Metal Cinema (3) – ‘Mine’, Intervista ai registi Fabio Guaglione e Fabio Resinaro
Il 02/10/2016, di Stefano Giorgianni.
In: Metal Cinema.
Da qualche tempo il cinema italiano sta vivendo una nuova fase, che, agli occhi di chi scrive, assomiglia sempre più a un riscatto, a una rivincita della nostra tradizione che tanto ha dato alla Settima arte. Il merito di questa ondata di pellicole avvincenti è tutto della generazione emergente di registi, fra cui il duo Fabio&Fabio (al secolo Fabio Guaglione e Fabio Resinaro) in procinto di approdare nelle sale con ‘Mine’, la loro ultima fatica; Metal Hammer li ha incontrati per voi.
Ciao ragazzi! Benvenuti su Metal Hammer, nella nostra rubrica cinematografica! Come va? Immagino siate assorti nei preparativi per l’uscita del film…
G: Immagini bene. Anzi no, semplicemente impossibile immaginare quanto ci sia da fare ogni giorno…
Partiamo dalle origini di ‘Mine’, da dove viene l’idea del film?
G: Per ogni cento progetti cinematografici che muoiono, ce n’è uno che ce la fa. A noi non sono sfumati cento progetti, ma per la nostra breve carriera abbiamo già una lunga esperienza di film che non sono andati in porto per vari motivi. Cercando di comprendere le complessità di questa industria, abbiamo pensato ad un film che si basasse su un’idea potente ma che non richiedesse ingenti investimenti economici. Sarebbe stato ovvio pensare ad un altro di questi film in cui i protagonisti vengono intrappolati in un posto, per risparmiare su riprese e location…ma ormai hanno rinchiuso persone in ogni posto possibile…persino nel bancomat… e dopo ‘Buried – Sepolto’, un film tutto ambientato in una bara, sarebbe stato arduo trovare un’altra idea altrettanto originale e potente. Siamo andati quindi nella direzione opposta, pensando ad uno spazio aperto. Come si può intrappolare una persona in un’enorme paesaggio? Facendogli mettere un piede su una mina.
R: L’uomo sulla mina è come l’uomo sulla Luna. Quando mi è venuto in mente ho capito che era un simbolo talmente forte che portava con sé molto di più che la possibilità di fare un survival movie. Avremmo potuto costruire un ‘enorme metafora su ciò che ci blocca come esseri umani.
G: All’inizio io ero scettico ma è questo che mi ha convinto quando Resinaro mi ha raccontato l’idea. Che ‘Mine’ potesse raccontare una storia emotivamente potente invece che un semplice thriller militare. Che la mina diventasse un punto di partenza per tracciare un arco narrativo universale.
Per ora abbiamo potuto assaporare solamente il trailer e qualche teaser, ci potete anticipare qualcosa in più sulla trama?
G: Mine si basa molto sulla tensione creata dalla domanda “cosa succederà adesso?” Non è un film fatto di esplosioni, per cui lo spettatore vive le emozioni anche sulla base della sorpresa di come i pochi elementi in scena saranno ricombinati e si evolveranno. Sarebbe un peccato rovinare i colpi di scena…
R: Ci sono anche le esplosioni, comunque (ride, ndr.).
G: Sì, ci sono anche le esplosioni (ride, ndr.). Diciamo che abbiamo lavorato molto per non far avvertire mai il sentimento di noia, che sapevamo fosse un grosso rischio avendo a che fare con un personaggio solo per tutto il film…
R: Quindi è solo per tutto il film?
G: Basta, spoiler! (ride, ndr)
Qual è stato il passo successivo?
G: Abbiamo parlato dell’idea al nostro produttore, Peter Safran, e gli è piaciuta subito. Abbiamo seguito i passi del regolare iter: abbiamo scritto la sceneggiatura, cercato i soldi, l’attore interessato, assemblato la truppa…
R: Anche se c’è stato ben poco di regolare durante tutte le lavorazioni. ‘Mine’ è stato un progetto unico e difficile in ogni sua fase.
Una delle prime cose che salta all’occhio è la scelta del ruolo del protagonista, un soldato americano e non un italiano…
R: Giriamo prodotti in lingua inglese per due motivi. Il primo è strategico. Un film in lingua inglese ha più possibilità di essere venduto e visto sul piano internazionale. Per riuscire a realizzare un film, dobbiamo creare un progetto che riesca a trovare interesse, finanziamenti, partner, eccetera.. E concependo film per il mercato internazionale, le possibilità si moltiplicano. Il secondo motivo è creativo. Le storie si muovono in un immaginario… Riuscireste ad immaginarvi un film di fantascienza ambientato in un’astronave…il cui equipaggio parli in italiano? C’è qualcosa che stride. L’inglese e le ambientazioni americane in realtà non sono “americane”… sono diventante una sorta di non-luogo, un ambiente neutro fatto di linguaggi ed archetipi universalmente riconosciuti. Spesso e volentieri quindi il cinema di genere necessita della lingua inglese.
G: Dipende dalla storia, comunque. Ad esempio se fosse un film di genere horror basato su un’antica leggenda di una strega del sud Italia… non avrebbe senso fosse girato in inglese. Anzi, è la storia stessa che richiederebbe di essere girata in italiano. Magari in dialetto.
Di conseguenza avete prediletto un attore statunitense per impersonare Mike, credo. Cosa vi ha convinto a scegliere Armie Hammer?
G: Una volta che ha ritenuto la nostra sceneggiatura soddisfacente, Peter Safran ha inoltrato lo script a decine di agenti a Hollywood. Uno di quelli che ha manifestato un responso immediato ed entusiasta, è stato Armie. E pensare che all’inizio eravamo scettici… Avevamo visto Armie in “Social Network” e “Lone Ranger” ed era davvero brillante e bello in maniera perfetta, mentre per il personaggio di Mike Stevens avevamo in mente sicuramente qualcuno di più tormentato. Poi Peter ci ha detto “Sapete, gente come David Fincher, Clint Eastwood, Guy Ritchie, Tarsem e Gore Verbinski hanno scelto questo ragazzo per i loro film. Deve avere qualcosa di speciale”. Ci siamo sentiti un po’ stupidi e abbiamo accettato di incontrarlo.
R: Armie non era ciò che avevamo in testa scrivendo la sceneggiatura, ma ci fu subito chiaro che era la persona giusta. Aveva capito perfettamente il film e se ne era innamorato. In più , dopo tanti blockbuster hollywoodiani aveva voglia di recitare in un film che gli permettesse di mostrare tutto ciò che sapeva fare come attore. Era pronto a tutto ed aveva capito anche la natura indipendente ed avventurosa delle lavorazioni.
Voi venivate già da “True Love”, pellicola a basso budget che ha però riscosso un buon successo in tutto il globo a quanto mi risulta. Cosa è cambiato con “Mine” nel processo di lavorazione e nei, credo, maggiori fondi a disposizione per la realizzazione?
G: Fondi maggiori, è vero, ma come in ogni cosa vale il rapporto tra le risorse che hai a disposizione e l’ambizione del progetto. Diciamo che non siamo famosi per pensare in piccolo…ed accontentarci. (ride, ndr.)
R: “Dai, facciamo il film di un uomo sulla mina…” All’inizio sembrava semplice. Pensavamo ci bastasse un attore, un deserto e una camera. Ma poi ovviamente scrivendo la storia e mettendo su il film, ogni ambito si è ingigantito rispetto alle idee iniziali.
G: Io il cambiamento che ho sentito di più è il dover mantenere l’energia e la lucidità durante la lunga gittata. Che vuol dire sia per più tempo rispetto agli altri progetti su cui abbiamo lavorato, che calcolando ogni giorno una serie di variabili che avranno ripercussioni a lungo termine. Magari un giorno devi andare sul set, controllare una prova costumi per una scena che girerai tra due giorni, effettuare le riprese della giornata mentre ogni tanto produttori e aiuto regia ti informano sugli imprevisti riguardanti il piano di lavoro del giorno dopo e ti chiedono come risolverli, poi dopo lo shooting vai a fare location scouting per una scena che girerai tra 3 settimane, e a fine serata devi guardarti 40 provini per scegliere l’attore di un ruolo minore ma importante che dovrebbe arrivare sul set tra 10 giorni. Il tutto cercando di non bere troppo caffè Stessa cosa per la fase di postproduzione. Non ci si può permettere di arrivare “bruciati” in montaggio, o in mix… Ogni fase è egualmente importante.
R: L’altra grossa differenza è che su questo progetto abbiamo avuto più referenti, e più importanti, per cui abbiamo dovuto sia cercare di realizzare la nostra visione che trovare un costruttivo punto d’incontro tra noi, che già siamo due (ride NdR), i produttori, i distributori, la sales agency… Il film però, per come abbiamo gestito il tutto, penso ne abbia giovato.
Riguardo alle location, dove avete girato il film?
R: La maggior parte a Fuerte Ventura, alle Isole Canarie. Altre scene a Barcellona.
Quanto sono durate le riprese?
G: Cinque settimane. Molto, molto, molto intense.
R: Per un film di questo tipo, è poco
Per quanto concerne gli effetti speciali, a chi vi siete affidati?
R: Abbiamo aperto la nostra casa di effetti. Era il modo migliore, più veloce ed efficace per raggiungere ciò che avevamo in testa senza intermediari. Già con i nostri precedenti lavori la Mercurio Domina (la casa di produzione di Fabio&Fabio NdR) si era occupata dei VFX. Per Mine, in collaborazione con altri soci, ho aperto FAR, una società di VFX e Design. Sul set infatti il VFX Supervisor sono stato io. Nel film, anche se non sembra, ci sono circa 500 shot ritoccati con effetti speciali. Oltre a quelli intuibili, molti sono “Invisibili” tipo rimozione di cavi, ombre, orme, microfoni, troupe, mare, turisti…
Cosa che ci interessa particolarmente, essendo una rivista di musica, è la colonna sonora. A chi vi siete affidati?
G: Le colonne sonore di tutti i nostri lavori portano la firma di Andrea Bonini, nostro amico fin dai banchi del liceo. Spesso collaborare con Luca Balboni, per musiche addizionali e orchestrazioni. Con Andrea abbiamo lavorato veramente a lungo sulla colonna sonora di Mine, dall’approccio concettuale alla composizione, dall’incisione al mix finale. Fino a ri-mixare tutta la colonna in 5.1 intersecandolo con il sound design. Non è stato un film semplice da musicare, soprattutto per noi che consideriamo la colonna sonora una parte essenziale del racconto.
Non posso evitare ora di chiedervi i vostri gusti musicali…
R: Al momento nella playslit ho Carpark North, Soulwax, Bluvertigo, Muse, FooFighters, Bruno Mars, Sigur Ros, The Killers, Led Zeppelin…
G: Ascolto un botto di musica, e tendo ad essere onnivoro. Troppa roba, non saprei racchiuderla in una risposta… The Editors, I Jet, Beatles, Pearl Jam, Black Keys, Audioslave, Nina Simone, U2, Nick Cave, SoundGarden, The Who, Placebo, Bluvertigo, Woodkid, The Killers, Explosions in the Sky, Daft Punk, Gorillaz, Coldplay, Jay Z, Subsonica, La Sintesi, Kavinsky, Marylin Manson, Sigur Ros, Mumford & Sons, Temper Trap, Bach… Ascolto poi molte colonne sonore, soprattutto mentre scrivo. Hans Zimmer, James Newton Howard, Trent Reznor & Atticus Ross, Akira Yamaoka, Morricone, Michael Giacchino, Clint Mansell… Ad esempio mentre lavoravamo alla colonna sonora di Mine, ascoltavo in rotazione lo score di Interstellar di Hans Zimmer e di Sicario di Jòhann Jòhannsonn…e lavorando con Andrea alcune idee sonore sono confluite nella colonna sonora del nostro film.
Riguardo alla data d’uscita, la release sarà in contemporanea mondiale o avete già un programma prestabilito?
R: L’italia è il primo paese nel mondo in cui uscirà il film, distribuito da Eagle Pictures. Ed è figo. Per noi questo è un film italiano.
G: Non c’è ancora un programma prestabilito, i vari distributori stanno decidendo. Pare che dopo l’uscita italiana, bisognerà aspettare il primo trimestre del 2017 per vedere Mine sbarcare all’estero.
Una domanda su quella che mi sembra una “nuova fase” del cinema italiano. Con “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti, “Veloce come il Vento” di Matteo Rovere, e ora con il vostro “Mine”, il nostro cinema sembra voler intraprendere una nuova strada, che si propone anche di invogliare tanti giovani e giovanissimi ad andare nelle sale per un prodotto che non sia per forza un blockbuster americano. Voi che ne dite?
G: E’ vero. Mi sento di aggiungere ‘Smetto Quando Voglio’ e ‘Gomorra’. Io stesso per la prima volta ho avuto voglia di andare al cinema per vedere un film italiano, comprarne il blu-ray con i contenuti speciali… E’ un’esperienza nuova. (ride, ndr.) Ovviamente in casa abbiamo dei fuoriclasse come Sorrentino e Garrone, ma come dici giustamente tu, questi nuovi titoli hanno attirato anche i più giovani.
R: Il punto però è che hai nominato tre casi in cui sono stati gli autori a volere fortemente i progetti e a lottare per essi. Hanno poi trovato alleati che li hanno supportati anche rischiando, come Domenico Procacci, Matteo Rovere o Lucky Red. L’augurio è che questa “spinta autoriale” venga messa a sistema, e che quindi il sistema si metta a finanziare, produrre e distribuire con continuità dei film di questo tipo. La risposta del pubblico pare esserci.
Penultima curiosità, com’è per voi lavorare in coppia? Avete qualche duo di registi di riferimento?
G: Sì certo, i Wachowski. (ride, ndr.) Scherzi a parte, nessun riferimento. Abbiamo con gli anni sviluppato un mostro metodo, un nostro equilibrio. Fare il regista è forse uno dei lavori più individualisti del mondo. Co-dirigere quindi è particolarmente complesso se non si condivide una visione di fondo comune ed un metodo di lavoro che porta a dei risultati. Noi siamo sempre arrivati a dei risultati, ma non senza discussioni. Discutiamo molto.
R: Ma và.
G: Come ‘ma và?’
R: Se quello è discutere…
G: Ecco, appunto. (Ride NdR) Fidati di me, discutiamo molto. Ma alla fine è salutare, soprattutto per il film.
Ultimo commento a margine riguarda il titolo: ‘Mine’ può essere letto sia in italiano che in inglese con lo stesso significato. È una cosa voluta e pensata?
G: Se qualcuno crede alle coincidenze, questa è una coincidenza. Ma ‘Mine’ in inglese significa sia “Mina” che “Mio”. E questo, sì, è stato voluto e pensato. Quando vedrete il film, capirete.