Bring Out The Thrash (2) – Overkill
Il 08/07/2017, di Andrea Schwarz.
In: Bring Out The Thrash.
‘Nel disquisire le differenze tra il thrash metal tipico della Bay Area e quello della cosiddetta east coast partirei indicando quelle che secondo me sono le differenze tra noi e quella scena così come dovrebbe essere considerato il Bay Area sound. Beh, ti posso dire che da quelle parti chi faceva quel tipo di genere era come se avesse una sorta di stampo. In qualche modo per essere una band di successo che provenisse da quelle zone e suonasse quel genere musicale doveva per forza avere determinate similitudini con altri gruppi provenienti dalla stessa zona geografica, un modus operandi che nascondeva lo stesso approccio alle cose, anche culturale se vogliamo. E questo era un modo di pensare comune in quelle latitudini, cosa che sulla east coast non potrai mai trovare. Mai. E quel modo di pensare divenne per così dire mondiale con il successo dei Metallica, così che tantissimi fans sparsi per il globo volevano quel tipico sound che purtroppo appiattisce un pò la creatività perché sai già cosa aspettarti. Ma noi dall’altra parte degli States siamo differenti, noi siamo abituati a pensare giorno per giorno, combattere ogni momento cercando di sviluppare le nostre differenti personalità all’interno di un gruppo di persone che fanno musica. Ti faccio un esempio, quando andavo al college a Manhattan la cosa più bella era la scena punk che stava letteralmente esplodendo. Quindi poteva essere facile camminare per strada ed incrociare Dee Dee Ramone o Debbie Harry, oppure ti poteva capitare di vedere le New Your Dolls che poi alla sera suonavano in qualche club locale. Io penso che noi siamo un incrocio tra i Dead Boys e la NWOBH. Queste sono le più grandi differenze tra il modo di interpretare il thrash nelle due coste opposte degli Stati Uniti, loro hanno sempre avuto il loro modo di vedere la musica mentre dalle nostre parti abbiamo sempre avuto un sacco di cose differenti che poi sono andate a formare un puzzle dalle mille sfaccettature con bands quali Anthrax, Carnivore, Type O Negative, Biohazard ed ovviamente Overkill, tutti noi abbiamo un approccio differente.’ Parole di Bobby Blitz Ellsworth, certo non un musicista qualunque ma colui che insieme ai suoi compagni di avventure come D.D. Verni ha fondato e portato fino ai giorni nostri i leggendari Overkill, uno che le cose non le ha mai mandate a dire. Anzi. Non è qui il caso di ripercorrere pedestramente le tappe fondamentali della band, a questo potrebbe benissimo bastare Wikipedia in qualsiasi momento della giornata o della notte, fate voi. Quello che ci preme rimarcare con queste poche righe è il grande impatto che la band ha avuto lungo i suoi più di 30 anni di onorata carriera, certo intervallata da momenti più bui e discutibili ma sempre comunque pronti ad andare avanti, a porsi nuovi obiettivi senza guardarsi indietro dormendo sugli allori. E la dichiarazione di Bobby ‘Blitz’ Ellsworth è sintomatica ed esplicativa di un musicista che ha sempre pensato al proprio orto, alla propria musica senza preoccuparsi troppo di quello che il mondo chiedeva loro, senza mai piegarsi a questa o quella moda rimanendo fedele a se stesso. Coerenza, da vendere. E paradossalmente in tutti questi anni probabilmente il quintetto del New Jersey non ha mai raccolto per quanto realmente avrebbe meritato, forse pagando troppo dazio a questa loro attitudine per alcuni oltranzista, per altri solo coerente con se stessi. E’ lo stesso Bobby Blitz a confutare questa tesi: ‘Non penso agli Overkill come ad una band di artisti, è un punto cruciale perché certamente alla fine della giornata quello che hai fatto può essere considerato arte ma credo che solamente le persone più umili possano fregiarsi di tanto. E non importa se sia il carpentiere oppure chi costruisce mobili o ancora l’imbianchino. Se il loro lavoro resiste alla forza del tempo, allora quello che hanno fatto può essere considerato come arte. Se la penso dall’interno, se noi consideriamo tutta la nostra carriera come un mestiere quello di riuscire a trarne il meglio in ogni momento….allora la prima e fondamentale regola è quella di non avere crisi di identità. Noi sappiamo chi siamo, cosa siamo e, soprattutto, sappiamo cosa riusciamo a fare meglio. Questo è fondamentale, tutto il resto sono cazzate. Quando sei a tuo agio con gli strumenti che il tuo io ti dà in dotazione, allora esprimi te stesso meglio rispetto a quando ti dimentichi di fare ciò per cui sei nato, questo mantra ce lo ripetevamo agli inizi della carriera ed ai giorni nostri è ancora tremendamente attuale. E’ come essere un artigiano, portare la propria esperienza nel presente.’ E quindi Overkill, a partire dal loro debut album ‘Feel The Fire’ del lontano 1985 fino ad oggi con il nuovissimo ‘The Grinding Machine’ sono stati un esempio di come se si hanno le idee chiare si possa costruire la propria carriera senza dover per forza cedere alle mode imperanti di questo o quel periodo storico per vendere qualche copia in più, maggiormente nel passato rispetto ad oggi dove i gruppi utilizzano il supporto audio più come oggetto da collezione per i propri die-hard fans piuttosto che come un qualcosa che gli possa permettere di campare. Ma questo è il music business odierno, avremo modo in altro contesto di vedere anche queste sfaccettature. Prendiamo ad esempio un album come ‘I Hear Black’ del 1993: un buon album ma anni luce lontani dai fasti ai quali il quintetto statunitense ci ha abituato. In quel momento storico gli Overkill optarono per un sound più cadenzato tralasciando quasi completamente il loro tipico thrash trademark che li aveva resi popolari tra i cultori del genere. Incidenti di percorso possono sempre capitare soprattutto quando la carriera è così lunga, infatti con il successore del mediocre ‘I Hear Black’ intitolato semplicemente ‘W.F.O. (Wide Fucking Open)’ gli Overkill tornano al loro tipico thrash sound fin dalle prime note di ‘Where It Hurts’: basso pompato, chitarre che sembrano delle vere e proprie scudisciate sulla schiena accompagnate da un aggressivo Bobby ‘Blitz’ Ellsworth come non lo si sentiva dai tempi di ‘The Years Of Decay’, uno dei loro migliori album di sempre. In tutto questo i cambi di line up non possono non aver influito in maniera determinante all’evoluzione del loro sound, a volte gli Overkill erano un grande magazzino dalle porte girevoli sempre pronte ad essere spinte tra chi usciva e chi entrava tranne per DD Verni e Bobby ‘Blitz’ Ellsworth che da bravi depositari del verbo hanno resistito imperterriti fino ad arrivare nella seconda decina degli anni duemila con una nuova e stupefacente vitalità cominciata nel 2010 con la pubblicazione di ‘Ironbound’, un album dove gli Overkill si riprendono lo scettro di autentici ‘Dei del Thrash’ anche se in compagnia di altri ensemble che in quegli anni riscoprirono l’elisir di lunga vita (vedasi Exodus e Testament giusto per citare due nomi a caso). Da quel momento sono arrivati altri tre dischi, ‘The Electric Age’ (2012), ‘White Devil Armory’ (2014) ed il recentissimo ‘The Grinding Machine’ già recensito sulle nostre pagine, che forse rappresenta il meglio della loro recente produzione andando a mischiare il loro thrash sound con influenze classiche che rendono arioso ed incredibilmente moderno (avete letto bene) ed affascinante il sound complessivo. Ma i nostri per poter arrivare dove sono arrivati hanno investito in maniera umile tutto, credendo ciecamente in se stessi e giocando le loro carte fino alla fine, mettendosi in gioco disco dopo disco senza pensare troppo ad eventuali riscontri commerciali derivati dalle loro scelte dettate dalla convinzione di rispettare se stessi e tutti i die hard fans che ancora oggi li vedono come una bands da amare alla follia. Senza mezze misure. Ed ancora oggi gli Overkill, alla faccia della loro non più tenera età riescono a stupire per la voglia matta di esserci, di esistere, di dimostrare che ci sono ancora e che paradossalmente sono in grado di ammaliare il proprio pubblico senza essere ripetitivi. Talento e forza di volontà che confluiscono in un magma sonoro che ammalia e non importa se questo sia thrash Bay area o della east coast, trattasi di musica terribilmente affascinante che non ha bisogno di etichette. A voi….Overkill.