ProgSpective (3) – Trent Gardner
Il 19/10/2016, di Andrea Schwarz.
In: ProgSpective.
Stati Uniti, famiglia Gardner. Quella dei fratelli Wayne e Trent, chitarra e tastiera dei Magellan. Grandi talenti legati insieme, oltre ad un legame di sangue, da un destino alquanto beffardo. Wayne morì nel 2014 suicida dopo una lunga e dura battaglia contro un male incurabile, Trent deceduto improvvisamente lo scorso giugno per cause mai rese note. Eppure, nonostante questo destino assolutamente imprevedibile, questi 2 musicisti non hanno lesinato sforzi nel rilasciare opere musicali che certamente gli amanti del prog rock hanno avuto modo di apprezzare durante la lunga (ma poco prolifica) militanza come Magellan ed in svariati progetti e collaborazioni che li ha visti protagonisti soprattutto nella seconda metà degli anni novanta. Wayne aveva un carattere più introverso che riusciva a ‘contenere’ ed arginare il fiume creativo di cui Trent era dotato. Come dice lo stesso Trent nel commovente messaggio di addio dedicato al fratello Wayne appena morto suicida nel sito ufficiale dei Magellan: ‘Aveva una creatività veramente spiccata ed ha sempre supportato il mio estro creativo non lamentandosi mai in cui ogni volta che proponevo qualche parte nuova questa fosse scritta e pensata per le tastiere e non le chitarre. Ma come sempre, mi diceva che non ci sarebbe stato problema ed alla fine saltava fuori con una soluzione. Puntualmente riusciva nell’impresa, ha sempre fatto così.’ I Magellan quindi fin dalla loro fondazione nel 1985 hanno ruotato intorno alle figure di questi 2 incredibili e mai domi songwriter producendo dischi con il contagocce ma mantenendo un livello qualitativo piuttosto elevato. Dopo anni di gavetta arriva il primo album su Magna Carta nel 1991, quel ‘Hour Of Restoration’ il cui ascolto ancora oggi si dimostra piacevole e che si apre con un brano monumentale, una suite di 15 minuti intitolata ‘Magna Carta’ ispirata alla famosa carta dei diritti dove possiamo trovare tutti gli elementi tipici del loro sound: tastiere moderne, heavy riff di chitarra accompagnati da armonizzazioni vocali e lead vocals anthemici che dimostrano il talento dei fratelli Gardner. Elementi prog metal uniti ad altri che potremmo definire tranquillamente neo-prog ma senza tuttavia risultare retro oppure eccessivamente derivativi, questi sono i Magellan. A livello tecnico forse non ci troviamo di fronte a musicisti ‘monstre’ così come l’utilizzo della batteria non suonata ma programmata risulta alla lunga un pò limitativo ma grazie a potenti melodie e grandi idee musicali elevano il disco tra le molte uscite dedite al genere di quegli anni. 1994, 3 anni dopo il duo si ripresenta al grande pubblico con un album intitolato ‘Impending Ascension’, un disco che per quanto per certi versi rappresenta la naturale prosecuzione del loro debut, al tempo stesso risulta essere un coacervo di canzoni maggiormente slegate tra loro rispetto a quanto non accadde con ‘Hour of Restoration’. Il brano che maggiormente fa da collante tra il ‘vecchio’ ed il ‘nuovo’ in casa Magellan è ‘Storms And Mutiny’, una canzone basata sulla famosa circumnavigazione del globo terrestre ad opera proprio di Ferdinando Magellano. Inclusa la strumentale ‘No Time For Words’, con i suoi 14 minuti ‘Storms…’ si avvicina per altisonanza e maestosità allla suite ‘Magna Carta’ del debut album. Probabilmente il brano migliore dell’intero lotto è l’opener ‘Estadium Nacional’ dove possiamo trovare influenze che richiamano alla mente gli Yes degli anni ottanta (quelli di ‘90125’ e ‘Big Generator’) con la complessità tipica del sound Yes degli anni settanta al quale sono stati aggiunti alcuni heavy riff ed un coro che riporta alla mente i Boston. ‘Waterfront Weirdos’ è invece più influenzato da band come i Marillion anche nelle vocals che ricordano da vicino la tipica impostazione di Fish. Tra il 1995 ed il 1996 i fratelli Gardner si cimentano nella creazione di alcuni tribute album a storiche rock bands, uno dei quali riguarda i Jethro Tull che risulteranno una delle loro maggiori influenze nel disco del 1997 pubblicato come Magellan, ‘Test Of Wills’, meno keyboard oriented e maggiormente guitar driven rispetto alla precedente produzione. Ad ascoltarlo oggi ‘Test Of Wills’ è il loro punto più basso della loro carriera, bisogna aggiungere che probabilmente il duo stava lavorando alacremente a quello che è stato tra gli apici creativi della loro carriera, il favoloso progetto ‘Explorer’s Club’ con il primo album del 1998 intitolato ‘Age Of Impact’. Non ne abbiamo prove dirette ma mettendo a confronto queste due produzioni il dubbio è più che naturale. Non è la creatività quella che manca al duo, anzi. In una delle ultime interviste dello scorso anno Trent Gardner diceva ‘La mia etichetta di allora, Magna Carta, riceveva continuamente dal sottoscritto un sacco di materiale nuovo tanto che mi ribattevano divertiti che non si poteva pubblicare un nuovo album come Magellan poichè in alcuni casi questo era uscito solamente tre settimane prima, ehe ehe! E così questo materiale, non trovando spazio come Magellan mi fu proposto di utilizzarlo per alcuni sideproject come Explorer’s Club o la rock opera Leonardo The Absoute Man. Trovai in quella maniera il mio habitat naturale, potevo scrivere liberamente con e per altri musicisti. Ammetto che sono sempre stato uno spirito libero ed indipendente ma essere in quel momento accasato con un’etichetta come la Magna Carta mi ha permesso di far da cassa di risonanza per presentarmi ad altri artisti con i quali sarebbe stato impossibile approcciare da artista indipendente, sarò loro eternamente grato per questo’. ‘Age Of Impact’ del 1998 è un fantastico album di moderno prog rock con forti radici negli anni settanta e stupendamente interpretato da musicisti di primo piano come Terry Bozzio, Billy Sheehan, John Petrucci, Steve Howe solo per citare alcuni nomi, un autentico must per ogni amante del genere bissato tre anni più tardi (2001) dal secondo ed ultimo episodio della saga come fu ‘Raising The Mammoth’. Dalle atmosfere più cupe ed introspettive del precedente, stilisticamente ‘Raising…’ ricordava da vicino sonorità dei grandi classici come Genesis, ELP e King Crimson, un disco dove la coesione tra i vari protagonisti risultava essere più marcata con maggiori spazi musicali ed una speciale attenzione verso assoli di tastiera. Sono gli anni in cui la ‘penna’ del duo Trent&Wayne imperversa nel mondo prog rock / metal andando a collaborare nei vari progetti solisti di James LaBrie’s Mullmuzzler, James Murphy (nel brano ‘Through Your Eyes (Distant Mirrors)’ del 1999), Steve Walsh nel suo album solista ‘Glossolalia’ del 2000……In questo magma compositivo i fratelli Gardner produssero ancora ben quattro albums come Magellan (‘Hundred Year Flood’ / 2002, ‘Impossible Figure’ / 2003, ‘Symphony For A Misanthrope’ / 2005, ‘Innocent God’ / 2007) ma senza raggiungere i livelli compositivi che li aveva visti protagonisti negli anni novanta ad eccezione per quel ‘Hundred Year Flood’ dedicato ad un loro fratello deceduto durante la guerra del Vietnam e dove gli elementi sinfonici dei primi due album si fusero perfettamente con il sound maggiormente heavy di ‘Test Of Wills’ pur mantenendo mostri sacri del genere come Gentle Giant, Yes, ELP e Jethro Tull sullo sfondo. Ma l’incontro che maggiormente ha segnato la carriera soprattutto di Trent (Wayne fin dalla fine degli anni 2000 cominciò la sua battaglia con un male incurabile) fu quello con Robert Lamm dei Chicago per il suo album solista ‘Living Proof’ del 2012. ‘Fin da quando ero un teenager i Chicago furono la mia scuola musicale, fonte di ispirazione inesauribile. Intorno al 2006 tramite MySpace cominciai a scambiare alcune idee musicali scoprendo che conosceva i Magellan, pensa al mio stupore! Da lì comincio il tutto, cominciammo a scrivere scambiandoci le varie idee che mano a mano venivano fuori fino a quando non ricevetti il suo invito a collaborare su due canzoni del suo album ‘Living Proof’. Il brano ‘Out Of The Blue’ è un tributo al grande Terry Kath, il chitarrista originario dei Chicago. Le cose andarono così bene che Robert mi presentò gli altri membri della band dandomi la grande opportunità di arrangiare gli archi per quattro brani del loro album più recente ‘XXXVI : Now’. La chiusura di un cerchio, di tutte le collaborazioni della mia carriera, questa è stata quella che ha rappresentato il coronamento di un sogno.’ Ma Trent Gardner è stato un musicista che definire spirito libero è un puro eufemismo, colui che non amava essere etichettato in nessun modo, tanto meno come musicista esclusivamente prog: ‘I Magellan sono una band che potrebbe stuzzicare l’attenzione dei fans di bands come Kansas, ELP e Yes anche se nel comporre le nostre musiche non siamo mai stati interessati a scrivere per il gusto di rimanere nel genere prog ma piuttosto dall’esigenza compositiva che avevamo in quel momento. Sopravvivere come musicista è la più grande motivazione che sento mia, se qualcuno dovesse chiedermi di applicarmi a suonare jazz o classica non farei fatica a cimentarmi con quei mondi apparentemente distanti dal mio. Per questo motivo non amo utilizzare l’etichetta prog perchè in molti casi è una garanzia di insuccesso commerciale. Mio malgrado credo che l’etichetta prog sia stata abusata ed usata a sproposito dalle varie etichette discografiche che ne hanno snaturato il reale significato. Sono grato e sempre lo sarò ai nostri fans in Europa e Giappone che hanno accolto magnificamente i nostri primi due album ma oggi è necessario promuovere questo ‘genere’ musicale in maniera differente cercando di permettere ad un audience sempre maggiore di accedervi.’ Trent’anni di onorata carriera, quella dei fratelli Gardner, musicista a tutto tondo ma in fondo uomo saggio e conoscitore della vita: ‘Chiunque tu sia o chiunque tu voglia essere, sii consapevole delle tue capacità e talenti ed ignora cosa ti dice il mondo che ti circonda anche quando questo procura dolore. Non paragonatevi a nessun altro, cercate di essere una versione migliore di voi stessi ogni giorno. Poi, tutto è possibile senza limiti di età.’ Un incommensurabile testamento musicale ed umano di un artista sottovalutato ma al quale bisognerebbe tributargli i migliori onori partendo proprio dalla (ri)scoperta della sua fulgida discografia.