TeamRock e che cazzo c’entriamo noi: la verità

Il 27/12/2016, di .

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TeamRock e che cazzo c’entriamo noi: la verità

Scrivo queste righe per spiegare un po’ la situazione che si sta delineando in queste ore e sta facendo parlare il web tutto. Sto ovviamente parlando delle difficoltà economiche che hanno travolto il colosso editoriale TeamRock e della conseguente sospensione di alcune delle maggiori testate di settore musicale come Classic Rock e Metal Hammer UK.

Perché scrivo quest’articolo, direte voi? Il motivo è semplice: stanno arrivando (a me e ad altre persone della redazione) accorati messaggi (attraverso quel maledetto strumento di relazione interpersonale che è facebook) di colleghi e indomiti sostenitori che allegano al link della notizia di TeamRock la fatidica domanda «ma allora chiudete anche voi?». A terminare l’articolo e a fornirvi una spiegazione più che chiara ci si metterebbe un secondo e lo si farebbe rispondendo a un altro interrogativo marzulliano: «cosa c’entriamo noi con Teamrock?». Ebbene, la replica alla domanda è molto facile, ovvero «un cazzo». A parte che solo un cretino potrebbe pensare che nel 2016, e con tutti i casini che hanno visto protagonista il Metal Hammer italiano, potessimo ancora dipendere da un gotha straniero, e oltretutto «che cazzo ve ne frega»? Mi scuseranno i lettori se continuo a inserire un sostantivo fallico qua e là. Ma torniamo a noi. Alla maggior parte gliene frega eccome se falliamo anche noi assieme ai colleghi inglesi, a riguardo dei quali i più grandi portali italiani stanno pubblicando notizia su notizia, sperando di catturare i soliti, effimeri like sulle spalle di quelle poche penne di valore (e retribuite) che esistono ancora in questo sordido mondo. E dovreste anche togliervi quel cazzo di ghigno dalla faccia che avete da quando hanno annunciato la sospensione delle pubblicazioni inglesi.

Meritevole (e forse un filino a scopo pubblicitario) è stato lo sforzo di alcune band, come gli Avenged Sevenfold (quelli della nostra recensione “qualunquista”, ve la ricordate?) e seguiti da diverse personalità della scena internazionale con appelli di vario tipo (vedere Mike Portnoy), di lanciare un crowdfunding a sostegno delle settanta e più persone che hanno perso il lavoro. Questa campagna di raccolta fondi mi ha fatto un po’ sorridere, assieme ad alcuni miei colleghi, pensando a quanto questa cosa è stata (e sarebbe) impossibile in un mercato come il nostro, dove si pirata persino un magazine gratuito solo per il gusto di farlo. Metal Hammer Italia negli anni ha incontrato diverse difficoltà, ha chiuso due volte in due anni (2013/2014) ed è rimasto vivo, fino all’inizio di questo 2016, grazie alla redazione di Metal.it che ha concesso di prestare spazio web e parole per far continuare la testata. Ora siamo indipendenti, totalmente, e il marchio italiano è saldo nelle mani di chi l’ha detenuto negli ultimi decenni. Questa è la precisazione che più tengo a scrivere. Non dipendiamo da nessuno.
Poi, tornando al discorso del crowdfunding, pensavo a dove fossero ai tempi coloro che potevano avviare un simile progetto di sostegno a favore della nostra redazione, o dei colleghi che allora la componevano. Probabilmente tutti davanti a un portale di quelli che vi fornisce tutto, subito e gratis. Questo è quello che ha portato all’attuale situazione. Non conta quale sia la qualità della scrittura o dei contenuti, l’importante è leggerlo il più presto possibile e che non tolga nulla dal nostro fottuto portafoglio. D’altronde non bisogna più aspettare la fine del mese per sapere che Floor Jansen ha detto qualcosa sugli Slayer, ce lo dice metalinculo.it in mezzo secondo e la stessa cosa vale per le interviste, le recensioni, ecc. Questo è il mondo che abitiamo e che abbiamo contribuito a far diventare così. Chi popola il calderone della scena italiana ha dimostrato di essere voltagabbana, fariseo e anche un po’ nicodemita. Ci si accontenta di leggere interviste e recensioni di gente che si definisce “giornalista qualificato in campo musicale” (in maniera bella pomposa eh, per non farsi mancare nulla), e poi scrive con le parole attaccate, le “E'” invece che le “È”, invece di “al di là” usa l’aldilà (eppure non è morto, li mortacci sua), il “perchè” invece del “perché”, oltre a infrangere tutte le regole sintattiche e semantiche della nostra lingua a patto di scrivere su mazzancollemetal.com, e voi accettate, immagazzinate tutte queste stronzate e le condividete, perché tanto è gratis e chi cazzo ve lo fa fare di aspettare un mese e spendere 5/6 euro per un cartaceo. E non parliamo delle conoscenze giurassiche delle lingue che vengono sbandierate sia per iscritto che nelle spassose videointerviste.
Non ci sono più moralità, lealtà, né dignità in gran parte del “giornalismo” metal italiano. Si corre dietro ai gossip per vedere quanto prosciutto ha affettato James Hetfield per prendere millemila like su facebook o retweet su twitter; ci si sfida a chi dà il voto più alto alla band dell’amico per ingraziarselo e magari farsi dare un’esclusiva all’album successivo, perché tanto si sa, la spesa al supermercato ce la paghi coi like di facebook. È una guerra fra poveri, dove ci si tirano i sacchetti di nylon colmi di merda pur di far girare il proprio nome. E questo è un altro punto: il nome. A me del nome non me ne frega un bel cazzo di niente, a volte mi dimentico pure di firmare gli articoli, però c’è chi rompe i coglioni se, per svista, non gli firmi il box in basso a destra da cinque centimetri e ti fa la scenata tragicomica.
Questo lo dico perché, per me, se un progetto non è collettivo, non ha il motivo di esistere e l’individualità viene dopo, o addirittura non esiste. Il web, e specialmente i social, sono il ricettacolo della scalata alla notorietà, dell’apoteosi del nome, della deificazione di personaggi dalle dubbie capacità intellettive ma in grado di appiccicarsi a qualunque cosa pur di restare a galla e di riuscire a tenere fuori la faccia (perché solo quella si vede nella foto di profilo) dal lago di merda dove tutti ci troviamo ad affogare.

Dopo i concetti di “tutto, subito e gratis” e “nome”, viene un personaggio che appartiene ed è radicato nel nostro, fottutissimo paese: l’ammanicato. Se nell’opera manzoniana c’era l’Innominato, qui abbiamo l’Ammanicato a svolgere un ruolo importante nella narrazione della nostra Colonna Infame metallara (perdonate se ho riunito diversi scritti del Manzoni per esprimere il concetto). Senza di Lui alcune testate manco potrebbero esistere, e si gioca sempre sporco, molto sporco, perché a schiacciare la mosca col martello son capaci tutti. L’Ammanicato è l’untore dell’establishment che sta a monte della scena musicale, e questo voi lettori non lo conoscete, ma è colui che sceglie DOVE farvi leggere determinati contenuti perché ne dispone di prima mano.

Quarta cosa che cito come elemento di contribuzione alla rovina del “giornalismo” metal italiano è l’arroganza. L’arroganza di pensarsi padroni di una persona, modello schiavista dell’era secessionista americana, solo perché si è direttori/caporedattori/responsabili di una testata per cui, peraltro, quel povero cristo ti scrive pure gratis per il 90% dei casi o al massimo gli dai 1 centesimo a cartella per fare il radical chic. Se tutti abbassassero la cresta e si guardassero attorno, nel nulla cosmico in cui stiamo fluttuando, facendosi un bell’esame di coscienza e pensando che tanto alla mattina (dopo che magari si è passata una notte a scrivere per passione) bisogna alzarsi per andare a lavorare, per evitare di fare un’indigestione di like e forse mandare giù una fetta di pane.

Ecco, comunque, l’ho detto che non c’entriamo un cazzo con Teamrock?

ein Herz, ein Hammer

PS: Ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale. Se vi sentite tirati in causa ci sono due possibilità 1) avete la coscienza sporca 2) non sapete scrivere. Nei suddetti casi andate a confessarvi o tornate a scuola.