di fronte una manciata di canzoni incise con una produzione sopra le righe, pulita ed allo stesso tempo in grado di far emergere tutta l’energia e la maestosità del loro tipico sound con il quale li abbiamo potuti apprezzare fino ad oggi, con quella vena ispirata e quasi adolescenziale che oggi non fa più parte del loro trademark. Semplicemente perchè come musicisti sono maturati ma questo è un altro discorso….torniamo quindi al loro debut album con quel sound leggermente eighties e quel particolare stile vocale di Andy Kuntz, un cantante dalla voce leggermente nasale ma in grado di avere una potenza vocale davvero particolare. Al suo interno possiamo trovare autentici classici della loro discografia come l’iniziale ‘Father’ che dopo un inizio classicheggiante sfocia in un possente drumming ed un guitar riff veramente assassino seguita dall’altrettanto energica ed heavy ‘Push’ contornata da alcuni eccellenti guitars solos di Andreas Lill, poco più di quattro minuti lanciati a folle velocità che ammaliano fin dal primo ascolto. Altri brani degni di nota certamente l’altra rockeggiante ‘Judas’ e ‘Back To Me’ che in taluni casi riflette l’influenza di un’altra band tedesca che in campo hard rock ha scritto pagine indelebili: Scorpions. Il quintetto teutonico dimostra una grandissima padronanza esecutiva e di songwriting a tal punto che si fatica a pensare di trovarsi di fronte ad un debut album, la vena maggiormente power piuttosto che prog la fa ancora da padrone ma la loro stella brilla fin dalle prime note di un eccellente disco che a distanza di ventitré anni non dimostra affatto il passare del tempo. Ma ‘Colour Temple’ è stato solo un antipasto del grande talento di cui i Vanden Plas sono ‘portatori sani’ per arrivare tre anni dopo a pubblicare un autentico masterpiece, un disco che li fece definitivamente brillare nel firmamento prog metal: quel ‘The God Thong’ che li consacrò come splendida realtà e non solo come una semplice promessa a dimostrazione di quanto l’etichetta di allora, Inside Out, avesse visto lungo nel mettere sotto contratto un ensemble che di esotico non aveva nulla arrivando dalle fredde terre teutoniche ma che dalla propria disponeva di una capacità compositiva che aveva pochi eguali. L’amalgama tra i vari strumenti e musicisti ha qualcosa di incredibile, la produzione continua ad essere eccelsa mettendo in risalto ogni singolo particolare come in un perfetto puzzle. Tanti i brani degni di nota, nessuna ballad ma molte parti melliflue incastonate in brani dove non è stato lesinato alcuno sforzo compositivo / esecutivo, i Vanden Plas riescono a differenziarsi dal prog barocco dei Symphony X e dalle contaminazioni power-prog degli Angra che in quegli anni erano sulla cresta dell’onda (contestualizzare gli eventi è sempre fondamentale….) grazie all’estro di Gunter Werno il quale con le sue tastiere è in grado di donare profondità ai brani ‘colorandoli’ di mille diverse sfumature, il vero valore aggiunto tanto è vero che prestò il proprio talento ad altre bands come Elegy, Kamelot, DC Cooper dei Royal Hunt nel suo bellissimo (ed unico ad oggi) album solista…quante perle da (ri)scoprire. Fu un trampolino per il quintetto di Kaiserslautern non indifferente, maggiore rispetto al debut album poiché riuscirono tra la fine del 1997 e l’inizio del 1998 ad imbarcarsi in un tour europeo di una quarantina di date, supporting band dei Dream Theater nel tour di supporto a ‘Falling Into Infinity’. Probabilmente i Vanden Plas hanno raggiunto un livello di popolarità che forse non hanno più conosciuto, la Francia è un Paese che tributa i maggiori onori fino alla pubblicazione nel settembre 1999 di ‘Far Off Grace’ sotto l’egida di Dennis Ward (Pink Cream 69), un disco che presenta un inspessimento del sound, ora molto più compatto ed aggressivo rispetto a quanto non fossero stati in grado di comporre pur mantenendo intatto il proprio trademark : ‘Ionic Rain’ è un brano esemplare, cambi di tempo, stop and go, parti tirate dove le chitarre di Stephan Lill giocano con il possente drumming del fratello, Andreas. Un’altro tassello essenziale nella discografia dei Vanden Plas è rappresentato da ‘Beyond Daylight’ pubblicato nel 2002, un altro disco che ogni amante del prog metal non farà fatica ad amare fin dalle prime note. Sugli stessi standard qualitativi ai quali il quintetto ci ha abituati, le composizioni sono sempre solide, catchy ed arrangiate egregiamente in un sapiente mix fatto di puntate heavy dal fortissimo flavour proggy come avviene fin dall’iniziale ‘Nightwalker’, oltre sette minuti di delizia sonora. La voce di Andy Kuntz migliora disco dopo disco, riesce ad essere soft e delicata così come potente ed oscura adattandosi perfettamente ai vari mood che di volta in volta la band propone. Non contenti di quanto siano riusciti a produrre in una carriera assolutamente di altissimo livello, è la volta di cimentarsi in un concept album basato sulle vicende del Conte di Montecristo di Alexandre Dumas, un album maggiormente darkeggiante ma al tempo stesso affascinante dall’inizio alla fine. Le tastiere di Gunter Werno ‘disegnano’ alcuni soli dei quali non ci si stufa mai di ascoltare pur rimanendo secondari alla loro funzione primaria che è e rimane quella di creare atmosfere dark e misteriose come il personaggio della storia richiede, ‘Silently’ è una semi-ballad che solo i Vanden Plas sarebbero stati in grado di comporre nella sua brillantezza, originalissimo è il rimarcabile lavoro della chitarra di Stephan Lill così come assolutamente fantastica è l’epica ‘January Sun’ che rappresenta uno dei migliori episodi dell’album se non addirittura della propria carriera. Come non rimanere ammaliati dalla costante melodia e dal refrain catchy che accompagna il brano? Imperdibile. Ormai rodatissimi da questo momento in poi non hanno smesso di cimentarsi in concept albums, ‘The Seraphic Clockworks’ del 2010 (un continuo contrasto tra parti darkeggianti ed altre ‘luminose’ come avviene particolarmente in ‘Sound Of Blood’) fino ai due ‘Chronicles Of The Immortal: Netherworld’, una mostruosa opera in due parti in collaborazione con lo scrittore fantasy Wolfgang Hohlbein che portarono la band di Kaiserslautern a rappresentarle anche on stage sotto forma di rock opera per una piccola serie di selezionate esibizioni in alcuni teatri in Germania. Le caratteristiche qualitative nonché compositive sono ormai note, sarebbe superfluo esagerare nella descrizione di questo o quel disco/brano perché quello che caratterizza la loro discografia a partire da ‘Christ 0’ è un songwriting sempre più radicato nel teatro donando quella teatralità e profondità che difficilmente è possibile riscontrare in altre bands del panorama non solo prog, se non addirittura rock. È questo il loro reale valore aggiunto che li differenzia e li rende unici, ascoltando le loro produzioni si riscontrano sempre nuove sfumature, nuovi particolari in un caleidoscopio di emozioni che meriterebbero di tanto in tanto di essere rispolverate e, soprattutto, godute.